“Il terrorismo di Hamas, o qualsivoglia violenza contro gli esseri umani non è in alcun modo giustificabile. Al contempo non bisogna dimenticare le radici belliche del sionismo e l’ennesima pulizia etnica in atto.
Le autorità israeliane hanno trasformato la Palestina in un campo di concentramento e applicano ritorsioni stragistiche nei confronti dell’inerme popolazione civile, ben peggiori di quelle nazi-fasciste.
La genesi di Israele è un atto terroristico che si perpetua almeno dal 1948.
Il genocidio del popolo palestinese ad opera di Israele si protrae impunemente da decenni, grazie alla copertura politica e militare United States of America.
Peraltro Tel Aviv vanta un gigantesco arsenale atomico in violazione del Trattato di non proliferazione nucleare.“
Queste parole del giornalista Gianni Lannes introducono l’articolo complessivo di oggi e le foto che l’accompagnano ne danno il senso più profondo e tragico ( vi preghiamo anche di rileggere e vedere QUI, QUI, QUI e QUI per studiare le origine storiche di ciò che sta accadendo).
E guardando queste immagini occorre ripensare con orrore a chi convengono le guerre in Medio Oriente e in Ucraina ( rileggi assolutamente QUI): all’èlite dell’aristocrazia finanziario-usuraia ( se ancora non sai cos’è leggi QUI e QUI) che gestisce il progetto criminale globale chiamato Grande Reset in cui queste tragiche guerre s’inseriscono.
E guardando queste immagini ( come tutte le immagini delle vittime innocenti di tutte le guerre dal 1945 in poi, almeno) misurare il nostro grado d’indignazione profonda e il livello di reattività vitale e morale che ancora possediamo.
E guardando queste immagini misurare anche la nostra decisione di non essere complici, costi quello che costi, di nessuna folle “iniziativa” che derivi dal Grande Reset dei loschi pluri-miliardari ( attraverso governicchi, politicanti, amministratorelli e giornalistucoli a loro asserviti) dell’aristocrazia finanziario-usuraia, sia essa un’ennesima pseudo-emergenza sanitaria o la pseudo-emergenza climatica già in corso o l’asservimento alla digitalizzazione forzata della vita ( leggete i tanti e tanti articoli che trovate QUI).
E guardando queste immagini misurare la nostra voglia, vera e profonda, di capire ciò che sta succedendo, di studiare ( anche attraverso gli articoli che oggi vi proponiamo), di opporci, di manifestare, di non vivere distratti e ripiegati su se stessi, di non accontentarci del liquame “pseudo-informativo” che fuoriesce dalla televisione e dai giornaloni asserviti.
Se guardiamo così queste immagini e facciamo queste “misure” sarà molto meglio di qualche inutile “lacrimuccia”. (GLR)
Gli spari sopra
Quanto vale la vita di un ucraino? Due volte quella di un palestinese? E la vita di un europeo occidentale, bello, intonso, sì un po’ piegato dall’inflazione, ma nemmeno sfiorato dalle schegge dei conflitti che incendiano il mondo, vale cinque o dieci volte quella di un ucraino e un palestinese messi insieme?
E un bambino israeliano soffocato, insanguinato, sgozzato dal furore di Hamas nei kibbutz vale di più di un bambino palestinese che esplode sotto le bombe indiscriminate sulla Striscia di Gaza? Quanti raid aerei assegniamo per ogni donna o bambino presi in ostaggio?
E quanto terrorismo di vendetta e di ritorno per le migliaia di donne e bambini che smettono di respirare dopo i raid? Quanti ostaggi israeliani fanno pari e patta con Gaza City distrutta e rasa al suolo?
E i soldati russi, li vogliamo prezzare? Squassati, spappolati, sfracellati dai missili ucraini. No, quelli non valgono niente, poveri codardi incapaci di ribellarsi a Putin! Che non si contino nemmeno le loro vite, poveri diavoli!
La follia in cui siamo immersi a questo ci sta portando, alla vita umana senza più valore, al buio della ragione, all’esaltazione della guerra come un videogame, corpi che saltano per fare spazio a giochi di potere, propagande, guerre infinite.
Ironia della sorte proprio dopo la pandemia, che avrebbe dovuto farci riflettere sul valore della vita umana. E tutti (o quasi) sui social e sui media hanno messo l’elmetto senza fare la guerra. Patenti di fedeltà all’Occidente, patenti di fedeltà allo Stato ebraico o alla causa palestinese. Patenti che tra l’altro non si capisce bene chi rilascia e per andare dove.
