“Tra i nostri ci sono ministri inadeguati, manca collegialità e comunicazione è da rivedere”

Il testo è stato consegnato in busta chiusa al capo politico in queste ore e tramite il capogruppo Patuanelli. L’assemblea ha votato a maggioranza su ogni singolo punto. All’interno, spiegano a ilfattoquotidiano.it, si passano in rassegna tutte le criticità emerse nell’ultimo anno, dalle difficoltà a comunicare con gli esponenti dell’esecutivo agli atti che arrivano in Aula blindati senza possibilità di discussione. Viene chiesto anche di rivedere il rapporto con i media, di ridiscutere il ruolo del capo politico e la poca trasparenza delle nomine pubbliche.

Inadeguatezza di alcuni ministri M5s; scarsa collegialità e trasparenza nella decisioni; la comunicazione, a partire dal rapporto con la stampa, da rivedere completamente. I senatori M5s, mentre il governo gialloverde affronta le ore più difficili dal suo insediamento, hanno consegnato un documento in busta chiusa al capo politico Luigi Di Maio. Il testo, diviso in punti, è stato votato dalla maggioranza degli eletti 5 stelle a Palazzo Madama: il piano era di consegnarlo al leader durante l’assemblea congiunta, ma visto che il confronto è stato annullato e rinviato a data da destinarsi, hanno deciso di farglielo avere tramite il capogruppo. “E’ il bilancio di un anno e in un momento così difficile è importante capire dove si è sbagliato per ripartire più compatti”, è il ragionamento di alcune fonti a ilfattoquotidiano.it. Del documento per ora ne esiste una sola copia ed è quella arrivata nelle mani di Di Maio.

Ministri e sottosegretari sotto accusa. Ma pure i decreti blindati e mai discussi –

Non è una novità in casa 5 stelle che serva una riorganizzazione. Lo ha detto il capo politico, che da settimane sta girando l’Italia per parlare con la base, ma lo hanno detto a più riprese anche gli eletti. Il problema, spiegano dal fronte parlamentare, è che in questo anno è mancato troppo spesso il confronto con chi siede alla Camera e in Senato, pattuglie consistenti che sono state ridotte a semplici passacarte di provvedimenti decisi dal governo. Nel documento si scrive proprio questo: intanto il fatto che le leggi arrivino blindate in Aula, sotto forma di decreti, e nel peggiore dei casi viene messa la fiducia. I senatori lamentano i pochi contatti con ministri e sottosegretari e, è scritto testualmente, mettono sotto accusa “l’inadeguatezza di alcuni di loro” che in questi mesi hanno dimostrato incapacità nel gestire l’attività di governo. Non è la prima volta che lo dicono e ora, mentre l’ipotesi rimpasto del governo gialloverde si fa strada, la critica è ancora più pesante: ci sono figure a cui sono stati affidati incarichi nell’esecutivo e che non si sono dimostrate all’altezza, dicono. In molti casi addirittura, i senatori sono stati costretti a rivolgersi ai loro ministri con interrogazioni che “non hanno mai ricevuto risposta”. Succede da sempre e capitava anche negli altri esecutivi, ma i 5 stelle, almeno su questo, pensavano che avrebbero marcato la differenza.

Più trasparenza nelle nomine pubbliche e cambiare il rapporto con i media. E ridiscutere il ruolo del capo politico –

