Pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Maurizio Viroli, “Nazionalisti e patrioti”, in uscita oggi per Laterza.

Perché il nazionalismo è pericoloso e va combattuto con assoluta intransigenza? Perché non nasce come un linguaggio che esalta la libertà, ma come un linguaggio che esalta l’omogeneità culturale o etnica: non insegna il rispetto per la persona umana, ma giustifica il disprezzo per chi non appartiene alla nostra nazione.

I crimini contro l’umanità perpetrati in nome del nazionalismo non sono stati errori, ma logiche conseguenze dei princìpi di quella dottrina. […]

Chi ha vissuto gli inizi dell’offensiva nazionalista nei primi decenni del Novecento non immaginava certo l’orrore dei lager. Mai mettere limiti alla malvagità e alla crudeltà degli esseri umani intossicati dalle ideologie dell’odio e della paura.

Quel che è certo è che se continuerà a vincere, il nazionalismo ci porterà a una democrazia intollerante e barbara. Sulla sua bandiera ci sarà scritto: “Prima gli italiani!”. Ma quali italiani? Gli italiani come Mussolini o come Carlo Rosselli? Come Salvatore Riina o come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Come Silvio Berlusconi o come Stefano Rodotà? Gli italiani corrotti o gli italiani onesti?

Prima la dignità delle persone, questo deve essere il principio della nostra Repubblica: tutte le persone, gli italiani e i non italiani che vivono con noi. La dignità della persona si difende proteggendo con severa intransigenza la sicurezza e la libertà di tutti.

La legge deve valere per gli italiani e per gli immigrati, di qualunque colore sia la loro pelle, senza eccezioni. La nostra Costituzione, vale la pena ricordarlo agli smemorati e a chi non l’ha mai capito, afferma che “L’Italia è una repubblica democratica”, non che “L’Italia è la repubblica degli italiani”.

La storia insegna che contro il nazionalismo serve poco alzare la bandiera del cosmopolitismo, un ideale nobile che convince la ragione ma non tocca le passioni ed è sempre stato, e sarà sempre, principio di ristrette élites intellettuali. Poco giova, anzi nuoce, esaltare la visione della patria europea separata dalla patria italiana.

Nata all’indomani della guerra contro i totalitarismi figli del nazionalismo, l’Europa è un ideale che appartiene a un tempo lontano e ormai dimenticato. Molti cittadini degli Stati europei vedono ormai l’Unione europea come l’espressione di un potere lontano e oppressivo. Secondo i partiti nazionalisti, la cosiddetta “globalizzazione” è andata a beneficio solo di una élite tecnocratica che professa un cosmopolitismo del privilegio.

Se vogliamo contrastare il nazionalismo che fa leva sugli interessi locali, sul linguaggio, sulla cultura, sulle memorie e sull’etnia dobbiamo usare il linguaggio del patriottismo repubblicano che apprezza la cultura nazionale e i legittimi interessi, ma vuole elevare l’una e gli altri agli ideali del vivere libero e civile.

La retorica nazionalistica è sempre stata ed è tuttora particolarmente efficace sui poveri, sui disoccupati, sugli intellettuali frustrati e sulla classe media in declino. Le persone socialmente umiliate e scontente trovano nell’appartenenza alla nazione un nuovo senso di dignità e di orgoglio: “Sono povero, ma almeno sono americano (o tedesco, o italiano)”.

In questo modo forze sociali importanti che potrebbero contribuire alla causa della sinistra democratica sono spesso passate – e ancora passano – nel campo della destra. Per questa ragione, oltre alle ragioni ideali, la sinistra avrebbe dovuto contrastare il nazionalismo con il linguaggio del patriottismo.

Invece la sinistra ha quasi sempre lasciato alla destra il monopolio di questo linguaggio. È stata internazionalista e ha coltivato un patriottismo basato sulla lealtà al partito o al sindacato. Tranne poche lodevoli eccezioni, gli intellettuali di sinistra non si sono impegnati per costruire un linguaggio del patriottismo capace di sconfiggere il nazionalismo. Bisogna porre urgentemente rimedio a questa debolezza intellettuale e politica.

La sinistra democratica deve affrontare il nazionalismo sul suo medesimo terreno; deve rispondere al bisogno di identità nazionale, ma la sua risposta deve essere diversa da quella del nazionalismo. […]

Se usato come si deve, il patriottismo può sostenere anche oggi diverse forme di lotta per l’emancipazione e il riconoscimento. Può aiutarci ancora a riscoprire e a vivere l’impegno politico nel suo significato più alto e genuino di arte della repubblica.

Abbiamo bisogno di un patriottismo che tenga unite patria e umanità; nazione, libertà politica e giustizia sociale. Vorrei sbagliare, ma mi pare proprio che ancora pochi comprendano questa lezione così semplice della storia. La capiremo, forse, quando sarà troppo tardi.

Maurizio Viroli      Il Fatto  18/10/2019


 

Partendo da Jean-Jacques Rousseau e passando da Giuseppe Mazzini, Giovanni Gentile, Benedetto Croce, Piero Calamandrei, Carlo Rosselli e molti altri ancora, Maurizio Viroli delinea criticamente una delle questioni più rilevanti del nostro tempo e della nostra politica: la differenza tra nazionalismo e patriottismo.

Il nazionalismo svilisce la libertà, esalta l’omogeneità culturale o etnica, giustifica il disprezzo per chi non appartiene alla nostra nazione. Oggi, il nazionalismo è rinato e diventa ogni giorno più forte. Come ha già fatto in passato, può distruggere i regimi liberali e democratici e aprire la strada al totalitarismo.

Se vogliamo difendere le nostre istituzioni liberali e democratiche dobbiamo in primo luogo intendere il significato e il linguaggio del nazionalismo. Quando è nato? Quali idee, istituzioni e azioni politiche ha voluto combattere? Quali ha, invece, sostenuto o auspicato?

Maurizio Viroli, nella prima parte di questo libro, illustra la questione del nazionalismo attraverso le voci di alcuni dei più rilevanti intellettuali che ne hanno discusso, da Rousseau a Benedetto Croce. Nella seconda parte del libro l’autore indaga in che modo e con quali mezzi contrastare efficacemente il nazionalismo. La storia, sostiene Viroli, ci ha insegnato che contro il nazionalismo serve a poco alzare la bandiera del cosmopolitismo, un ideale che convince la ragione ma non tocca le passioni, da sempre principio di ristrette élite intellettuali. Quale può essere, allora, un antidoto efficace alla febbre nazionalista?

Secondo Viroli, se vogliamo contrastare il nazionalismo – che fa leva sugli interessi locali, sulla cultura, sulle memorie e sull’etnia – dobbiamo usare il linguaggio del patriottismo repubblicano, capace di apprezzare la cultura nazionale e i legittimi interessi di ciascun cittadino ma anche di elevare l’una e gli altri agli ideali del vivere libero e civile.

Spiega perfettamente il contrasto ideale tra patriottismo e nazionalismo il pensiero di Carlo Rosselli, che identificava il primo con gli ideali di libertà basati sul rispetto per i diritti degli altri popoli; il secondo con la politica di espansione perseguita dai regimi reazionari. Entrambi si appellano al sentimento nazionale, entrambi suscitano passioni forti. Ma proprio per questo essi devono essere usati l’uno contro l’altro.

Invece di condannare il sentimento nazionale come un pregiudizio, gli antifascisti devono porre il patriottismo al centro del loro programma politico. La rivoluzione antifascista, scriveva Rosselli, è «un dovere patriottico»

(IBS)

 

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