“This is a time for war” ha detto Benjamin Netanyahu escludendo un cessate il fuoco a Gaza, dopo che il New York Times ha rivelato che l’intelligence israeliana che si occupa di intercettare le comunicazioni aveva smesso di ascoltare le conversazioni di Hamas da un anno perché lo considerava uno spreco di risorse. Facile così, no?
Lo ha superato, e non era semplice, il presidente di Israele Isaac Herzog: “È un’intera nazione là fuori che è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera”.
Incredibile ma vero, siamo ancora qui vent’anni dopo l’11/9 e ciò che ne è venuto dopo a scrivere che il terrorismo si sconfigge con operazioni mirate.
L’invasione insensata e poi la ritirata vergognosa dall’Afghanistan e quella costruita sulle menzogne dell’Iraq hanno prodotto un milione di morti, il buco nero di Guantanamo, moltiplicato gli attentati di Al Qaida in Europa, provocato il disastro in Siria, in Libia e il mostro Dàesh. “Non commettete i nostri errori dopo l’11 settembre” ha detto Biden, dopo ventidue anni, migliaia e migliaia di morti e con l’aria di uno che ha preso l’uscita sbagliata in autostrada.
Proprio in seguito a una richiesta di Washington, nel 2012 è stato aperto in Qatar l’ufficio politico di Hamas per “stabilire linee di comunicazione indirette”, ha ricordato l’ambasciatore del Qatar negli Stati Uniti, membro della famiglia dello sceicco Al Thani. Hamas è finanziata sontuosamente dal Qatar, il quale naturalmente acquista armi dall’Occidente, anzi diciamola meglio: è il primo cliente nella vendita delle armi italiane. Tutto meravigliosamente.
Qualunque persona dotata di senso del giusto non può che essere inorridita da ciò che ha fatto Hamas il 7 ottobre scorso. Così come qualunque persona dotata di buon senso non può che provare disagio rispetto all’aggressione militare russa dell’Ucraina del febbraio 2022.
Ma siamo stanchi del doppio standard, di guerre considerate legali e altre illegali, di vite umane che contano più di altre, di formule retoriche e false come “guerra per l’umanità”, “esportazione della democrazia”, “operazione Spade di ferro”, “operazione speciale” che nascondono solo punizioni collettive indiscriminate, diritto internazionale calpestato, crimini contro l’umanità e furia bellicista (che coinvolge tra l’altro potenze nucleari, ma anche questo ormai passa in sordina).
Rivendichiamo il diritto di usare e pretendere non dico la parola “pace”, bella bellissima ma nello scenario attuale oggettivamente poco praticabile nell’immediato, ma le parole “cessate il fuoco”, “tregua umanitaria”, “diplomazia”, “trattativa”, “negoziato”, “cooperazione internazionale”, “conferenza di pace”.O in una sola, “politica”.
Non è più accettabile che nel XXI secolo coloro che si oppongono alla violenza contro i civili, alle guerre moderne che sono sempre dei massacri di massa debbano essere considerati fuori dagli standard.
Come non è accettabile che coloro che criticano il sistema economico o la politica estera occidentale diventino estremisti, antiamericani, filo Hamas, pacifinti, filoputiniani. Al contrario, chiedono una politica occidentale diversa, chiedono più democrazia, più eguaglianza, più cooperazione tra i popoli.
Quello a cui stiamo assistendo è una delle tante conseguenze della “fine della Politica” – la fine della Storia si disse allora con Fukuyama – quando si è creduto che con la fine della Guerra fredda e l’inizio della globalizzazione tutto potesse essere regolato dal mercato liberista e dagli affari.
Tralasciando relazioni politiche, diplomatiche, storie di popoli, diritti umanitari, livelli dignitosi per tutte le comunità. In fondo siamo noi tutti ostaggi di un mondo che non riconosce più la politica come regolatore dei conflitti.
È anche il fallimento degli organismi politici internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite per arrivare alla Corte penale internazionale. Senza tanti giri di parole, il potere di veto dei membri permanenti e le risoluzioni non vincolanti dell’Assemblea a cui non fanno seguito prassi politiche sono ormai strumenti inadeguati.
So bene che di fronte a questi discorsi sull’Onu, gli esperti di geopolitica e gli analisti di politica internazionale scrollano le spalle e sorridono, come a dire: “povero ingenuo!”. Tuttavia, questi signori dovrebbero spiegarci come si fa a governare un mondo abitato da 8 miliardi di persone, con macroregioni che per fortuna ora contano e prima erano invisibili, senza affidarsi alla legge del taglione e del più forte. Che poi detto per inciso, potrebbe vedere l’Occidente soccombere.
