“È possibile, data l’inconsistenza etica dei nostri governanti, che queste disposizioni siano dettate in chi le ha prese dalla stessa paura che esse intendono provocare, ma è difficile non pensare che la situazione che esse creano è esattamente quella che chi ci governa ha più volte cercato di realizzare: che si chiudano una buona volta le università e le scuole e si facciano lezioni solo on line, che si smetta di riunirsi e di parlare per ragioni politiche o culturali e ci si scambino soltanto messaggi digitali, che ovunque è possibile le macchine sostituiscano ogni contatto – ogni contagio – fra gli esseri umani.”
Giorgio Agamben, filosofo in Contagio
La spallata finale alla scuola
Condivido completamente questo articolo del professore e nostro collaboratore, Salvatore A. Bravo. Si rende assolutamente necessaria una mobilitazione di tutto il mondo della scuola, studenti, docenti e genitori per fermare questo “progetto” di demolizione della scuola che il ministro Azzolina sta portando avanti con solerzia. Aggiungo (anche per esperienza personale diretta) che la Dad (Didattica a distanza) può servire tutt’al più per una breve fase emergenziale ma NON può certamente diventare la normalità.
Quindi, prima la facciamo finita con questa sciocca celebrazione della digitalizzazione e dell’istruzione online e meglio sarà per tutti.
Studenti e docenti hanno bisogno di tornare in classe, a discutere, confrontarsi, polemizzare, ascoltarsi, apprendere reciprocamente gli uni dagli altri, socializzare, e anche ridere, scherzare, quando se ne presenta l’occasione, o arrabbiarsi e rimproverare quando è necessario.
La maieutica, il dialogo socratico, che è fondamentale per l’apprendimento, soprattutto delle materie umanistiche, NON può essere fatto online.
Piuttosto andiamo tutti nei parchi e nelle ville a fare lezione ma NON online. Qualcuno, forse molti, inevitabilmente si distrarranno, dato il contesto, ma sempre meglio, MOLTO meglio della didattica online.
La DaD rappresenta l’esatto contrario di ciò che dovrebbe essere la scuola. DaD. Hai visto mai che il conflitto sociale riprenda proprio dalla scuola?
(Fabrizio Marchi)
La lettera del ministro Azzolina del 27 Giugno 2020, ministro della pubblica istruzione non lascia dubbi, la pandemia è stata ghiotta occasione per dare la spallata finale alla scuola ed alla comunità.
La ministra si rivolge alla comunità, omettendo un dettaglio sostanziale, vi è comunità solo nel radicamento dialogico, nella storia, nel passato. Il presente ed il futuro sono dimensioni progettanti, solo se una comunità ha la chiarezza del proprio passato, degli errori, delle potenzialità inespresse come dei valori non contrattabili.
Nel testo della lettera non vi è cenno all’importanza del passato, ma il tutto è schiacciato sulla dimensione del presente e del futuro. La lingua e l’educazione classica fondano la comunità, si può leggere il presente e stabilire le finalità ontologiche ed assiologiche per il futuro, se il passato è parte integrante del presente. La lettera fa appello alla costituzione, ma nei fatti di essa non vi è traccia, poiché lo sguardo è rivolto al presente ed al futuro.
Un popolo-comunità senza passato non esiste, è solo disperso nella globalizzazione-glebalizzazione.
La lingua italiana, ne è un esempio, è ormai giudicata retaggio del passato, perché si punta solo sul presente ed sul futuro (di chi?), per cui l’inglese dei mercati divora la nostra lingua, sostituisce il lessico italiano con l’inglese.
E’ l’esempio più lapalissiano della didattica che punta sul presente e sul futuro e non ha memoria della propria identità che si radica in un arco temporale che unisce passato, presente e futuro.
Le comunità possono comunicare se hanno un’identità, se hanno un passato, se si disperdono nel presente sono solo simulacri, per cui sono interscambiabili, pertanto la comunicazione è sostituita con il nichilismo passivo nel quale i popoli come le persone sono interscambiabili:
“Sarà una scuola radicata nel presente, ma con lo sguardo rivolto al futuro, perché ogni pietra che metteremo in questa ripresa sarà la base su cui costruire la scuola di domani. Abbiamo la straordinaria occasione di puntare sul digitale, sulla formazione del personale scolastico, sull’innovazione della didattica e degli ambienti di apprendimento, sul miglioramento dell’edilizia scolastica. Ambienti di apprendimento che non devono essere intesi solo in senso fisico, ma come spazi mentali ed emotivi che incoraggino l’apprendimento collaborativo”.
Mondo digitale
L’appello al digitale come opportunità didattica non è supportata da nessun dato scientifico, è un dogma che si abbraccia funzionale ai bisogni del mercato globale, il quale esige ed ordina che le nuove leve del capitale abbiano pochi contenuti, ma siano edotti nell’uso non consapevole del digitale.
Naturalmente all’interno della scuola non vi è stato nessun dibattito, nessuna discussione sulla trasformazione che cade dall’alto ed a cui bisogna adeguarsi. Nessuna riflessione sugli effetti a breve o a lunga durata del digitale da un punto di vista fisico e psichico, ma solo accoglienza entusiastica e senza discussione nella scuola definita presidio di democrazia.