La poca collegialità delle decisioni è un altro dei punti chiave. I senatori si sentono esclusi, molte volte ignorati. E si arriva fino a chiedere di rimettere in discussione il ruolo del capo politico, che non può accentrare tutte le decisioni, ma dovrebbe condividerle il più possibile come è “nello spirito del Movimento 5 stelle“. Al leader si chiedono anche delle riunioni periodiche con i gruppi in Parlamento per affrontare decisioni operative e di metodo: le assemblee congiunte sono “sfogatoi” che non portano a niente, dicono, e servono dei confronti reali in cui l’opinione delle truppe in Aula sia tenuta in considerazione. Collegialità e trasparenza viene chiesta, è un altro degli elementi contenuti nel testo, anche per le nomine pubbliche: quello che avrebbe dovuto essere il metodo dei 5 stelle, secondo i senatori, non è stato utilizzato. Nessuno è stato coinvolto e ci si è ridotti di nuovo “a dover accettare le decisioni di pochi”. Altro elemento cruciale su cui i senatori chiedono un cambio radicale è la comunicazione delle attività e il rapporto con la stampa. E’ il ritornello che i 5 stelle ripetono da mesi, ma il problema è che nessuno è mai intervenuto seriamente per modificare la situazione. “Sbagliamo nel modo in cui raccontiamo i nostri risultati”. E pure, spiegano, nelle relazioni con i media che vengono attaccati continuamente e anche senza motivo: si vada avanti nella legge per il conflitto di interessi, ma senza continuare a stigmatizzare i media come “male assoluto”. La gestione del caso Radio Radicale è solo l’ultimo degli esempi fatto dal gruppo.

Il documento entra nel merito però di molte altre criticità. Ci sono i tempi troppo lunghi di discussione delle proposte di legge sulla piattaforma Rousseau: se si vuole il coinvolgimento effettivo della base nella vita politica del Movimento, il sistema deve dare la possibilità di avere confronti immediati o almeno più veloci. “Allo stato attuale, si parla di almeno due mesi per ogni proposta”. C’è anche la richiesta di eleggere direttamente il capogruppo in Senato in tempi brevi: basta nomine dall’alto (in questo caso da Luigi Di Maio). E pure si chiede che venga fatta una separazione tra le cariche dirigenziali nel Movimento e i ruoli di governo. Era uno dei propositi di Di Maio, finora non ha avuto grandi applicazioni.

I sacrifici dei senatori. Che ora chiedono di essere ascoltati –

Le riflessioni dei senatori M5s arrivano nel momento più difficile per Luigi Di Maio. E non è un caso che siano formulate in modo così incisivo da Palazzo Madama: è in quell’Aula che si è consumata la spaccatura sul Tav, sempre lì che nell’ultima settimana è stato approvato il decreto Sicurezza bis nonostante le perplessità di una parte consistente del gruppo. A loro sono stati chiesti sacrifici in nome della compattezza, ora proprio loro chiedono di essere ascoltati. Storicamente i senatori M5s sono quelli che più a fatica ingoiano la linea se non la condividono. L’ultima prova risale a fine luglio scorso: Conte in Aula per parlare dei rapporti Lega-Russia, dai vertici 5 stelle (se ne prenderà la responsabilità poi Fraccaro) arriva la richiesta di uscire dall’emiciclo e ubbidisce solo una parte, l’altra resta e protesta indignata. Da quel giorno è iniziata a maturare l’idea di un documento da presentare a Di Maio che contenesse tutti i problemi e chiedesse soluzioni concrete. Oggi è stato consegnato, prima che per il Movimento sia troppo tardi.

Ilfattoquotidiano.it      9/8/2019

 


Il ritorno di Grillo e quell’abbraccio ai nemici dem

Uscendo dalla vetrina dei busti di marmo nel quale l’avevano chiuso Di Maio e Casaleggio, Beppe Grillo  è tornato a sorpresa sul palcoscenico dei cinquestelle per annunciare che la Compagnia del Movimento vara uno spettacolo con un numero inedito, un doppio salto mortale all’indietro per atterrare sulla scivolosissima pedana di un’alleanza con il nemico di sempre, il Pd.

E pazienza se viene sacrificata la coerenza, antico valore che ora è diventato disprezzabile («la coerenza dello scarafaggio» la chiama lui) ma il fine che giustifica il mezzo è un«governo della Repubblica» che eviti la fine della legislatura, la vittoria di Salvini e la decimazione del battaglione grillino nel Palazzo.