Non potranno che esserci ferite che produrranno altre ferite, mostri per altri mostri, generazioni che cresceranno nell’odio come accaduto prima e dopo l’11 settembre, gettando un’ombra lunga sull’intero secolo.
Questa recrudescenza la vediamo già in atto: sostenitori della causa palestinese scambiati per sostenitori di Hamas, propaganda jihadista che si mescola con l’antisemitismo, oltre alla solita balla che sentiamo dal 2001 sulla guerra di civiltà e tra Bene e Male. Che poi tra il Bene e il Male, c’è sempre il ridicolo.
Vittima di uno scherzo telefonico (sic!), per merito del suo mirabolante staff, la premier Meloni intercettata al telefono dice che “la controffensiva dell’Ucraina non sta andando come ci si aspettava” e “non ha cambiato il destino del conflitto”. Quindi “tutti capiscono che potrebbe durare molti anni se non cerchiamo di trovare una soluzione…Il problema è trovare una via d’uscita accettabile per entrambe le parti senza distruggere la legge internazionale. Ho alcune idee su come gestire questa situazione, ma aspetto il momento giusto per metterle sul tavolo”.
Presidente Meloni, i suoi elettori l’hanno votata per “aspettare il momento giusto”, per essere disonesta o per dire la verità agli italiani, visto che lei in pubblico e in Parlamento ha sempre sostenuto il contrario sulla strategia da tenere in Ucraina?
Non penserà mica – dopo il sostegno economico dato e il sacrificio degli italiani – di uscire da questo fallimento politico senza considerarsi responsabile (insieme al governo Draghi e a tutte le forze politiche che lo hanno sostenuto)?
In un Paese civile un premier che mente si dimette. Anche perché ormai esiste un’ampia pubblicistica mai smentita sulla possibilità di una tregua e di un accordo un mese dopo l’invasione russa.
Stendiamo poi un velo pietoso sull’Europa. Un giorno ci vergogneremo di un continente incapace di pronunciare la parola “tregua”, che non riesce più a scrivere nero su bianco “cessate il fuoco” e che si sta lasciando morire politicamente sotto i colpi della propaganda.
Per ora godiamoci lo spettacolo (macabro), tra una patatina e un prosecco sul divano, gli spari sopra sono per noi.
Mario Barbati, https://www.lafionda.org/ 3/11/2023
Mario Barbati è un giornalista e scrittore. È stato cronista di politica e d’agenzia. Ha scritto per Repubblica, MicroMega, notizie.it. È di prossima uscita il suo libro-inchiesta sulla crisi della sinistra.
RAZZISMO SÌ O NO?
Lo stato d’Israele si vanta, ed è vantato in occidente, di essere l’unica vera democrazia del medio oriente.
Israele, da quando esiste, si è territorialmente espanso fino ad oggi, cioè fino all’ultimo violentissimo atto in corso, manifestando una costante volontà coloniale su terre altrui da millenni. E lo ha fatto violando sistematicamente il parere della maggioranza del mondo, espresso nelle risoluzioni dell’ONU.
La domanda è: può uno “Stato Democratico” praticare sistematicamente il colonialismo vecchia maniera, tipo “Far West”, ovvero la sostituzione etnica a proprio favore in territori altrui invadendoli militarmente?
In linea di principio la risposta è un secco e assoluto NO, i valori intrinseci di una vera democrazia lo impediscono, non essendo compatibile il rispetto della propria sovranità popolare con la mancanza di rispetto dell’altrui sovranità popolare, e a maggior ragione del diritto di vivere nella propria terra maturato nei secoli, se non nei millenni.
E ancora a più forte ragione del diritto di sopravvivenza delle genti autoctone dei territori colonizzati.
Possono i “coloni israeliani” sentirsi sinceramente democratici? La logica dice di NO, la narrazione mainstream della realtà invece dice implicitamente di sì, tributando il massimo rispetto allo stato d’Israele qualunque cosa faccia, come radere al suolo metà delle case dei palestinesi ridotti a vivere in un sovraffollato lembo di terra totalmente controllato da Israele, uccidendo la popolazione civile a migliaia per volta, donne e bambini compresi.
Legittima difesa? Non più quando il bilancio delle vittime innocenti da entrambe le parti appare tanto squilibrato, a danno della metà dei palestinesi superstiti, determinati o costretti a rimanere nelle loro case per cause di forza maggiore, create dallo stesso occupante con un assedio in stile medioevale.
