Il gesto volgare del ministro Salvini che agita il rosario e invoca la Madonna, usa cioè simboli estremi del cattolicesimo per ricattare i credenti e ottenere voti, ha aperto un nuovo varco alla politica del distruggere per governare.
Dopo avere spaccato con impegno e furore il reticolato di solidarismo italiano che, anche al colmo del fascismo, non si era mai veramente interrotto, si è dedicato a ripulire il Paese da ogni frammento di cultura e di storia, in modo da imporre la nuova autorità a un livello sempre più basso o sempre più spaventato. È stato inventato un popolo del “dopo” (dopo la raccolta di voti della Lega) che ha il compito di togliere di mezzo il popolo del “prima”, compreso il tuo insegnante e chiunque si porta addosso tracce di cultura e riferimenti alla storia.
Non sto dicendo che la Lega prende i voti di chi è rimasto isolato dalla cultura. Sto dicendo che il regime della Lega cerca e incoraggia i livelli isolati di vaste zone popolari già predisposte dalle cattive scuole, dalla televisione di Berlusconi e dall’equivalente giornalismo, per eliminare inutili e fastidiosi tributi al bello, al buono e al solidale e poter incassare voti e applausi, se persino la Marina militare italiana abbandona (o le viene ordinato di abbandonare) uomini, donne e bambini in mare. Apprezzata anche l’idea di incriminare chi li salva, sequestrando le navi che hanno appena protetto vite umane.
Bisogna ammettere che questo darsi da fare per essere sicuri di raccogliere il peggio non è un fenomeno solo italiano. Anzi, come sempre, l’Italia, che è cattiva ma prudente, ha aspettato un segnale forte. È arrivato da Donald Trump, con il suo immediato legarsi ai suprematisti bianchi e assassini. Ma quel rosario in pugno brandito come un’arma o come una superstizione che porta male ai disubbidienti, quel comizio finto religioso fondato sulla celebrazione della “Madonna dei porti chiusi” non è un semplice gesto volgare o un normale esempio di maleducazione. Segna l’apertura della terza fase, quella della guerra di religione.
Attenzione non stiamo parlando del tanto discusso “conflitto di civiltà”, fra islamici e cristiani. Stiamo parlando della guerra al Papa. I leghisti stanno portando il linguaggio sguaiato e i sacchetti di sabbia, e al momento giusto saranno pronti. Sanno che Papa Bergoglio non ha mai esitato nel giudicare la follia cattiva e inutile dei porti chiusi, la speciale crudeltà del lasciar morire i migranti in mare, la lotta accanita all’accoglienza, la guerra alle navi di soccorso Ong.
Ma il Papa insiste nell’accoglienza come principale dovere cristiano, e sa che il lato nero della Chiesa è pronto (a cominciare dal clima di accuse e calunnie che stanno spargendo alacremente, intorno a lui, a opera di alcuni cardinali e alcuni vescovi che si impegnano, come certi prefetti della Repubblica, a stare dalla “parte giusta”) a portare alla luce la congiura.
La guerra di religione spaccherà il Paese Italia perché il Papa che crede nell’accoglienza e rifiuta finti abbracci con il capo della Lega è a Roma, capitale del Paese che Salvini governa sulla base di valori anteguerra. Fa bene il Papa a non fingere misericordia e a non concedere udienze.
Ma di nuovo il peggio viene dall’America, e la pronta risposta italiana è la messa in scena (detta “per le famiglie”) del ministro leghista Fontana, con la sua rumorosa anche se non frequentatissima sosta a Verona. Ha dimostrato che bisogna restare pronti e attenti. Attenti a che cosa? Attenti al prossimo scontro sull’aborto, una grande questione morale che invece viene usata come dirompente arma politica. Si tratta di usare i diritti delle donne per spaccare i credenti, dagli aspri fondamentalisti cristiani ai miti praticanti cattolici.
La sequenza della strategia di estrema destra è esemplare: l’assemblea dello Stato dell’Alabama ha preparato e votato all’unanimità la legge dei 99 anni. È la pena per un medico che pratica un aborto. Non importa la ragione dell’aborto. Anche fermando un feto che non avrebbe potuto sopravvivere o che avrebbe ucciso la madre, sei un assassino. Il corpo giudiziario dell’estrema destra americana è già pronto, dai tribunali di campagna alla Corte Suprema. In America medici abortisti sono stati uccisi più volte, cliniche fatte saltare, stragi come quella di Oklahoma City ne sono la prova.
Ecco il senso del gesto tutt’altro che naïf del rosario in pugno in un comizio elettorale. Vuol dire “noi siamo pronti” e “la guerra è guerra”. Come sempre, in nome di Dio.