Le novità che incidono nella vita delle persone, qualora esse siano il centro dell’azione, non possono essere introdotte senza sperimentare e capire gli effetti. Si inneggia al successo senza aver ascoltato sindacati, docenti, genitori ed alunni. L’ascolto democratico è lungo e difficile e dev’essere argomentato con il concetto ed i dati oggettivi, se ci si limita pertanto ad una propaganda da campagna elettorale non vi è democrazia, ma una parvenza di essa.
Ancora una volta si deve rottamare il passato in nome del progresso, e specialmente il dubbio è d’obbligo: siamo sicuri che il nuovo nella forma del digitale formi maggiormente della didattica tradizionale già molto innovata negli ultimi decenni? Una comunità sana non procede per slogan, ma per domande e dubbi, ed in questi tempi terribili dubbi e domande profonde paiono assenti, mentre le risposte semplici sembrano prevalere.
Sempre più flessibili
La scuola di settembre sarà flessibile e aperta, dice il ministro, ma non si rende conto che i nostri alunni chiedono di stare nelle classi per poter imparare i contenuti, per vivere un’esperienza di comunità che è ormai rara, in quanto le lezioni sono continuamente interrotte da PCTO, orientamento, Pon e progetti, lo scopo, si sospetta, non è di formare, ma di rendere i nostri alunni flessibili, pronti ad essere usati dal mercato:
“La scuola di settembre sarà responsabile, flessibile, aperta, rinnovata, rafforzata. Responsabile nell’accompagnare la comunità scolastica a comportamenti coerenti con le misure di sicurezza: istituti puliti e igienizzati, personale scolastico formato, famiglie, studenti e studentesse informati. Flessibile nella valorizzazione delle potenzialità derivanti dall’autonomia scolastica, per la rimodulazione degli orari e delle classi, per l’organizzazione degli ingressi e degli spostamenti. Aperta per la ricerca di nuovi spazi, anche oltre il perimetro scolastico, in un’ottica di integrazione e di alleanza con il territorio. Rinnovata nei locali e negli arredi scolastici, che consentano di modificare le metodologie didattiche e siano funzionali a creare geometrie d’aula variabili, a facilitare la collaborazione tra gruppi omogenei ed eterogenei per competenze e livelli. Rafforzata attraverso il potenziamento dell’organico del personale scolastico, in particolare per le classi di alunni più piccoli”.
Nessun dio verrà a salvarci, c’è da augurarsi che le comunità scolastiche possano concettualizzare il presente e le parole per poter difendere la formazione e la comunità da una disumanizzazione che che avanza in mille forme e che richiede risposte a cui non possiamo sottrarci.
Salvatore A. Bravo in http://www.linterferenza.info/ 28/6/2020
La DaD ha salvato la “baracca”?
C’è chi ripropone, ad ogni occasione, come una sorta di mantra spirituale, la tesi secondo cui la Didattica a distanza (DaD) avrebbe (?) “salvato la scuola” dalla crisi generata dall’emergenza pandemica.
Io so solo che c’è chi ha lavorato sodo, h24, per non sortire un granché dai propri allievi, ed a parità di retribuzione, e chi si è “grattato la schiena”, per dirla senza peli sulla lingua, percependo lo stipendio. Direi che questa è una prassi anche nella realtà quotidiana di chi vive la scuola in presenza, e direi il mondo del lavoro in genere: Fantozzi docet. Ma non è il punto centrale del mio ragionamento.
Non mi interessa il divide et impera tra i lavoratori. Dicevo, invece, che c’è chi si mostra convinto, in buona o in mala fede, che la DaD abbia “salvato la scuola”. Io dico che ha solo mortificato e annichilito, in una misura ulteriore, i valori della cultura, della democrazia e della giustizia. Ora provo a spiegarne il perché.
A parte il fatto che l’orario settimanale di servizio per molti insegnanti è già, di fatto, aumentato in misura notevole. Nel trimestre in cui si è lavorato, bene o male, con la DaD, so di molti colleghi e colleghe che hanno lamentato proprio un simile esito in termini di tempo effettivo dedicato al lavoro, ed a parità di retribuzione economica. Non è nemmeno questo il punto cruciale della mia riflessione, che non è condizionata (vorrei chiarirlo), né da umori personali, né da preconcetti.
Il problema che mi preme sollevare è di ordine educativo e didattico. È quasi un assioma di tipo apodittico, cioè che non ha bisogno di dimostrazione, tale è la sua evidenza, che la DaD non ha sortito alcun valido esito pedagogico e culturale.
Direi che, nella migliore delle ipotesi, la DaD ha solo tamponato un vuoto didattico ed educativo generato da un grave rischio epidemiologico. Il ricorso a forme e strumenti digitali è servito a ricucire e stabilire un legame virtuale con alcuni alunni, specie i più piccoli e fragili.