Anche sforzandosi di non abbandonarsi all’emotività di fronte a tanto dolore, a fatti così gravi, in odore di genocidio di una popolazione sostanzialmente indifesa, i soli accadimenti sovraesposti, incontrovertibili, denunciano la contraddizione stridente tra democrazia e colonialismo, tra civiltà e barbarie.
Rimane una sola spiegazione a questi comportamenti, ed è il razzismo nel senso più netto del termine, il cui significato è stato chiarito inequivocabilmente e per sempre dalla stessa persecuzione ebraica operata dal nazifascismo.
Ovvero lo stesso marchio d’infamia che giustamente viene attribuito ai persecutori storici degli ebrei, viene oggi reinterpretato di fatto dallo stato d’Israele stesso, che rappresenta la “terra promessa” degli ebrei sparsi per il mondo.
Ci sono tutti gli ingredienti identificativi del razzismo al potere: senso di superiorità, disprezzo dei diversi, legittimazione di violenze efferate su civili inermi, autolegittimazione del diritto di conquista territoriale manu militari, arroganza e intransigenza nell’imporre il proprio punto di vista unilaterale, anche contro il parere di buona parte del mondo libero e civilizzato, ecc.
E’ assurdo, sembra impossibile che un popolo così martoriato nel secolo scorso si macchi oggi degli stessi crimini dei suoi persecutori storici, anche se diversamente interpretati e soprattutto narrati da un mainstream occidentale che sostiene a prescindere il proprio alleato di ferro, avamposto e punta di lancia della cosiddetta “civiltà occidentale” nel cuore dello strategico medio oriente a maggioranza araba e mussulmana.
La sproporzione delle notizie e delle opinioni riguardanti i due fronti opposti supera anche l’abituale partigianeria da stadio propagandata tramite i nostri mezzi di comunicazione di massa.
Occorre coraggio per andare controcorrente su questo tema, più che su ogni altro recente accadimento, che pure sembrava aver toccato l’apice di un conformismo fanatico quanto ipocrita, prima con la vicenda covid-19 e poi con la questione Ucraina.
Ma la ragione non fa sconti al conformismo quando la realtà ci travolge nella sua tragica evidenza.
Dire che i sionisti, aperti sostenitori dell’attuale governo israeliano e del diritto divino ad occupare definitivamente tutti i territori palestinesi, si comportano da perfetti razzisti, nelle parole e negli atti, è un fatto tanto grave quanto fattuale, fino a prova contraria, che al momento non s’intravede neppure all’orizzonte.
Questa è un’opinione? Certamente, è la mia opinione basata sui fatti, e non è solo mia, anche se i più hanno paura di manifestarla per il clima intimidatorio che non da oggi grava su questi argomenti, diventati nel nostro occidente il vero tabù del ventunesimo secolo.
Ora i destini di questo nostro povero mondo, ridotto a polveriera da incoscienti e criminali guerrafondai, sono nelle mani soprattutto del popolo israeliano, che una volta per tutte è chiamato dalla storia a fare una netta scelta di campo: stare dalla parte dei razzisti (anche se conviene) o stare dalla parte di chi rispetta gli altri Popoli come il proprio (anche se costa sacrifici), che è poi l’eterna scelta tra civiltà e barbarie.
Alberto Conti, ComeDonChisciotte.org 5/11/2023
Comincia da Gaza il crollo delle oligarchie occidentali
In palese sfida all’opinione mondiale e al diritto internazionale, lo stato israeliano continua il suo massacro quotidiano di civili a Gaza.
Dopo quasi quattro settimane di bombardamenti aerei ininterrotti, il bilancio delle vittime ha superato le 9.000 unità, con altre migliaia di dispersi sotto le macerie che potrebbero portare il numero effettivo delle vittime a 15.000 o forse ancora di più.
E tutto il pianeta, salvo l’Occidente dove vige un’occhiuta e miserabile censura, vede le foto raccapriccianti di questo massacro con la gente che tenta di sottrarre i bambini alle macerie: e persino l’Unicef questa settimana ha descritto Gaza come un “cimitero per i bambini”.
Si stima che ogni giorno vengano uccisi o feriti circa 400 bambini che peraltro non possono essere curati per mancanza di farmaci e di energia per fa funzionare gli ospedali.
Il mondo è testimone di un’epoca di una depravazione paragonabile a quella della Germania nazista ed è davvero disgustoso vedere come il regime sionista che commette questi crimini di guerra ha l’ardire di invocare la memoria dell’Olocausto come scusa per le sue azioni.