Furio Colombo Il Fatto 3/6/2019
L’Uso dei simboli religiosi per unire ceti non omogenei
Il successo delle destre sovraniste alle ultime elezioni europee non è stato solo un successo personale dei loro leader nazionali. Né è da ascrivere semplicemente all’uso sapiente dei social. Del resto, Marine Le Pen e Viktor Orbán non sono dei novizi; il loro è un successo di longue durée, fondato su un’idea di società nazionale ed europea non improvvisata.
Salvini, ultimo e più giovane, ha appreso l’arte con velocità, seguendo le orme dell’ungherese piuttosto che quelle «repubblicane» della francese: l’uso di simboli religiosi per cementare un blocco sociale per nulla omogeneo.
Si tratta di una scelta di notevole significato strategico, soprattutto se si considera che la nostra epoca e il continente europeo sono secolarizzati. Ma l’uso dei simboli religiosi serve a far marciare quella che Rogers Brubaker ha suggerito di chiamare ideologia del «civilizzazionismo». Il primo a metterla in pratica fu vent’anni fa il leader populista dei Paesi Bassi, Pim Fortuyn che con un mix di antiislamismo e libertarismo coniò il discorso della superiorità della civiltà olandese, tollerante in materia di genere e morale sessuale, per farsi portavoce dell’inquietudine diffusa negli ambienti omosessuali verso i valori musulmani. La civiltà liberale ed europea contro quella islamica.
In Italia e in Ungheria il «nativismo» è forse meno liberale che in Olanda; ma la narrativa civilizzazionista è facilmente adattabile ai contesti: la nostra civilità «giudeo-cristiana» dice Salvini; la nostra patria «bianca e cristiana» dice Orbán. Un’ideologia malleabile e adattabile alle più diverse situazioni socio-economiche e culturali.
Nelle regioni italiane del Nord ricco e plurietnico, vale a dare il senso di unicità del «noi» e di protezione dei traguardi raggiunti con le «nostre fatiche e il nostro lavoro». Nelle regioni del Sud (dove Salvini non è ancora riuscito a far dimenticare l’anti-terronismo della prima Lega) con una società disaggregata e dove lavoro e benessere scarseggiano, i simboli religiosi della civiltà cristiana prendono contorni più emotivi, veicolando lo scontento sociale che la presenza degli immigrati africani acutizza. A Rosarno, a Riace, a Lampedusa la Lega ha fatto il pieno di voti. Come anche nelle terre della Bassa Padania, nel largo e ricco hinterland del Nord che ha trovato in Salvini il paladino del regionalismo differenziato.
Il linguaggio del rosario e della croce baciata in omaggio alla vittoria elettorale svolge funzioni diverse: di identità culturale e di aiuto provvidenziale. Ringraziando pubblicamente il Supremo dopo le elezioni europee, Salvini ammette i suoi poteri limitati e manda un messaggio ai suoi sostenitori: come a voler dir loro che non gli si dovrà imputare tutto quello che non riuscirà a fare. Mentre i simboli della civiltà giudeo-cristiana fanno da collante che tiene insieme Nord e Sud, intraprendenza e fortuna, sono anche un’ottima rete di protezione per un leader che si sente carismatico. La narrativa di Salvini costruisce in questo modo un aggregato a partire dalle molte e diverse rivendicazioni.
Sulle orme di Donald Trump trova le corde giuste per unire interessi che difficilmente stanno insieme: quelli dei ceti medio-bassi e lavoratori precari e quelli dei ceti medio-alti; i «dimenticati» e gli «ultimi» insieme ai «fortunati» e al «primi»; coloro che cercano la mano pubblica e coloro che vorrebbero ridurla. Rotto il contratto sociale che doveva garantire la collaborazione tra le parti mediante tassazione progressiva e programmi di politiche pubbliche, la narrativa civilizzazionista tiene insieme basse tasse e assistenza, neoliberismo e carità.
In un indimenticabile album, Francesco Guccini tratteggiava un percorso immaginario «fra la via Emilia e il West», fra la grande bassa e il grande middle americano: luoghi senza un orizzonte, nei quali le aggregazioni restano forti a condizione che ci siano punti di riferimento visibili. E così che l’EmiliaRomagna vede alle elezioni europee la Lega diventare primo partito, con i centri storici ai democratici e le province e la grande bassa a Salvini.
In questi luoghi, dove ceti popolari e immigrati vivono gomito a gomito, il rosario diventa un segno di riconoscimento del «noi», un sostituto altrettanto visibile da lontano di quanto lo erano le bandiere rosse con la falce e il martello.
Nadia Urbinati La Repubblica 4/6/2019
Vedi: L'ondata d'imbarbarimento che travolge la democrazia
L’insostenibile ipocrisia di chi vuole il presepe con i profughi, ma non i migranti
La sindrome d'onnipotenza dei sovranisti
Discorso sulla laicità ai tempi della collera