“Io non sono convinto che in questi mesi gli italiani abbiano dimostrato “responsabilità”, “disciplina”, “senso civico”. I nostri concittadini si sono fatti prendere dal panico, si sono lasciati convincere da un’informazione (soprattutto televisiva) sensazionalista, parziale, ispirata al ‘pensiero unico” del male assoluto.”
(da: Terrore sanitario e la gente comune. )
Basta col terrorismo sanitario
Spesso mi chiedo, dandomi un pizzicotto, se io stia vivendo uno spaventoso incubo sanitario. Perché proprio di incubo si tratta, particolarmente quando abbiamo appreso il contenuto di un recentissimo report del chimerico Comitato tecnico-scientifico, dietro il quale si fanno scudo i nostri impareggiabili decisori politici.
Ebbene secondo tale rapporto, ampiamente ripreso dai media nazionali, se l’Italia dovesse riaprire tutte le attività produttive e sociali il 4 maggio si arriverebbe in breve a dover ricoverare in terapia intensiva – udite, udite, o rustici! – ben 151mila persone. Ovviamente chi ha redatto questo stupefacente documento, evitando di arrotondare questa sproposita cifra per difetto, avrà ritenuto decisivo quel migliaio di intubati in più, così da rendere ancor più verosimile l’inverosimile.
Ora, senza entrare nel merito dei modelli statistico-scientifici con in quali si è giunti a codesta lunare conclusione, io vorrei permettermi di contrapporle alcune semplicissime valutazioni da uomo della strada informato sui fatti, compresi quelli che riguardano tanti altri Paesi europei.
In primis, considerando che nel momento più critico della pandemia il numero dei degenti in sala di rianimazione superava di poco le 4mila unità, mi resta difficile credere che si possa raggiungere in poco tempo un livello critico quasi 40 volte superiore. Ciò anche in virtù del fatto che, mentre all’inizio la pandemia, il cui agente patogeno circolava indisturbato da mesi in Italia, avevamo la guardia bassa, oggi persino i lattanti hanno capito come comportarsi per evitare il più possibile il contagio.
Tuttavia, se nemmeno il distanziamento e l’uso massivo delle mascherine ci impedisse di subire una seconda e ben catastrofica ondata, dovremmo trarre almeno due serissime conseguenze: a) il Covid-19 non è un semplice virus respiratorio, tutt’altro. Il Covid-19 è qualcosa di simile ad una mortale radiazione nucleare; b) Di conseguenza, di fronte ad una sì spaventosa minaccia, dovremmo restare in casa per mesi, o addirittura anni, fino alla definitiva scomparsa dalla faccia della terra del coronavirus.
Inoltre, elemento non secondario, ci dovremmo chiedere per quale strano caso del destino tutti quegli Stati europei che non hanno adottato alcun lockdown, o comunque un lockdown ben più soft del nostro, stiano superando assai meglio di noi la grave emergenza sanitaria. Mi riferisco a Paesi come la Svezia, l’Olanda, la Danimarca, la Svizzera, l’Austria, la Repubblica Ceca, eccetera, eccetera. Forse che questo microscopico nemico pubblico numero uno abbia deciso di accanirsi in modo particolare sull’Italia dei divieti, dei timbri, delle autocertificazioni e della caccia ai passeggiatori con i droni e gli elicotteri?
E ancora, tutto questo terrorismo sanitario sparso a piene mani, perché di questo si tratta, a cosa può portare se non a creare ulteriore panico presso la popolazione?
Una popolazione che, propria a causa di analoghi messaggi di natura apocalittica, si è fatta togliere senza fiatare e con un semplice atto amministrativo gran parte delle sue libertà costituzionali, scivolando in una misera condizione di sudditi tiranneggiati da un surreale regime di polizia sanitaria. A questo punto dove vogliamo condurla questa collettività confusa, impaurita, terrorizzata, nel baratro del sottosviluppo?