Gli ebrei rispettabili e i sopravvissuti all’Olocausto di tutto il mondo sono indignati e si vergognano dell’atteggiamento ripugnante degli inviati israeliani che indossano stelle gialle sui loro abiti alle Nazioni Unite.
Vedi e ascolta QUI (glr)
Tale diabolico doppio pensiero è reso possibile dall’indulgenza politica e diplomatica concessa dagli stati occidentali: non c’è altro modo di considerare gli omicidi di massa come qualcosa di diverso dal genocidio.
Il capo dell’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Craig Mokhiber, questa settimana si è dimesso disgustato per il continuo genocidio di cui, secondo lui, gli Stati Uniti e l’Unione Europea sono complici.
La cosa più infame è che però Washington e i suoi squallidi burattini europei ripetono il mantra menzognero secondo cui Israele ha diritto all’autodifesa, dando di fatto il via libera al genocidio dei palestinesi e questo abominio peserà in futuro sulla triste fine che faranno i Paesi occidentali.
L’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite, Vassily Nebenzia, questa settimana ha confutato questo presunto “diritto all’autodifesa” definendolo una vile distorsione. L’inviato russo ha sottolineato che lo Stato israeliano è una potenza occupante che da anni viola gravemente innumerevoli leggi internazionali e le restrizioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
In quanto potenza occupante illegale, Israele ha rinunciato a qualsiasi legittima pretesa di autodifesa.
Sostenere questa pretesa significa capovolgere la realtà per cui un aggressore viene presentato come una vittima. come del resto è accaduto per l’Ucraina e il suo regime nazista sostenuto dalla Nato: per otto anni ha attaccato la popolazione di etnia russa nel Donbass fino a quando le forze russe non sono intervenute in loro difesa nel febbraio 2022, ma questo non toglie che questi assassini a cielo aperto si sono dichiate vittime.
Lo Stato israeliano ha il diritto alla sicurezza e alla difesa dei suoi cittadini entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale secondo i confini designati dalle Nazioni Unite nel 1967 con i Territori palestinesi.
Ma questo diritto, che è normale per tutti gli Stati, non è il diritto all’offesa e all’aggressione, come è avvenuto dopo gli attentati del 7 ottobre.
Anche ammesso e non concesso che le 140o vittime israeliane siano state fatte tutte da Hamas e non dalle forze di Tel Aviv secondo la “direttiva annibale” questo non giustifica neanche lontanamente la successiva punizione collettiva e il genocidio contro i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania.
La posizione di Israele e dei suoi sostenitori occidentali è ripudiata dalla stragrande maggioranza dei membri delle Nazioni Unite. La maggior parte delle nazioni chiedono l’immediata cessazione della violenza e la revoca dell’assedio su Gaza per consentire forniture di emergenza di cibo, acqua, carburante e cure mediche per i 2,3 milioni di abitanti.
Le enormi proteste pubbliche che si stanno svolgendo in Nord America ed Europa, per condannare il genocidio di Gaza e per chiedere un cessate il fuoco immediato, mostrano quanto le élite occidentali siano disconnesse dalle preoccupazioni morali e democratiche di base.
Il sangue versato negli ultimi tre anni da queste scellerate oligarchie globaliste ricadrà su di loro: hanno perso qualsiasi diritto morale, culturale e politico a reclamare una loro centralità nelle governance occidentali. Comincia dal genocidio di Gaza la loro definitiva sconfitta.
https://ilsimplicissimus2.com/ 4/11/2023
Riflessioni su Guerra, Politica e Pace: un’analisi critica
Il linguaggio politico è progettato per far sembrare vera la bugia, rispettabile l’omicidio e dare una parvenza di solidità al puro vento
(G. Orwell)
Possiamo anche non occuparci della guerra, ma è la guerra che si occupa di noi. A seconda dei criteri di riferimento, le guerre possono classificarsi in giuste, opportune e legali, o anche in un intreccio di tali aggettivazioni.
Il criterio della giustizia dipende dall’ideologia o etica di chi lo invoca, possiede un forte contenuto di soggettività e ad esso fa ricorso in chiave giustificativa chi usa la forza militare per combattere una presunta ingiustizia (termine questo anch’esso aperto a un labirinto d’interpretazioni).
Il criterio dell’opportunità si caratterizza invece per una forte valenza politica: a un certo punto, secondo il ragionare di alcuni, la guerra emergerebbe come sola risoluzione di contenzioni altrimenti irrisolvibili.
