Gentile Augias, alcune figure professionali subiscono una delegittimazione del ruolo sociale che sta comportando delle conseguenze gravi. Fino a qualche decennio fa i medici dispensavano in maniera pressoché insindacabile le cure e solo in caso di palesi errori clinici veniva messo in discussione il loro operato. Gli insegnanti, a loro volta, erano considerati i depositari del sapere e della trasmissione dello stesso agli alunni e difficilmente si mettevano in discussione metodi e comportamenti.

Oggi, nella migliore delle ipotesi, questi professionisti sono spesso oggetto di attacchi verbali o di denunce; nella peggiore ipotesi, di aggressioni fisiche. Non si chiede certo di esimersi dal criticare o denunciare errori e comportamenti scorretti; però, al contempo, va recuperato il rispetto del lavoro di queste figure prima che venga perso un altro importante valore che regola la civile convivenza.    Calogero Barranco — barranco.c@libero.it

Il signor Barranco sottolinea una delle novità di comportamento indotte dalla rivoluzione digitale e delle comunicazioni sociali (social media). Fenomeno noto agli studiosi che non riguarda solo l’Italia, analizzato anche a livello politico. C’è per esempio negli Stati Uniti chi sostiene che in assenza di questo svilimento delle competenze un uomo come Donald Trump non sarebbe arrivato alla Casa Bianca. A un livello più modesto, in una città come Napoli si è arrivati a sequestrare un’ambulanza per farvi salire di forza un giovanotto che aveva una distorsione, violando priorità e competenze.

Tom Nichols (insegna ad Harvard) ha scritto un saggio diventato famoso. Titolo: La conoscenza e i suoi nemici (Edito dalla Luiss). Parla degli Stati Uniti ma la situazione italiana non è migliore: «Il sapere di base dell’americano medio e ormai talmente basso da essere crollato prima al livello di “disinformazione” e ora sprofondato nella categoria “errore aggressivo”».

È esattamente il preoccupante fenomeno di cui la lettera si fa interprete. Cito: «Uno degli aspetti più impressionanti non è tanto il fatto che la gente rifiuti la competenza ma che lo faccia con tanta frequenza, su così tante questioni e con una tale rabbia». Un atteggiamento di questo tipo si è facilmente diffuso in un paese come l’Italia dove un numero esagerato di persone hanno creduto che si potessero curare forme tumorali con il bicarbonato, che la terra sia piatta, che i vaccini inducano deficienze mentali.

Secondo Nichols si tratta di qualcosa che supera il normale scetticismo nei confronti degli esperti. «Forse stiamo assistendo — scrive — alla fine dell’idea stessa di competenza, un crollo di qualsiasi divisione tra professionisti e profani, studenti e insegnanti, conoscitori e fantasiosi speculatori».

Senza sottovalutare la sindrome già individuata da Fruttero&Lucentini nel saggio La prevalenza del cretino . Recensendo quel testo fondamentale, Guido Ceronetti scrisse: «Quando la Chiesa parlava latino diceva non praevalebunt . Intendeva i cretini. Si sbagliava. Prevalgono. La prevalenza del cretino è una realtà».

Un egualitarismo insensato e caricaturale ha cancellato in noi il pudore della nostra ignoranza dandoci anzi l’orgoglio di esibirla.

Corrado Augias      Repubblica    8/ 1/ 2020


 

Il libro: Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia,  ed. Luiss University Press  2018,  € 20


Il grande sviluppo tecnologico della nostra era ci ha dato accesso a una quantità di informazioni senza precedenti. Il risultato, però, non è stato l’inizio di un nuovo illuminismo, ma il sorgere di un’età dell’incompetenza in cui una sorta di egualitarismo narcisistico e disinformato sembra avere la meglio sul tradizionale sapere consolidato. Medici, professori, professionisti e specialisti di ogni tipo non sono più visti come le figure a cui affidarsi per un parere qualificato, ma come gli odiosi sostenitori di un sapere elitario e fondamentalmente inutile.

Che farsene di libri, titoli di studio e anni di praticantato se esiste Wikipedia? Perché leggere saggi, ricerche e giornali quando Facebook mette a nostra disposizione notizie autentiche e di prima mano? L’”apertura” di Internet e la sua apparente libertà sono solo i primi colpevoli contro i quali Tom Nichols punta il dito. Oltre ai social network, alla democrazia dell’”uno vale uno” e ai semplicismi che la rete favorisce, Nichols attacca anche l’emergere del modello della customer satisfaction nell’educazione universitaria, la trasformazione dell’industria dei media in una macchina per l’intrattenimento aperta 24 ore su 24 e la spettacolarizzazione della politica. (IBS)

 

Dalla Prefazione del libro di Tom Nichols:

“La fine della competenza” è una di quelle frasi che annunciano in modo pomposo la propria presunzione. È un titolo che rischia di respingere molti lettori ancor prima che aprano il libro, quasi sfidandoli a trovare un errore da qualche parte, solo per poter tacciare l’autore di arroganza. Comprendo questo tipo di reazioni, perché anch’io la penso allo stesso modo nei confronti di dichiarazioni tanto assolute. La nostra vita culturale e letteraria è piena di funerali prematuri: la vergogna, il buonsenso, la mascolinità, la femminilità, l’infanzia, il buongusto, l’alfabetizzazione, la punteggiatura, ecc. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è l’ennesimo panegirico per una cosa che, lo sappiamo, non è affatto morta. Se le competenze di settore non sono morte, sono però nei guai. Qualcosa è andato terribilmente storto. Oggi l’America è un Paese ossessionato dal culto della propria ignoranza. Il punto non è soltanto che la popolazione non ne sa molto di scienze, di politica o di geografia (di fatto è così, ma è un vecchio problema). E in verità, non è neanche un problema, poiché viviamo in una società che funziona grazie alla divisione del lavoro, sistema ideato per liberare ciascuno di noi dalla necessità di sapere tutto. I piloti fanno volare gli aeroplani, gli avvocati dibattono le cause legali, i medici prescrivono farmaci. Nessuno di noi è Leonardo da Vinci, che dipingeva la Gioconda al mattino e progettava elicotteri di notte. E così dev’essere.

