Oggi il governo Conte proverà con i governatori a mettere un ordine nel caos. Auguri. Ma fra gli effetti collaterali del Covid-19 c’è quello di aver moltiplicato certi interrogativi sul nostro Paese.
Per esempio: come spiegheranno agli alunni di una scuola di Viterbo che non si va più in gita al lago di Vico, distante 14 chilometri verso Sud, perché a 460 chilometri verso Nord c’è chi ha preso l’influenza cinese? L’ha deciso il Consiglio dei ministri, diranno i professori nella speranza di non essere presi per matti. Perché non si andava a Codogno, epicentro dei contagi; era una scampagnata per vedere papere e fenicotteri. Senza pericolo d’incontrare anima viva.
Altrettanto difficile sarà per le loro colleghe di una scuola elementare romana persuadere bambini di otto anni che non vedranno la mostra degli Impressionisti a palazzo Bonaparte, piazza Venezia, perché alcuni signori hanno preso una fastidiosa malattia ben al di là dal fiume Po. E neppure i loro genitori potranno farsene una ragione.
Sia chiaro: qui non si tratta di minimizzare ma di usare il buonsenso, possibilmente remando tutti nella stessa direzione. Caratteristiche purtroppo non molto presenti nelle nostre pubbliche amministrazioni.
Dove anche in questo frangente abbiamo avuto la netta sensazione che la preoccupazione maggiore non sia stata quella di garantire la sicurezza dei cittadini, quanto quella di tutelare sé stessi per non essere poi imputati di inerzie o negligenze.
Trattasi di un comportamento sempre più diffuso, che spesso abbiamo potuto apprezzare, sia pure in scala inferiore, quando il sindaco ordina di chiudere le scuole e i parchi pubblici non a causa di una tormenta di neve ma perché piove forte o c’è molto vento.
E anche in questo caso ognuno va per conto proprio, senza una briciola di coordinamento. Si assiste così a iniziative che lasciano letteralmente basiti in questa folle gara fra chi vuole vincere il primato della zona più rossa.
Capita così che il presidente della regione Basilicata Vito Bardi, ex vicecomandante della Guardia di finanza eletto nelle liste di centrodestra, emani una militaresca ordinanza con cui prescrive la quarantena ai lucani che rientrano nei confini regionali dopo essere passati nelle due settimane precedenti in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria. O che i sei sindaci di Ischia, isola chissà perché suddivisa in sei comuni, riscoprano anche loro le comuni radici borboniche vietando gli sbarchi di turisti lombardi e veneti almeno fino al 9 marzo. Per non parlare dei rettori che decidono di sbarrare le porte delle università.
Non a Milano o Lodi, ma a Chieti e Pescara. E questo non è ancora niente al confronto dell’ultima sorpresina arrivata dalle Ferrovie dello stato, che ha annunciato la chiusura del traffico fra Lodi e Piacenza per controlli sanitari nella stazione di Casalpusterlengo. Piccolo particolare, dopo il deragliamento del Frecciarossa a Ospedaletto Lodigiano il 6 febbraio scorso passano da lì i convogli dell’alta velocità che collegano il Nordovest con Roma e Napoli: inimmaginabili le conseguenze di tale decisione. Senza che nemmeno sia chiaro il nesso fra i microbi eventualmente presenti in una stazione deserta e un treno veloce che transita lì davanti sui binari.
Vuote le metropolitane di Milano, scuole, atenei e uffici chiusi, prezzi dell’Amuchina alle stelle, mascherine introvabili, traffico ferroviario in tilt, disdette a raffica per gli alberghi, i treni e gli aerei: con la boccheggiante Alitalia che ci farà pagare un prezzo ancor più alto.
Questa psicosi di massa rischia di fermare del tutto un Paese già non particolarmente in salute dal punto di vista economico. Ed è ancora più pericolosa perché la situazione sembra sfuggita di mano. Mentre continua a chiedere agli italiani di non farsi prendere dal panico, chi avrebbe il compito di evitare il propagarsi dell’isteria manda segnali esattamente contrari.
Cosa deve pensare chi accende la televisione e apprende che cinema e teatri non apriranno, gli stadi sono vuoti, le partite di calcio rinviate, le manifestazioni e le riunioni pubbliche e private vietate, le gite scolastiche annullate, perfino le presentazioni dei libri cancellate, mentre alcuni governatori suggeriscono di non uscire di casa? Davvero ci si può stupire se in un clima simile c’è chi dà l’assalto ai supermercati o specula sui disinfettanti?
Manca soltanto il coprifuoco: ma non diciamolo, perché nella follia che ha colpito la classe dirigente di questo Paese potrebbe venire in mente a qualcuno.
Sergio Rizzo Repubblica 25/2/2020
Il coronavirus è una sindrome simil-influenzale. Viviamo la pandemia degli sciacalli.