Il criterio della legalità, infine, sulla carta appare il meno incerto, il solo che possieda i contorni di una qualche riferibilità oggettiva: per il diritto internazionale, infatti, la guerra diventa legittima in due casi:
a) quando è autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (evento invero assai raro);
b) in caso di legittima difesa, ai sensi dell’art. 51 della Carta delle N.U., nel qual caso, per restare nel recinto della legittimità, la reazione deve rispettare i principi di moderazione e proporzionalità.
Sui teatri di guerra, alla violenza militare codificata dal diritto s’accompagna spesso un’altra pratica, il cosiddetto terrorismo, una pratica la cui nozione condivisa è tuttora assente tra le norme internazionali.
Ciò che lo ha impedito (manca una convenzione in proposito), a dispetto dei tentativi susseguitisi nel tempo, sono state le contrapposte posizioni degli Stati Uniti – insieme ai paesi occidentali/europei, sempre chini agli ordini del padrone, e al principale alleato americano in MO, Israele – da una parte, e il mondo arabo-mussulmano dall’altra, su un aspetto fondamentale, l’inclusione o meno della nozione di terrorismo di stato.
Tale ipotesi, infatti, sostenuta in particolare dai paesi arabi-mussulmani, aprirebbe la strada alla possibile incriminazione formale davanti alla Corte Penale Internazionale (per quella morale basta l’evidenza) anche dei citati paesi.
È nella logica dell’evidenza che un atto di violenza diventa terrorismo quando è finalizzato a diffondere il terrore, uccidendo persone innocenti e distruggendo infrastrutture civili (diverse legislazioni nazionali, del resto, lo qualificano in questo modo).
Ed esso è tale sia se commesso da gruppi armati mossi da ragioni politiche, religiose, etniche o altro, sia se i responsabili si trincerano dietro le insegne protettive di uno stato (apparati militari, servizi, polizia, etc.). Sempre di terrorismo si tratta!
Deve aggiungersi che rispetto alle azioni di gruppi armati l’attività terroristica risulta più efficace, violenta e sistematica quando è perpetrata da uno stato (basti pensare alle dittature argentina e cilena di Videla e Pinochet, e a quanto avviene ora a Gaza), poiché quest’ultimo dispone di armi, uomini e risorse tecnologiche assai più cospicue.
Quando a commettere atti di terrorismo è un gruppo armato, la reazione dello stato contro i colpevoli di terrorismo dovrebbe assumere i contorni di un’operazione chirurgica e rispettare le norme della civiltà giuridica, che rifugge dal medievale concetto di colpa collettiva e non cerca la vendetta trasversale.
Inoltre, trattandosi di fenomeno politico, poiché il terrorismo non è un’attività di criminalità comune che punta all’illecito arricchimento, uno Stato degno di tal nome deve affrontare le radici del suo sorgere, mettendo a nudo i problemi che lo hanno generato.
In Palestina, lo stato di Israele (e il suo protettore americano) si allontana dalla civiltà e si limita a copiare il terrorismo altrui, seguendo la pratica della disumanità e della rappresaglia persino contro bimbi, donne, anziani!
La reazione contro i colpevoli – siano essi movimenti sub-statuali o uno stato – deve rispettare la vita dei civili innocenti, per non diventare a sua volta terrorismo. Nel vivere civile, nessuno oserebbe sostenere il diritto della polizia a incendiare la casa di un assassino insieme alla sua famiglia, persino qualora fosse provato che egli si trovasse al suo interno.
Quando si cercano le cause remote di un conflitto, ingredienti religiosi, etnici ed economici si mescolano a quelli che coinvolgono gli interessi dell’impero (o imperi) di turno.
Nel caso in esame, la questione palestinese è di una semplicità imbarazzante, a dispetto delle contorsioni di analisti che nel mondo intero sono alla vana ricerca di complessi contorni eziologici: vi è un popolo oppresso e un popolo oppressore, quest’ultimo libero di agire con la massima impunità perché sostenuto dalla più grande potenza militare del pianeta, gli Stati Uniti. Punto.
Ma, come ha rilevato dall’alto della sua venerando età persino l’ex segretario di stato americano H. Kissinger, uno dei più grandi organizzatori di colpi di stato mai apparsi sulla terra: essere nemici degli Stati Uniti è pericoloso, essere amici degli Stati Uniti è fatale.
E i contorni della storia diranno se gli accadimenti che si svolgono oggi in Palestina/Israele non presenteranno il conto, tramutandosi nell’incipit di un declino strategico dello stato di Israele.
Quanto alla pace, se il suo perseguimento non si accompagna alla giustizia, affrontando gli squilibri sottostanti di sovranità e distribuzione della ricchezza, esso resta velleitario, mentre gli eventuali risultati raggiunti tendono a dileguare nel tumulto degli eventi.
