Europarlamento. Ci interrogheremo a lungo sui risultati ma pochissimo sull’ecosistema in cui sono maturati e su come chi si è recato al seggio ha fatto le sue scelte. L’essenza del digitale è decidere in un modo che in realtà ci offre un’unica alternativa.  L’uso della tecnologia digitale non è coerente con la complessità che ci circonda

E’ il paradosso delle elezioni. Come quelle europee appena svolte. Ci interrogheremo a lungo sui risultati e sugli effetti che avranno sulla nostra vita e su quella delle nostre comunità. E pochissimo in quale ecosistema è maturato il voto e sul come, chi si è recato al seggio, ha scelto questo o quel candidato, questa o quella lista.

Vale per chi ha messo la scheda nelle urne per la prima volta e aveva 6 anni nel 2o07 quando i primi social network iniziavano a influire il modo di vedere il mondo e di costruire le relazioni. E vale per chi ha già votato tante altre volte. Per i 500 milioni di europei questo 2019 e probabilmente l’anno nel quale il nostro mondo è definitivamente passato dal mondo analogico a quello digitale.

Ed è qui il paradosso. Presumere con il voto di essere di fronte al massimo di espressione democratica. Ma farlo in un mondo e in un modo che in realtà ci offre un’unica alternativa.

Yin e Yang

E questa l’essenza del digitale. 1, 0, 1, 0. Sei uno, cioè tutto, oppure sei zero, ovvero niente. 1, o. E tutto nato con il protocollo informatico che dal 1993 ci permette di entrare in connessione grazie alla rete Internet e ci porta a impiegare la logica binaria come linguaggio nella comunicazione, nel modo di porci, ma oramai sempre di più anche nel nostro modo d’essere.

Sei follower oppure no. Ti piace (like) oppure digiti l’immagine con pollice verso. Oggi su Tinder guardi la tua potenziale anima gemella e clicchi sul cuore (per accettare) o fai swipe con il dito (per passare al prossimo). Una logica binaria, micidiale, che polarizza e che estremizza tutto. Una logica che porta a sostenere sempre tesi estreme e a lanciare messaggi forti, anche per rappresentare situazioni normali. Un linguaggio che toglie ogni sfumatura di grigio, con buona pace anche dei soft porn di E.L. Jane.

E a noi cosa rimane? Un messaggio nero oppure bianco. Un crudo, maledetto, a volte inspiegabile, contrasto. E una decisione presa spesso emotivamente, senza riflessione e con poca informazione. Tav o No Tav. Vox o No vax. Una sintesi feroce che ci regala sempre poche parole o immagini con altrettanto poche spiegazioni.

Come dice sarcasticamente lo storico Robert Gordon nella sua impietosa analisi del crollo della produttività statunitense degli ultimi 80 anni: «Sognavamo di inventare le macchine volanti e abbiamo avuto i 14o caratteri di Twitter». (Anzi, forse dovremmo ringraziare Jack Dorsey, co-fondatore e Ceo di Twitter, per averli recentemente portati a 280: sempre pochi ma almeno la direzione è quella giusta!).

Il tutto condito dalla velocità. Perché una lezione su Ted non può che durare 18 minuti. Perché un video sui social non può durare che pochi minuti se no non lo si guarda. Perché una story su Instagram non può che durare 15 secondi, così come una canzone su TikTok. Anche perché se poi posti il tuo video su SnapChat deve addirittura sparire nel nulla dopo poco, quindi forse è proprio meglio che sia breve.

È una lenta deriva culturale che è ben espressa dai talent show, che giudichiamo con i like dei social e che eliminano i concorrenti con un sms dalla musica alla cucina. «Sei eliminato» dichiarava impietosamente Daria Bignardi a un giovanissimo Rocco Casalino nella penultima puntata della prima edizione del Grande fratello nel lontano 2000.

Ne è ben consapevole anche Donald Trump che, qualche anno dopo, a partire dal 2004, gridava per ben 14 stagioni «You are fired [Sei licenziato]» in The Apprentice, lo show con giovani professionisti che simulavano la vita aziendale. Lo aveva capito talmente bene che a furia di tweet polarizzanti è divenuto presidente degli Stati Uniti.

Peccato che il mondo sia un arcobaleno di colori. E soprattutto il mondo in cui viviamo sia all’apice della sua complessità, socio-politico-tecnologica. Come facciamo ad aiutare la generazione dei Centennials (i nati dopo i12oo8) a uscire da questa trappola? Loro sono l’evoluzione di Sapiens, quindi certamente la più astuta ed evolutivamente più adatta al mondo che ci circonda. Insegnando loro che questa polarizzazione può essere piacevole e a volte assai divertente. Ma non è il modo in cui si ragiona.

Insegnando loro che tesi e antitesi sono alla base del pensiero critico e stimolano la capacità di sintesi, ma che senza un ragionamento articolato e senza elaborazione, sono semplificazioni che banalizzano e rendono il tutto inopportuno. Che alimentano le fake news, che si nutrono di tifoserie ottuse. Che prima di dire bianco o nero, occorre approfondire, approfondire, approfondire. Occorre cioè imparare.

All’alba dell’era dell’intelligenza artificiale, siamo ancora lontani da una capacità di impiego dei social network e della tecnologia digitale coerente con la complessità che ci circonda.

In vista di fare questo percorso di apprendimento, se ci toccherà mettere like ancora per anni, speriamo almeno che questa dicotomia diventi uno Yin e uno Yang, gli opposti che si attraggono e che convivono nella cultura cinese e la cui compresenza permette di riflettere su una loro sintesi.

Così sarà anche per il voto in queste Europee nell’era digitale: perché la parte più importante delle elezioni sarà quella che arriva dopo. La logica binaria potrà averci aiutato a scegliere non certo a comporre il quadro delle diversità che compongono una comunità, le nazioni e l’Unione affinché possano essere governate.

Daniele Manca e Gianmario Verona    Il Corriere  28/5/2019

 

Vedi:  La democrazia digitale e i rischi di manipolazione

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