Intendiamo farla restare inchiodata altri mesi davanti alla tv ad ascoltare il martellante delirio inscenato dai tanti, troppi improvvisati Savonarola che ci ricordano di un non uscire altrimenti finiremo fulminati?
In ultimo, proseguendo in una così insensata strategia della paura, la quale come si è visto negli ultimi provvedimenti adottati quasi in solitaria da Giuseppe Conte ha di fatto impedito una reale riapertura del sistema produttivo, dove si troveranno le risorse per ricostruire il Paese, dopo una devastazione economica in buona parte autoinflitta?
Io credo che di questo passo, virus o non virus, tra qualche mese saremmo costretti a parlare di ben altro, a cominciare dalla morte di centinaia di migliaia di imprese, con milioni di disoccupati a cui sarà impossibile dare una risposta. Nell’interesse di tutti, spero di sbagliarmi.
Claudio Romiti in www.opinione.it 30/4/2020
Postilla
«Abbiamo detto no all’attività motoria in generale non perché rappresenti il primo fattore di contagio ma perché volevamo dare il senso che il regime di restrizioni […] doveva essere molto severo e stringente.» Davide Baruffi.
Così Davide Baruffi, sottosegretario alla presidenza della regione Emilia-Romagna, in una dichiarazione del 22/04/2020. A riprova di quanto cerchiamo di dire da due mesi: molti provvedimenti erano «teatro politico» e poco più.
Baruffi lo ammette candidamente: vietare corse e passeggiate non aveva motivazioni razionali legate al contagio, ma finalità di disciplinamento, a prescindere dalla pericolosità o innocuità dell’attività vietata.
Il 27 aprile, mentre genitori, esponenti della chiesa cattolica, insigni giuristi non certo “sovversivi” e in generale cittadine e cittadini criticavano l’impostazione autoritaria e «Fabbrica, patria, famiglia» dell’ultimo Dpcm (il primo della sedicente «fase 2»), il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini criticava il decreto per altre ragioni, una delle quali ci è parsa rivelatrice: Bonaccini vorrebbe l’obbligo di mascherina anche all’aria aperta e si è detto deluso perché Conte non l’ha introdotto.
Repetita iuvant: la mascherina è necessaria se si è a contatto con contagiati o in situazioni di assembramento, ed è consigliata in negozi e altri spazi chiusi dove ci si ritrovi tra estranei. All’aria aperta, invece, se si mantengono le distanze, nella grande maggioranza delle circostanze non serve a nulla. Portarla mentre si cammina all’aperto lontani da chiunque non ha senso. Indossarla mentre si fa attività fisica è addirittura pericoloso.
Il numero di persone che usano la mascherina all’aria aperta è rapidamente aumentato dopo un bombardamento di articoli e servizi tv in cui si descriveva il virus come una minaccia genericamente «là fuori», si demonizzava l’aria aperta e si criminalizzava chi usciva di casa «senza motivo». Negli ultimi giorni, almeno a Bologna, il numero sembrava di nuovo calato, ed ecco che Bonaccini se ne esce con quelle frasi.
Nonostante i media abbiano fatto di tutto per inculcare questa credenza, il virus non è genericamente «là fuori nell’aria». Non è la neve del fumetto L’Eternauta e nemmeno la nuvola velenosa del romanzo La nube purpurea. Se il virus fosse genericamente «nell’aria», non si dovrebbe nemmeno stare alla finestra e men che meno al balcone – dove invece ci esortavano a stare per flash mob, cantate collettive e sventolar di bandiere – e dovremmo tenere gli infissi sbarrati 24 ore su 24. Per non morire, dovremmo smettere di vivere.
«Ma», obietterà qualcuno, «io ho letto che il virus viaggia sulle polveri sottili. Quindi, sì, è nell’aria!» Non è proprio così. Su alcuni campioni di PM10 raccolti a Bergamo si sarebbe «ragionevolmente dimostrata» la presenza non del virus attivo, ma di tracce del suo RNA. Residui privi di carica infettante, trovati in almeno 12 dei 34 campioni, in 8 delle 22 giornate prese in esame.