No. Il problema più grande è che siamo orgogliosi di non sapere le cose. Gli americani sono arrivati a considerare l’ignoranza, soprattutto su ciò che riguarda la politica pubblica, una vera e propria virtù. Per gli americani rifiutare l’opinione degli esperti significa affermare la propria autonomia, un modo per isolale il proprio ego sempre più fragile e non sentirsi dire che stanno sbagliando qualcosa. È una nuova Dichiarazione di indipendenza: non riteniamo più ovvie queste verità, le consideriamo tutte ovvie, anche quelle che vere non sono. Tutte le cose sono conoscibili e ogni opinione su un qualsiasi argomento vale quanto quella di chiunque altro.

Quel che è peggio, oggi a colpirmi non è tanto il fatto che la gente rifiuti la competenza, ma che lo faccia con tanta frequenza e su così tante questioni, e con una tale rabbia. Di nuovo, forse gli attacchi alla competenza sono più evidenti per via dell’onnipresenza di internet, dell’indisciplina che governa le conversazioni sui social media o delle sollecitazioni poste dal ciclo di notizie ventiquattr’ore su ventiquattro. Ma l’arroganza e la ferocia di questo nuovo rifiuto della competenza indicano, almeno per me, che il punto non è più non fidarsi di qualcosa, metterla in discussione o cercare alternative: è una miscela di narcisismo e disprezzo per il sapere specialistico, come se quest’ultimo fosse una specie di esercizio di auto- realizzazione.

Ciò rende molto più difficile per gli esperti ribattere e convincere la gente a ragionare. A prescindere dall’argomento, la discussione viene sempre rovinata da un rabbioso egocentrismo e termina senza che nessuno abbia cambiato posizione, a volte con la compromissione di relazioni professionali o perfino di amicizie. Invece di dibattere, oggi ci si aspetta che gli esperti accettino queste espressioni di dissenso, come se fossero, nel peggiore dei casi, un’onesta divergenza di opinioni. Dovremmo “accettare di non essere d’accordo” (agree to disagree). espressione che ormai e usata in modo indiscriminato come una specie di estintore quando una conversazione tende a infiammarsi. E se insistiamo nel dire che alcune cose non sono questioni di opinione, che ci sono cose giuste e altre sbagliate… be’, a quanto pare ci stiamo solo comportando da rompiscatole.

Ora. comunque, siamo andati nella direzione opposta. Non con un sano scetticismo nei confronti degli esperti, ma con il deciso risentimento di molti, convinti che gli esperti si sbaglino per il semplice fatto di essere tali. Fischiamo i “cervelloni” – un termine che adoperiamo con una rinnovata accezione dispregiativa mentre spieghiamo ai nostri medici quali farmaci ci occorrono o insistiamo nel dire agli insegnanti che le risposte dei nostri figli a una prova d’esame sono giuste anche se sono sbagliate. Non solo tutti sono più bravi di chiunque altro, ma tutti pensiamo di essere le persone più intelligenti mai vissute sulla terra. E non potremmo avere più torto di così.


 

Il libro: Carlo Fruttero e Franco Lucentini, La prevalenza del cretino,  ed. Mondadori   1985

 

Dal libro di Fruttero e Lucentini:

È stato grazie al progresso che il contenibile “stolto” dell’antichità si è tramutato nel prevalente cretino contemporaneo, personaggio a mortalità bassissima la cui forza è dunque in primo luogo brutalmente numerica; ma una società ch’egli si compiace di chiamare “molto complessa” gli ha aperto infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, a destra come a sinistra, gli ha procurato innumerevoli poltrone, sedie, sgabelli, telefoni, gli ha messo a disposizione clamorose tribune, inaudite moltitudini di seguaci e molto denaro. Gli ha insomma moltiplicato prodigiosamente le occasioni per agire, intervenire, parlare, esprimersi, manifestarsi, in una parola (a lui cara) per “realizzarsi”.

Sconfiggerlo è ovviamente impossibile. Odiarlo è inutile. Dileggio, sarcasmo, ironia non scalfiscono le sue cotte d’inconsapevolezza, le sue impavide autoassoluzioni (per lui, il cretino è sempre “un altro”); e comunque il riso gli appare a priori sospetto, sconveniente, «inferiore», anche quando − agghiacciante fenomeno − vi si abbandona egli stesso.

 

 

 

“Quando la maggior parte di una società è stupida allora la prevalenza del cretino diventa dominante ed inguaribile.”

Carlo M. Cipolla (1922- 2000), storico, accademico e Professore Emerito di storia Economica nell’Università Californiana di Berkeley

 

 

 

 

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