Quando si getta uno sguardo sulla genesi e le responsabilità dei conflitti emerge inequivocabile che ad arricchirsi sono sempre alcuni gruppi di potere, sia nei paesi che li hanno iniziati o sono rimasti neutrali, sia in quelli che li hanno subiti.
Una lunga schiera di analisti (v. per tutti Lindsay O’Rourke, Covert Regime Change, Cornell University, 2018) ripetono da anni con documenti e articoli/interviste (facilmente reperibili sul web) che a partire dal secondo dopoguerra i principali beneficiari dei conflitti sono stati gli Stati Uniti.
Le ragioni sono note anche alle pietre e dunque prendiamo qui la libertà di non ripeterle. Nel mondo presente, essi costituiscono il supremo garante strategico-militare dell’egemonismo estrattivo, una plutocrazia bulimica che promuove i diritti umani bombardando popoli indifesi, esportando la democrazia con ordigni al napalm, diffondendo uno strumentale complesso di colpa olocaustico scontabile solo nell’eternità, imponendo la mistica di una cultura superiore, della patologia di una nazione da Dio voluta per governare un mondo irrequieto – al cui fine si renderebbero necessarie le 800 basi militari disseminate nel mondo – più altre perle di mitologica preminenza.
Non si valuti tale affermazione sulla base di un pregiudizio antiamericano, poiché l’avversario – è bene ripeterlo a chiare lettere – non è certo il popolo americano, politicamente tra i più analfabeti del pianeta, ma la sua oligarchia plutocratica, predatoria e bellicista.
Nel suo libro magistrale (1984), George Orwell sostiene che la guerra non ha il fine di sconfiggere il nemico, ma di preservare la medesima struttura divisoria all’interno della società guerreggiante, vale a dire proteggere i privilegi dei ricchi e mantenere i poveri nella loro condizione, con l’aiuto dei ceti di servizio, politici, giornalisti e burocrati (esercito, forze dell’ordine, accademia e via dicendo), tutti compensati con onori, carriere e laute prebende.
Pace e guerra, nell’intuito critico di Orwell, tendono a sovrapporsi, perdendo la loro caratteristica di contesti contrapposti, e diventano due profili di un medesimo destino, inquadrati nell’ontologia dell’immutabilità: il Ministero della Pace è incaricato di preparare la guerra, quello della Verità di fabbricare menzogne, il Ministero dell’Amore di praticare la tortura, quello dell’Abbondanza di rendere scarsi beni e servizi, in una distopia senza fine, riflettendo la nota trilogia ossimorica: la Pace è Guerra, la Libertà è Schiavitù, l’Ignoranza è Forza.
Divenendo perenne, la nozione di conflitto cessa di essere tale e diventa guerra-pace, uno stato fusionale dove i contorni si perdono nella nebbia.
Non sono i popoli a voler le guerre, ma i governi. Secondo la narrativa giustificazionista dei ceti dominanti, in un sistema democratico i governi riflettano sempre il volere del popolo. In verità, la nostra democrazia è una mistica semiologica.
Sono i governi a controllare i popoli, non viceversa. Pochi ma calzanti esempi: il 1.mo settembre 2022, il Ministro degli esteri tedesco, Annalena Baerbock, afferma: “anche se la maggioranza dei tedeschi è contraria all’invio di armi all’Ucraina, a noi non importa, lo facciamo lo stesso”.
Qualche mese prima, l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel – seguita poi dall’ex presidente francese, François Hollande, e dall’ex presidente ucraino, Petro Poroschenko – confessa candidamente che quando era alla guida della Germania aveva aderito agli accordi di Minsk 1 e 2 (2014 e 2015) solo per guadagnare tempo e prepararsi meglio alla guerra contro la Russia, il suo intento non era la soluzione della tragedia del Donbass, che se avesse ottenuto l’autonomia linguistico/culturale prevista nei citati Accordi – firmati anche dalla Russia! – sarebbe rimasto sotto sovranità ucraina, evitando al mondo la calamità della guerra.
Un filosofo del secolo scorso affermava che i conflitti armati finirebbero tutti e per sempre se venisse adottata la seguente norma costituzionale universale: “coloro che dichiarano una guerra devono recarsi essi stessi al fronte, insieme ai loro figli e parenti”. I potenti decidono le guerre, ma a morire è sempre la povera gente.
La piccola politica (quella dei nostri governi) si occupa di cose piccole, di una finta dialettica tra partiti che si caratterizzano solo per la diversa capacità d’intrattenimento serale.
