Evasione fiscale. Corruzione. Eccesso di burocrazia. Lentezza della giustizia. Crollo demografico. Divario tra Nord e Sud. Difficoltà a convivere con l’euro. Questi I sette peccati capitali dell’economia italiana (Feltrinelli) secondo la diagnosi di Carlo Cottarelli, uno dei nostri economisti più competenti e meno sospettabili di partigianeria politica.

Il suo curriculum è notevole: laureatosi a Siena e alla London School of Economics, ha lavorato per la Banca d’Italia, per l’Eni, al Fondo monetario internazionale come direttore esecutivo e in Italia, nel 2013-14, è stato commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica (la famosa spending review). Ora dirige l’Osservatorio dei conti pubblici italiani all’Università Cattolica e insegna alla Bocconi. Di medaglie sul campo se n’è guadagnate diverse.

Ho letto il suo libro perché credo che quel titolo non sia uno scherzo e che ai famosi e classici peccati capitali, oggi ignorati perfino dai filosofi morali, non si pensi abbastanza: accidia, lussuria, gola, avarizia, invidia, ira e superbia. La tradizione, più che buttarla via, andrebbe reinterpretata secondo i tempi, la storia, le circostanze, i tipi di attività.

Per fare un solo esempio, anche la cultura, se è puro accumulo di saperi e di informazioni inutili, o di premi, titoli, presenze pubbliche, cariche istituzionali, va considerata sia avarizia che superbia. In politica trionfano invidia e ira. Nei consumi, la gola e la lussuria. E che cosa sono l’indifferenza sociale e l’inerzia civica se non accidia?

Recentemente Mario Andrea Rigoni ha ripubblicato e commentato sul Foglio l’insuperabile Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani scritto nel 1824, l’anno delle Operette morali, da Giacomo Leopardi. «Le classi superiori d’Italia» vi si legge «sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni (…) Niuna vince né uguglia in ciò l’italiana. Essa unisce la vivacità naturale (…) all’indifferenza acquisita verso ogni cosa e al poco riguardo verso gli altri».

E Carlo Levi nel suo libro L’ orologio (1950) scrisse che i Ministeri sono «una specie di tempio, dove si adorano e perfezionano i vizi più abbietti, i tre più desolati peccati mortali: la pigrizia, l’avarizia e l’invidia».

Che cos’è l’economia senza morale? È un flagello sociale. In fondo l’idea centrale e originaria di Marx era questa e era un’idea morale.

Il libro di Cottarelli va in questa direzione. I suoi sette peccati capitali dell’economia italiana si alimentano circolarmente l’uno dall’altro, basta rileggerli in fila per capirlo. La conclusione dell’autore è la seguente: «L’importanza dei fattori culturali è spesso minimizzata da noi economisti». Il rimedio è «rafforzare il capitale sociale attraverso l’educazione dei nostri figli e nipoti».

Alfonso Berardinelli        Avvenire  5 ottobre 2018

 

Vedi:  Corruzione. La questione morale e la mancanza di una religione civile

Gli errori delle élite sulla globalizzazione

Democrazia e Progresso

Le parole che usiamo per mettere a posto la coscienza


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