C’è stato a Napoli, a metà settembre, il terzo degli incontri promossi da cristiani non dimentichi del Concilio e desiderosi di rimettere al centro “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”. I primi convegni, nei due anni precedenti, si tennero a Firenze, sull’onda di una sofferenza diffusa sulla situazione della Chiesa di oggi, soprattutto italiana; ma furono evitati i toni polemici e contestatari per volgere il discorso soprattutto al positivo.

Quest’anno, sotto il titolo bonhoefferiano “Pregare e fare ciò che è giusto tra gli uomini”, si è parlato della crisi: in Italia, della democrazia, della Costituzione e della giustizia; nella Chiesa, del Concilio; e qui la domanda è stata se il Concilio fosse stato tradito. Certamente c’è un conflitto sul Concilio, esploso alla luce del sole in occasione del richiamo in servizio del vecchio ordinario della Messa tridentina, e della reintegrazione dei vescovi scismatici di
Lefebvre. Il terreno su cui si svolge il conflitto è quello delle interpretazioni del Concilio, ed è bene che la discussione sia uscita allo scoperto. Ma si può parlare di un Concilio tradito? Il processo di ricezione di un Concilio avviene nel tempo lungo, e non si può in un momento dato, anche se è il momento in cui si sta vivendo, stabilire quanto di esso è passato o è caduto nella Chiesa.

Ma siamo sicuri che il vero conflitto sul Concilio sia quello sui temi più dibattuti – la Chiesa, l’ecumenismo, la libertà religiosa, il rapporto con le religioni non cristiane – su cui i due schieramenti sono ben definiti, e si sa perfettamente chi sta da una parte e chi dall’altra? Non c’è anche un Concilio che non è stato raccolto, non è stato continuato, e che perciò in un certo senso si potrebbe considerare tradito, e non solo dai denigratori del Concilio ma anche dai suoi fautori e discepoli?

In questa direzione, di un Concilio rimasto nascosto, un Concilio ancora da scoprire e magari proprio nelle cose più importanti, mi sembra utile scavare. E allora emergono tre fasci di luce, accesi dal Concilio, e poi subito spenti. Il primo è la percezione, espressa dal Concilio, della novità della condizione umana. Nulla è più come prima. Nuova, dice il Concilio, è la strada su cui “l’umanità si è messa da poco”. Troppe cose sono mutate, per continuare a pensare nello stesso modo di prima. “Così il genere umano – dice la Costituzione pastorale del Concilio – passa da una concezione piuttosto statica dell’ordine delle cose, a una concezione più dinamica ed evolutiva. Ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove”.

Questa strada non è stata continuata. Altrimenti non ci si sarebbe accaniti a dire che il Concilio non ha cambiato nulla, perché tanto era solo pastorale. Al contrario il Concilio ha cercato nella nuova situazione di capire meglio la fede, tanto è vero che è stata poi superata, da parte di Benedetto XVI, la vecchia dottrina che escludeva dalla salvezza i bambini (ma anche gli adulti) morti senza battesimo.

Dunque non c’è un impedimento dogmatico al cambiamento, ed è tradire il Concilio prendere da esso solo le conferme e ricusarne le novità, vincolandone l’interpretazione all’invarianza. E quanto alla “concezione più dinamica ed evolutiva” essa dovrebbe far chiudere il contenzioso sul creazionismo, che è un problema non da teologi ma da scienziati; e dovrebbe indurci a porre non nel passato, ma nel futuro la pienezza della vita; la perfezione, l’Eden non sta nel passato e nemmeno solo nel futuro remoto, ma nell’oggi di Dio che si comunica ad ogni uomo.

La seconda direzione è quella della rivoluzione antropologica del Concilio; abbandonata la concezione pessimista, il Concilio non ha tratto dal peccato la conseguenza che la natura dell’uomo sarebbe stata deturpata irrimediabilmente e consegnata alla morte, per effetto dell’antica punizione meritata dall’uomo nel giardino. Il Concilio pensa invece a un Dio che non si è mai dimenticato dell’uomo, mai lo ha abbandonato o scacciato, ma sempre lo ha aiutato a salvarsi, in vista di Cristo. Ma qui allora le conseguenze sono enormi, ne viene un nuovo statuto dell’umano, un gioioso riconoscimento delle capacità naturali dell’uomo e della sua libertà, e ciò proprio grazie a un dono mai revocato di Dio. Questo vuol dire che l’uomo può farcela nell’attuale distretta della storia, restando nel suo limite umano, nella sua divina laicità.

La terza direzione è quella che riguarda la Chiesa. Nel Concilio essa ha avuto la forza di rimettere in discussione il suo monopolio religioso – non la sua verità – rompendo l’identificazione tra launiversale Chiesa di Cristo e la Chiesa storica e visibile. È stata una “kenosi”, una spoliazione, perché in tal modo la Chiesa rinunciava a presentarsi come l’unico sportello del cielo aperto sulla terra, come l’esclusiva dogana di Dio; e dunque rinunziava a un potere che già non era più un potere temporale, ma spirituale. Perciò sarebbe davvero mancare il Concilio se ora si volesse restaurare questo potere, tornare ai giorni dell’onnipotenza. Sviluppare il Concilio fino alle sue ultime conseguenze vorrebbe dire invece uscire dai confini della Chiesa costituita, per abbracciare nel dono di Dio l’umanità tutta intera.

 

Raniero La Valle    in “Rocca” n. 19 del 1 ottobre 2010


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