Sono giorni che guardo con gli occhi lucidi i tg e le prime pagine dei giornali online e cartacei. Negozi vuoti, ristoranti e quartieri cinesi disertati, poche persone in giro e con la mascherina in faccia. È commovente immaginare che per liberare le città da razzisti e dalla gente che decide se vaccinare o meno i propri figli attraverso le JPEG su Telegram sia bastata una sindrome simil-influenzale che ha un tasso di mortalità del 2%, e il peggior giornalismo del mondo.
La crisi generata dal coronavirus sta mettendo alla prova il nostro sistema – e nessuno la sta superando. Nessuno, eccetto i medici, i microbiologi negli ospedali e i nostri ricercatori. Subiscono ogni giorno la pressione mediatica di opinionisti e politici che discettano di “cosa dovremmo fare contro il Coronavirus” perché hanno 10 tab di Chrome aperte su Wikipedia e nonostante questo mantengono la calma e provano valorosamente a dare un’informazione corretta attraverso i social. Il loro impegno in queste settimane ci sta dimostrando perché il nostro sistema sanitario, considerato da decenni uno fra i migliori al mondo, in questo momento sia classificato al secondo posto solo dietro a quello francese.
E tutti loro stanno dicendo – e chiaramente – da settimane che il panico e la xenofobia che si è generata nel nostro Paese sono totalmente infondati. Il coronavirus è stato e viene ancora raccontato come una condanna a morte. Vieni infettato, qualcuno ti prende e ti fa sparire in qualche ospedale militare e nessuno ti rivede più. Non è così.
Secondo i dati raccolti sugli oltre 70.000 casi cinesi il tasso di mortalità è dello 0.2% dai 10 ai 39 anni, con nessun morto fra i bambini dagli 0 ai 9 anni. Sale allo 0.4% fra i 40 e i 49 anni e supera l’8.0% fra chi ha più di 70 anni e il 14.8% fra gli ultra-ottantenni. Scende a 0.9% su “tutte le fasce d’età” se la persona infetta non soffre già di altre gravi malattie. L’influenza stagionale? Un tasso di mortalità dello 0.1% che uccide circa 5000 persone in 150 giorni in Italia ogni anno. L’ebola? Un tasso che arriva anche al 90% di mortalità. MERS? Circa il 35%. La SARS? Circa il 10%.
Come spiegato da professionisti come Maria Rita Gismondo, direttore responsabile di Macrobiologia Clinica, Virologia e Diagnostica Bioemergenze del laboratorio dell’Ospedale Sacco di Milano il coronavirus sarebbe “ poco più di un’influenza” perché produce vittime principalmente fra gli anziani e gli immunodepressi, mentre la quasi totalità di chi la contrae guarisce dopo pochi giorni. “Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale,” ha scritto la primaria, “non è così. Vi prego, abbassate i toni”.
Anche per Ilaria Capua, virologa e direttrice dell’One Health Center of Excellence dell’University of Florida, il Coronavirus sarebbe una “ brutta influenza”. “Non abbiamo elementi per essere preoccupati,” ha dichiarato la ricercatrice, “se non di un contagio rapido e massiccio che farebbe ammalare (probabilmente in maniera lieve) un numero elevato di persone”. Anche per la Capua l’allarme mediatico risulta essere assurdo. “Credo che ci sia un allarme mediatico non giustificato dal comportamento reale dell’infezione. E penso che, nel giro di una settimana, molte cose si chiariranno”.
Matteo Bassetti, direttore del reparto di Malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova, ha ricordato che “la polmonite batterica provoca ogni anno la morte di circa 11.000 persone in Italia, soprattutto anziani, ed è la prima causa di morte per malattie infettive nei Paesi occidentali”, per poi aggiungere “il nuovo coronavirus sembra quindi meno aggressivo e meno letale rispetto alle precedenti forme cliniche, ma anche rispetto alle polmoniti che curiamo nei nostri ospedali”.
Addirittura il CNR ha rilasciato un comunicato stampa in cui definisce il Coronavirus come “ rischio basso”. “Il rischio di gravi complicanze aumenta con l’età, e le persone sopra 65 anni e/o con patologie preesistenti o immunodepresse sono ovviamente più a rischio,” dice la nota per poi concludere con “così come lo sarebbero per l’influenza”.
Queste sono le stesse osservazioni che si possono leggere sul sito dell’OMS o sul New York Times, ma i media mainstream e la politica italiana hanno deciso diversamente. Hanno deciso che moriremo tutti. Così dobbiamo accettare che i nostri giornalisti e politici ragionano come gli sceneggiatori di una soap opera anni Ottanta cancellata dopo due stagioni o di Game of Thrones.