La tribuna è quella di sempre, il blog di Grillo. Da qui, da quella asettica stanza virtuale dove il comico genovese si è rifugiato da mesi, allontanandosi dall’imbarazzante quotidianità del governo giallo-verde per dedicarsi agli aerei con le piume, ai mattoni di plastica e alla birra fatta con l’acqua dei depuratori, partita la nuova parola d’ordine: «Sopravviviamo!». Non diamola vinta, dice il fondatore dei cinquestelle, a chi ci dà per morti.

«Il Movimento è biodegradabile», avverte, «ma questo non significa che noi siamo dei kamikaze». Non finiremo come una lavatrice buttata nel fiume, «coerentemente in attesa di arrugginirsi».Con queste parole, Di Maio e compagni sono ufficialmente liberati dal dovere della coerenza. Quello che ieri era nero oggi può diventare bianco.

E se c’è da fare dei «cambiamenti» per «salvare l’Italia dai nuovi barbari», ebbene «facciamoli subito, altro che elezioni!». Il capo dei «nuovi barbari» è ovviamente Matteo Salvini, lo stesso alleato sul quale Grillo fino all’altro ieri metteva la mano sul fuoco, perché «è uno che quando dice una cosa la mantiene, il che è una cosa rara».

Oggi invece il guru pentastellato s’è accorto che il capo dei leghisti è «il restyling in grigioverde dell’establishment», e dunque si possono riutilizzare per lui le definizioni al vetriolo che erano state chiuse nei cassetti dopo il contratto di governo, ovvero«Salvini ballista», «Salvini bugiardo» e «Salvini impresentabile».

Naturalmente il primo a esultare è Luigi Di Maio, che non ha comprensibilmente alcuna voglia di lasciare Palazzo Chigi, i due ministeri e pure lo scranno di deputato, se un nuovo referendum sulla piattaforma Rousseau non gli consentirà di aggirare la regola dei due mandati. Infatti è stato lui a rilanciare subito su Facebook il post del fondatore, felice di annunciare ai suoi che «Beppe è con noi ed è sempre stato con noi», cercando di far dimenticare la scudisciata che gli aveva dato Grillo dopo aver letto del «mandato zero».

Un post secco, che adattava alla nuova idea del “capo politico” la strofa di una celebre canzone di Julio Iglesias: «Il mandato ora in corso è il primo di un lungo viaggio/ ma di andarmene a casa non ho proprio il coraggio». Il via libera dell’amico Beppe permette però a Di Maio di lavorare allo scoperto per allungare il suo secondo mandato. Cercando alleati per un esecutivo d’emergenza di cui circola già il nome, «governo della Repubblica».

Fino a ieri lui aveva un problema grande come Palazzo Chigi: dopo che Salvini ha chiuso la porta, l’unica maggioranza possibile richiederebbe i voti del Partito democratico. E come poteva Di Maio presentarsi a chiedere i voti in Parlamento a quello che fino a ieri ha definito con voce sprezzante «un partito affamato di soldi», «un partito che rappresenta il peggio del Paese»? Come avrebbe giustificato un patto con quello che «di tutti i partiti coinvolti negli scandali di corruzione si sta comportando nella maniera più vergognosa»?. Con che faccia poteva trattare con «il partito di Bibbiano»?

Adesso, dopo che Grillo lo ha liberato dall’obbligo di restare fedele alla «coerenza dello scarafaggio», il vicepremier grillino non si sente più come «una lavatrice buttata nel fiume», ed è pronto al «cambiamento», finalmente autorizzato dal custode dell’ortodossia pentastellata a dare ai suoi il contrordine che molti a spettavano già. E che nella notte di San Lorenzo hanno desiderato, cercando una stella cadente che non fosse la loro.

Sebastiano Messina      La Repubblica  11/8/2019

 

Vedi:  M5S, fine dell'innocenza

Pensiero Urgente n.216)

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