Le società occidentali sono abituate a rappresentare la storia come una sorta di linea retta, una direzione univoca verso l’evoluzione e il progresso. L’abitudine deriva dall’influenza della teologia ebraico-cristiana e dalla prosperità economica e sociale che negli ultimi tre secoli è stata concessa a vaste fasce della popolazione, con brevi e bellicose interruzioni. Volgendo lo sguardo un po’ più indietro, però, si nota come la storia non è stata sempre volta al progresso e al benessere, alternandosi con parentesi barbariche e medioevali che poco o nulla hanno a che fare con l’evoluzione della specie umana. Ecco, sembra che siamo arrivati a una nuova parentesi di buio. Prendiamo ad esempio l’idea che l’opinione pubblica ha dello Stato in questo preciso momento storico.
Il dibattito pubblico sembra considerare lo Stato alla stregua di un individuo, come una persona fisica che deve agire per tutelare un particolarissimo interesse, alla ricerca dell’utile del singolo. Sembra di essere tornati indietro a un’epoca pre-illuministica, dove la ragione dorme sogni profondissimi.
Chiunque abbia studiato educazione civica alle scuole elementari dovrebbe sapere che lo Stato moderno è un’entità che attraverso il legittimo esercizio della sovranità, ha tenuto insieme, in diversi contesti e in diverse epoche storiche, un popolo all’interno di un territorio. Nell’esercizio di questa fondamentale funzione, lo Stato non ragiona più come un individuo da qualche centinaio di anni. Almeno fino ad ora.
Esistevano gli Stati assoluti, che concentravano in un unico soggetto il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario. Il sovrano era solito esclamare “L’Etat, c’est moi!” e prendere decisioni per soddisfare un singolo interesse, il suo. La completa mancanza di istruzione e di mezzi economici della stragrande maggioranza dei sudditi hanno aiutato i sovrani a mantenere il potere per molto tempo. Si racconta che Luigi XIV, il famoso Re Sole, fosse solito ricevere delegazioni di nobili, ministri e servitori mentre espletava i propri bisogni corporali. Persino l’annuncio delle proprie nozze sembrerebbe sia stato dato dalla sua poltrona speciale, suscitando l’estasi del pubblico. Perché quei bisogni erano i bisogni del Re, i bisogni dello Stato.
Non è un caso che, dopo la prima rivoluzione industriale, con l’ingresso delle masse operaie nel sistema stato, le istanze della popolazione siano state prese in considerazione con più attenzione. Si è dunque passati dalla personificazione del sovrano nello Stato assoluto a “ liberté, egalité, fraternité ”, slogan decisamente più gradevole del “prima gli italiani” di salviniana memoria.
Possiamo considerare la nascita della Repubblica francese come l’evento che segna la nascita dello Stato di diritto nell’Europa continentale. Nessuno può più considerarsi al di sopra della legge. Tutti possono essere giudicati da un giudice. Il potere legislativo, il potere esecutivo e quello giudiziario devono necessariamente essere divisi l’uno dall’altro. Tutto questo per evitare che lo Stato ragioni come un singolo, perché alla fine quel singolo risulta essere il più potente, il sovrano al di sopra di tutti i suoi sudditi.
Si iniziano così a creare i primi corpi intermedi che consentono di affermare che uno Stato non è la somma dei suoi cittadini, ma è molto di più.
Penso alle associazioni tra lavoratori che hanno lo scopo di tutelare le condizioni dei molti contro i privilegi dei pochi. Si da la possibilità ai figli di stare meglio dei loro padri invece che assecondare i capricci del singolo che danneggiano e dividono la comunità. Lo Stato di diritto, purtroppo, è nato debole. Pochi soggetti avevano diritto di voto, il potere era saldamente in mano alle élite, le Costituzioni, se presenti, erano flessibili e potevano essere modificate dalla classe dominante con un procedimento legislativo ordinario.
È proprio questa debolezza che ha fatto nascere i mostri della prima metà del Novecento. Lo Stato ritorna autoritario, la rigida separazione dei poteri si affievolisce fino a scomparire, tutti i corpi intermedi sono saldamente sotto il controllo del partito unico. Gli eventi ci raccontano del fallimento di questi esperimenti che, se non altro, sono serviti a rafforzare la struttura dello Stato contemporaneo.