Questi risultati, che sono parzialissimi e devono passare al vaglio della comunità scientifica, sono ben lungi dal provare che il particolato sia vettore di contagio. Lo dice anche il team della Società di Medicina Ambientale che ha condotto le ricerche.
Una delle finalità dichiarate è usare la presenza di RNA virale nel particolato come «indicatore per rilevare precocemente la ricomparsa del Coronavirus e adottare adeguate misure preventive prima dell’inizio di una nuova epidemia», nonché «per verificar[e] la diffusione [del virus] negli ambienti indoor come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico». Con motivazioni simili si stanno analizzando le acque reflue.
Il preprint da cui è nata la notizia si chiude così:
«Al momento, non si possono trarre conclusioni sul rapporto tra presenza del virus nel PM e andamento dell’epidemia di Covid-19. Altre questioni da affrontare in modo specifico sono le concentrazioni di PM eventualmente richieste per un potenziale “effetto boost” sul contagio nelle aree dove l’impatto del Covid-19 è più pesante, o anche la possibilità teorica di un’immunizzazione conseguente all’esposizione in dosi minime a basse quantità di PM».
Sui media tutte queste specificazioni e cautele passano in secondo piano o scompaiono, oscurate da titoli come: «È ufficiale, il coronavirus viaggia nel particolato atmosferico!». Il lettore medio non può che pensare al virus attivo, e ricavarne l’impressione che per contagiarsi basti tout court respirare, che stare all’aperto sia pericoloso.
Pericoloso può esserlo senz’altro, nei centri urbani, ma più che per il virus, per il particolato stesso. Molti che oggi sono terrorizzati dal virus non si sono mai preoccupati granché delle polveri sottili, eppure queste ultime causano tumori, malattie respiratorie, disturbi neurologici, e solo in Italia uccidono circa 60.000 persone all’anno.
L’idea che il virus attivo possa viaggiare nell’aria è stata definita «implausibile» in un documento della Rete Italiana Ambiente e Salute firmato da diversi epidemiologi:
«Pur riconoscendo al PM la capacità di veicolare particelle biologiche (batteri, spore, pollini, virus, funghi, alghe, frammenti vegetali), appare implausibile che i Coronavirus possano mantenere intatte le loro caratteristiche morfologiche e le loro proprietà infettive anche dopo una permanenza più o meno prolungata nell’ambiente outdoor. Temperatura, essiccamento e UV danneggiano infatti l’involucro del virus e quindi la sua capacità di infettare.»
Di questo virus non sappiamo ancora tutto. Ma di quel che già sappiamo, nulla può fare da pezza d’appoggio per l’obbligo generalizzato di mascherina.
Ancora una volta si invocano o introducono obblighi e divieti non per ragioni epidemiologiche, non basandosi su evidenze scientifiche, ma per questioni di spettacolo sociale e controllo dei comportamenti delle persone.
Bisogna far vedere che si soffre; bisogna ostentare la “penitenza” che gli italiani starebbero scontando; dovremmo «dare il senso di» un distanziamento che è qui per rimanere, «abituarci» all’idea di non avere più contatti ravvicinati.
… Un conto è parlare del distanziamento come di una necessità temporanea che tocca sopportare in attesa che la pandemia finisca; tutt’altra faccenda è dare per scontato che il distanziamento – con tanto di mascherina – sarà la condizione permanente del nostro vivere.
Certi improbabili “futurologi” descrivono, con inconfondibili brividi di piacere, una società che a noi, detta come va detta, fa schifo. Non ci rassegneremo ad alcun discorso, obbligo o divieto che ne favorisca l’accettazione.
Wu Ming 24/4/2020
“Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge e sotto il calore della giustizia.”
Montesquieu ( 1689- 1755), filosofo, storico e politico francese
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