La grande politica invece vuole cambiare la società, si batte per la giustizia, il lavoro, la libertà dal bisogno, i servizi pubblici, l’emancipazione culturale, e sulla scena internazionale si oppone alla guerra, ai massacri, al colonialismo/neocolonialismo, lotta per l’emancipazione dei popoli, rispettandone i diritti e le diversità.
Uscire dalla servitù richiede consapevolezza e coraggio politico, un percorso irto di ostacoli, che non è dietro l’angolo. Negli anni della guerra fredda, quando l’Unione Sovietica era una potenza politica, militare e ideologica, era possibile dissentire, sui media e nelle piazze.
Oggi, la Grande Menzogna prefabbricata non tollera l’ombra del dissenso. Per alcuni, si tratta di protervia di potere, l’opposizione essendo stata frantumata e resa innocua. Per altri, si tratta di un segnale di debolezza, l’ermeneutica da noi preferita.
La speranza non è morta. I tempi non saranno brevi, ma c’è luce oltre l’orizzonte.
“Paura, dubbio e cautele di tipo ipocondriaco ci stanno chiudendo in una gabbia. Abbiamo invece bisogno del respiro della vita. Non v’è nulla di cui aver paura. Al contrario, il futuro ci riserva più ricchezza, libertà economica e opportunità di vita di quante non ne abbiamo mai godute in passato. Non v’è ragione alcuna per non sentirci audaci, aperti all’avventura, attivi e alla ricerca di tante possibilità. Là di fronte a noi, a bloccare la via vi sono solo alcuni anziani signori, stretti nei loro abiti talari, che hanno bisogno di essere trattati con un po’ di amichevole irriverenza e buttati giù come birilli”.
Non sono queste parole di chi scrive, e a pronunciarle non è stato Marx o Lenin, ma John Maynard Keynes, il più grande economista liberale del XX secolo (scuola alla quale noi, pure, non apparteniamo), un uomo che si è battuto per un’economia etica e un benessere condiviso, sensibile ai bisogni primari degli uomini, il primo dei quali, sia per lui che per noi, resta la pace.
Alberto Bradanini, https://www.lafionda.org/ 2/11/2023
Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Tra i diversi numerosi incarichi ricoperti, è stato Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-2012) e a Pechino (2013-2015). È attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea. Ha pubblicato “Oltre la Grande Muraglia” Ed. Bocconi 2018; “Cina, lo sguardo di Nenni e le sfide di oggi”, Ed. Anteo 2012; in uscita in gennaio 2022 “Cina, l’irresistibile ascesa, Ed. Sandro Teti
Manifestanti per Gaza infuriati si affollano davanti alla Casa Bianca
Decine di migliaia di manifestanti filo-palestinesi hanno marciato sabato (4/11/2023) attraverso Washington DC per protestare contro il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra tra Israele e Hamas, fermandosi davanti alla Casa Bianca per gridare “Allahu Akbar”, “Fanculo Joe Biden” e ” Biden, Biden, non puoi nasconderti! Ti accuseremo di genocidio!”
https://www.maurizioblondet.it/ 5/11/2023
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Per non dimenticare, nonostante le guerre
DALLA RETE (allarga le immagini)
ANNO IV DEL REGIME SANITARIO- ECOLOGICO- DIGITALE
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Alcuni ultimi articoli che vi raccomandiamo di leggere e rileggere:
Una guerra nella guerra (11). Guerre che convengono, assai.
GLR-NOTIZIE-FLASH 65 – 30/10/2023. Un’atroce guerra e una decisa Resistenza.
GLR-CONSIDERAZIONI 54. Tempo da schiavi.
Pensiero Urgente n.295). “E’ semplice trascinare la gente”.
GLR-NOTIZIE-FLASH 64 – 18/10/2023. Opporsi alla censura di Moni Ovadia.
Una guerra nella guerra (10). Ariecco i “buoni-buoni” e i “cattivi-cattivi”. (3)
Una guerra nella guerra (9). Ariecco i “buoni-buoni” e i “cattivi-cattivi”. (2)
Una guerra nella guerra (8). Ariecco i “buoni-buoni” e i “cattivi-cattivi”.
Il Grande Reset. La Grande Risistemazione (39). Ciò che non vogliamo sentire.
GLR-NOTIZIE 120 - 1/10/2023. Una firma per salvare Costituzione e libertà.
Il Grande Reset. La Grande Risistemazione (38). Un discorso dalla Moldavia.
Pericolo vaccino (48). “Cure” micidiali.
Un mostro che possiede il mondo e il nostro futuro.