Nasce dalle macerie della seconda guerra mondiale il cosiddetto Stato liberale, che si differenzia dallo Stato di diritto principalmente per l’estensione del diritto di voto a tutti i cittadini e per la creazione di Costituzioni “rigide”, modificabili soltanto con procedimenti legislativi complessi e con maggioranze particolarmente estese.Tutto questo per evitare le tragiche conseguenze derivanti dalla tirannia della maggioranza.
Proliferano le autorità e gli enti indipendenti. È libera la manifestazione del pensiero, è libera la possibilità di associarsi in corpi intermedi, quali sindacati o partiti politici, per contribuire al progresso della nazione. La magistratura ha un proprio organo di autogoverno; si concede un ampio margine di autonomia alle autorità che governano le banche o la previdenza sociale, per citare degli esempi. Le minoranze sono tutelate e si mira alla realizzazione di una società più giusta, più inclusiva e più equa, assumendo il preciso impegno di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Come ci ha ricordato recentemente il Presidente della Repubblica, l’Italia ha un complesso sistema di pesi e contrappesi per evitare che il potere porti fuori strada chi lo esercita. In questo contesto, il senso di osservanza dei principi costituzionali di chi è chiamato a esercitare il potere e le autorità di controllo costituiscono per Sergio Mattarella l’antidoto a una possibile deriva autoritaria.
Non mi pare che gli attuali governanti brillino per senso di autocontrollo o, peggio mi sento, per rispetto portato alle autorità indipendenti presenti in Italia. Il populismo, anche nella sua migliore accezione, nasce per soddisfare le esigenze immediate della popolazione, per andare incontro ai suoi bisogni, che vengano espletati su un water o meno, per trovare un consenso istantaneo negli elettori.
È proprio questa velocità che mal si concilia con la necessaria ponderazione che caratterizza le decisioni democratiche, caratterizzate da un confronto tra diversi attori. La conseguenza è la normalizzazione del discredito di Luigi Di Maio verso Banca di Italia o la sfida in diretta Facebook di Matteo Salvini alla magistratura.
La narrazione dominante si è da tempo accodata a questo schema logico. Il mio conto corrente in banca non prevede alcun tipo di spread, quindi la finanza pubblica la gestisco un po’ come mi pare. L’immigrato nella mia abitazione non lo voglio, quindi lo Stato fa bene a non accoglierlo. Ho lavorato 38 anni e ho diritto ad andare in pensione a 62, chi se ne frega dei calcoli del Presidente dell’Inps. L’elenco è lungo e si rischia di perdersi.
I rappresentanti eletti hanno perso ogni funzione di guida o di indirizzo del cittadino. Passano il tempo a studiare maniacalmente i trending topic, le esigenze meno nobili delle persone e le loro paure per trasformarle in consenso.
Chi ha ottenuto il potere alle elezioni ha la chiara intenzione di silenziare ogni voce critica e indipendente che si metta tra sé e il popolo. Lo Stato sta tornando a essere una semplice somma di cittadini – e si spera che non si arrivi a essere nuovamente sudditi.
E, come ci ha insegnato la storia, quando lo Stato è chiamato a fare la volontà del singolo, fa sempre la volontà del più potente. Il Governo del cambiamento dovrebbe circondarsi di persone come Tito Boeri, Domenico Lucano, Roberto Saviano, persone capaci di manifestare anche il proprio dissenso quando necessario, ed eventualmente contestare le loro posizioni nel merito, trovando una mediazione che soddisfi le esigenze della popolazione. E invece il dissenso è deriso, offeso o, peggio, silenziato.
La prima cosa, e probabilmente l’unica, che questo governo sta davvero cambiando è il concetto di Stato: si sta riducendo la democrazia, ovvero lo strumento che ha portato le popolazioni occidentali all’emancipazione, a una semplice proiezione dell’ego del popolo. Un ego che, nella maggior parte dei casi, fa schifo.
Alessio Amorelli in The Vision 19 ottobre 2018
Vedi: La democrazia digitale e i rischi di manipolazione
Pensiero Urgente n.268). "In una parola l'uomo egoista"
Rodotà: La democrazia è delle persone
Non basta il voto per essere cittadini