Gli italiani sono stati gioiosamente fascisti in massa per anni e sono diventati in massa rapidamente anti o non fascisti
Passati i decenni, il fascismo torna di moda, sia nelle vesti del passato, sia in nuove, più sottili e inquietanti divise e mitologie
Molto gentilmente un’associazione della Resistenza imperiese mi aveva chiesto un intervento per il 25 aprile. Non avendo potuto farlo per ragioni familiari, provo a scrivere qui cosa avrei detto in quella circostanza. Come molti osservatori hanno notato, quanto più la festa del 25 aprile si allontana dall’evento storico che rievoca, tanto più ha bisogno di mantenere e anzi di incrementarci significati simbolici che la giustificano.Uno di questi è iscritto nel nome stesso di festa della liberazione, che, trasportato dal dato storico concreto a un valore politico e morale sovratemporale, si trasforma in festa della libertà. Ma non credo che possa più bastare questo pur importantissimo valore, anche perchè rischia di nascondere una verità storica incontrovertibile: che gli italiani sono stati gioiosamente fascisti in massa per anni e sono diventati in massa rapidamente anti o non fascisti solo quando il fascismo è caduto per opera dogli Alleati e della coraggiosa minoranza che lo ha combattuto con le armi (i partigiani).
Mio padre, che fascista non era stato e aveva trascorso l’ultimo anno di guerra alla macchia perché condannato a morte dai tedeschi occupanti, era ora disgustato ora ironico quando osservava la conversione in massa degli italiani all’antifascismo, segno che ci si era affrettati a fare di un valore una retorica e dimostrazione che il nostro popolo non solo non sa davvero cambiare, ma non trae alcuna lezione dalla storia (che del resto ignora bellamente).
Oggi lo vediamo. Passati i decenni, il fascismo torna di moda, sia nelle vesti un po’ folclori che ma comunque spaventose del passato, sia in nuove, più sottili e inquietanti divise e mitologie, ma sempre con le sue caratteristiche di fondo: una cultura dell’irresponsabilità collettiva, la ricerca ridicola e cialtrona delle colpe altrui. L’idoleggiamento del Potente del momento, il culto delle masse (reali o virtuali) come depositarie del bene comune. Ora più violentemente propenso verso la destra e il disprezzo degli altri (la Lega), ora più mitemente incline a sinistra e sensibile al sociale (i 5S).
L’eterno fascismo degli italiani, di destra e di sinistra, ha ripreso a manifestarsi: accuse agli stranieri o agli avversari, gregarismo spedizioni {reali o virtuali) punitive, antisemitismo.
Il tratto che lo contraddistingue è lo stesso che spinse la maggioranza degli italiani ad essere fascista fino al ’43 e antifascista dopo il’ 45: la convinzione che la gente non ha colpe e responsabilità, che il popolo è buono per antonomasia, al massimo vittima del cattivi politici di turno, per altro votati da milioni di persone.
Per questo la minoranza resistente fu doppiamente minoranza: non solo per il numero, ma anche e soprattutto perché fatta da giovani che combattevano perla libertà prendendosi la responsabilità di procurarsela da soli, non aspettarla dagli altri, correndo il rischio di mettere in gioco sé stessi.
Qualche decennio fa, un 25 aprile, chiesi a mio padre come mai non partecipasse più ai festeggiamenti di quella ricorrenza. Siccome era tanto anticomunista quasi quanto era stato antifascista, mi aspettavo che mi dicesse che quella festa era monopolio dei comunisti, o peggio dei violenti settari come gli stolti che hanno fischiato l’altro giorno il sindaco Bucci a Genova, e che per questo lui non vi partecipava volentieri.
Invece mi disse che gli dava fastidio osservare che la festa della liberazione era diventata la festa dell’autoassoluzione, notare quanti fascisti fanatici erano diventati entusiasticamente antifascisti, mentre, secondo lui, il modo più giusto per onorare quella data sarebbe stato di farne la festa non solo della liberazione ma anche della responsabilizzazione, la ricorrenza solenne in cui un popolo si interroga sulle proprie complicità negli errori e nei delitti delle sue classi dirigenti, ricorda il passato non per celebrarsi immeritatamente ma per riconoscere le proprie colpe ed evitare di commetterne delle altre in futuro. In fondo, nel dopoguerra, i tedeschi lo avevano fatto, prendendo coscienza della loro colpa e della loro sconfìtta.
Gli italiani no: hanno approfittato del sacrificio di una minoranza di resistenti per attribuirsi in massa la vittoria, esentandosi da ogni colpa, così che il fascismo, già poco dopo il ’45, era di nuovo pronto, visibile o camuffato, a risorgere. Il fatto è che noi non siamo luterani, ma papisti, buonisti con noi stessi, e abbiamo fatto presto a dimenticare di essere stati fascisti.
Una verità amara che invece bisognerebbe rimettere nell’agenda dei futuri anniversari per non renderli sempre più inutili.
Vittorio Coletti, linguista e accademico della Crusca La Repubblica Genova, 29 aprile 2018
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