Titoli come“Prove tecniche di strage”, “Nord Italia in stato d’assedio” e “Paralisi da virus” raccontano una realtà che semplicemente non esiste. E se le persone stanno assalendo i supermercati come se fossero inseguiti da qualche centinaio di zombie bavosi che si trascinano al rallentatore verso di loro, la responsabilità non è certo della comunità medica e scientifica. Se sono sparite le mascherine nonostante l’OMS abbia spiegato che le mascherine servono solo a chi è già infetto per non trasmettere il virus e che la loro assenza risulta essere un problema per i casi di tubercolosi e altre infezioni di certo non è colpa della “ signora del Sacco”.
È la manifestazione visiva della mediocrità della nostra classe dirigente. In un Paese normale questo concetto sarebbe trivellato nel cervello della gente 24/7 fino a far piovere mascherine.
Come raccontano gli esperti il coronavirus è più che altro un problema di contenimento. Un vaccino, nel migliore dei casi, richiederà almeno un anno per poter essere utilizzato. Per l’Ebola ci sono voluti cinque anni. Ma come è già successo per altre epidemie simili in passato non è necessario inoculare milioni di persone per arrivare a una risoluzione del problema, basta isolare gli infetti e le persone che sono entrate in contatto con loro fino a spegnere tutti i focolai. Un’operazione complessa che richiede organizzazione, capacità decisionale e velocità nell’implementare le necessarie misure di sicurezza.
Immaginate quindi il panico che deve aver provato in questi giorni il governatore della Lombardia Attilio Fontana quando gli hanno comunicato che è lui il governatore della Lombardia. Preso dall’emozione e ubriaco dall’improvvisa sensazione di potere ha dichiarato all’Adnkronos che i numerosi contagi in Lombardia sarebbero legati alle “feste del capodanno cinese e quindi un notevole numero di cittadini italiani di origini cinesi è tornato”, un’affermazione che ci ha immediatamente ricordato perché la Lega sta facendo di tutto per farci dimenticare che la Lega governa la Lombardia.
Ma anche il solitamente borioso Zaia l’abbiamo visto trasformarsi in poche ore in un omino balbettante e insicuro con lo sguardo incollato alle punte dei piedi. Per una generazione di boomer che vanta un’ingiustificata autostima personale e una capacità di leadership in dosi omeopatiche, confrontarsi con una crisi mondiale di questo tipo sta palesando tutte le loro evidenti incapacità. Fontana ha deciso quindi di chiudere scuole, università, musei, sospendere qualsiasi avvenimento pubblico e fermare i bar – ma solo dalle 18:00 alle 6.
È incredibile come la letalità del coronavirus abbia coinciso perfettamente per chi ci governa con la conclusione della Fashion Week milanese. Qua il vero test sarà scoprire chi vincerà fra l’epidemia e il più importante evento lombardo, il Salone del Mobile. Grazie a Regione Lombardia forse capiremo che il COVID-19 ama la moda, il design e frequenta i bar solo a orario aperitivo. Il suo regista preferito è Wes Anderson, è empatico su Tinder, ma dopo che ti scopa non ti risponde più su WhatsApp. Speriamo che questo possa aiutare allo sviluppo di un vaccino.
Come abbiamo già visto in passato per l’inesistente “emergenza immigrazione” e l’ancora più insensata “emergenza criminalità” ci troviamo ancora una volta a subire le influenti esternazioni di sciacalli che hanno un vasto interesse personale nel vampirizzare tragedie per terrorizzare gli italiani.
La paura ti fa guardare lo speciale serale di quel Tg, ti fa comprare il quotidiano per capire quando tua nonna morirà, ti fa cliccare di più quella storia sui contagiati che aumentano, fa sembrare il più fesso dei politici Patton che conduce alla vittoria i propri uomini in Nordafrica.
Siamo arrivati a un punto in cui non è più una “coincidenza” o “uno sbaglio”. È il sistema che funziona e opera così. Quindi sta a noi decidere se vogliamo credere a virologi di fama internazionale o a partiti che fino a qualche mese fa volevano togliere l’obbligo vaccinale dalle scuole. Se vogliamo credere a chi vive in prima persona dentro un ospedale una simile crisi, o a prostitute dell’attenzione determinate a fare di tutto pur di restare in televisione e che preferiscono pubblicare “blastaggi” piuttosto che paper.
Io la mia decisione l’ho già presa.
Anni di aperitivi buffet a 9.99€ con campioni di Grana Padano glassati da molteplici strati di tosse, patatine San Carlo e noccioline sfregate, sfregiate e umettate da umori corporali di ignota provenienza hanno prodotto nel mio corpo milanese un naturale sistema di difesa contro il coronavirus.
Non conosco invece rimedi per uno speciale del TG2.
Matteo Lenardon in The Vision 24 Febbraio 2020
“La paura è l’assassino della mente”
Frank Herbert (1920- 1986), scrittore di fantascienza americano
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