In alcune situazioni la DaD ha mantenuto insieme le classi ed ha permesso una relazione umana di dialogo ed empatia tra i docenti e i loro discenti. Ed è stato un bene. Io stesso ho impiegato varie forme di didattica a distanza, anzitutto per ripristinare quel legame affettivo ed empatico con i miei alunni.
Ma non tutti i miei alunni e le loro famiglie hanno avuto gli strumenti (tecnici, economici e culturali) per seguire in maniera serena ed efficace le attività on-line. Ma non è soltanto una questione di dispositivi digitali in comodato d’uso gratuito a beneficio delle famiglie più bisognose (specie quelle numerose), né di connessione alla Rete.
È anche e soprattutto una distanza di tipo socio-culturale ed economico, che è riconducibile ad un divario di classe, di status materiale e sociale, vigente al di là della didattica a distanza, poiché esiste nella realtà concreta ed iniqua della società in cui viviamo, per cui si ripercuote nelle dinamiche della scuola in presenza. E chi può negarlo?
Ad ogni modo, in aula, un docente, se provvisto di doti e qualità morali ed intellettuali intrise di cultura, empatia, carisma, sensibilità, autorevolezza e prestigio, avrebbe la possibilità di colmare, o almeno ridurre, un divario socio-culturale tra gli allievi, mentre la DaD concorre solo ad accrescere tali distanze.
In linea teorica, un’efficace didattica svolta in modalità on-line, può servire ad una trasmissione delle nozioni teoriche, nella migliore delle ipotesi. Non a caso gli stessi percorsi di recupero e di integrazione degli apprendimenti, che sono stati previsti a partire dal mese di settembre, sono la spia che tradisce le carenze ed i limiti stessi insiti nella didattica on-line.
Lucio Garofalo L’Opinione 25/6/2020
La ministra alla sciatteria
Lo scandalo della disattenzione sulla scuola sembra non avere limite. La ministra dell’Istruzione ha fatto avere la sua proposta di linee guida a Regioni e sindacati da cui emergono solo due cose chiaramente, entrambe preoccupanti.
La prima è che, in nome dell’autonomia scolastica, che viene comoda quando dal centro non ci si vuole assumere responsabilità, viene delegato totalmente alle singole scuole come “garantire il ritorno alla didattica in presenza”: turni, divisione delle classi in più gruppi, riaggregazione di gruppi di alunni di classi diverse e anche di anni diversi, didattica mista, un po’ in presenza e un po’ a distanza, aggregazione di diverse discipline in ambiti più grandi, possibilità di usare anche i sabati per i turni.
Tutto dipenderà dalle scelte, e dalle possibilità, delle singole scuole, senza che siano indicate né condizioni minime né risorse aggiuntive disponibili, con buona pace dei diritti educativi dei bambini e ragazzi e del diritto dei genitori, specie dei più piccoli, di sapere con ragionevole anticipo come sarà organizzata la giornata e la settimana dei loro figli.
La seconda cosa che emerge da queste “linee guida” è che la ministra apparentemente non si rende conto che sia i turni, sia la didattica mista richiedono di aumentare i docenti, perché non si può chiedere agli insegnanti semplicemente di sdoppiarsi, per fare a un gruppo la didattica in presenza e all’altro quella a distanza, o il turno mattutino e poi quello pomeridiano. Al contrario, nelle linee guida è scritto chiaramente che il miliardo a disposizione per il personale dovrà essere dedicato preferibilmente all’assunzione di bidelli e assistenti.
Che la ministra intenda il problema della scuola in epoca di Covid 19 come una questione prevalentemente di spazi e sorveglianza emerge anche dalla sua interpretazione delle proposte di attivazione delle risorse educative delle comunità locali, avanzate sia dall’associazionismo civile sia dallo stesso Comitato consultivo da lei insediato ma, evidentemente, non ascoltato.
Nelle linee guida si interpreta l’idea di “patto educativo di comunità” come possibilità sia di usare spazi messi a disposizione dalla comunità locale sia di utilizzare chi già faceva attività integrative nelle scuole in “attività di sorveglianza e vigilanza degli alunni”.
Assente del tutto è l’idea di una organizzazione complessiva della didattica che si apra alla comunità locale, a competenze e attività esterne organizzate in modo non estemporaneo — l’unico modo che potrebbe consentire una effettiva attività educativa in presenza, arricchendola.
Infine, nelle linee guida non si fa menzione dei nidi né dei servizi educativi per la primissima infanzia, un settore che la ministra ha ignorato sistematicamente fin dall’inizio, delegandolo di fatto alla ministra della Famiglia, dimenticando che dal 2017 i servizi per la primissima infanzia fanno parte a pieno titolo dei servizi educativi, quindi sono responsabilità del suo ministero.
Questa sciatteria e mancanza di rispetto per i nostri figli, per le giovani generazioni, sono davvero intollerabili.
Chiara Saraceno Repubblica 24/6/2020
“Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà”
Piero Calamandrei ( 1889- 1956), politico, avvocato, Azionista e Antifascista (testo del 1950)
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"Difendere nelle scuole la Resistenza"
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Scuola addio? (3). La dea tecnocrazia.
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