Il cambiamento della legge elettorale non è più ormai solo una questione di funzionamento o non funzionamento del sistema, e perfino nemmeno una questione di salvezza o perdita della democrazia. È la prima e forse l’unica cosa che oggi possiamo fare perché l’Italia non si chiuda a lungo termine nel sigillo di una società arrogante incolta e violenta, quale è stata costruita in questi ultimi vent’anni dai picconatori e dagli innovatori da Cossiga alla Bicamerale a Berlusconi. Il bipolarismo maggioritario che ha messo i figli contro i padri e i poveri contro gli stranieri, ha reso popolare una cultura che congiunge ignoranza e violenza, e che ormai esce perfino dai tombini della Metropolitana. Se la violenza magmatica che attraversa oggi tutti gli strati sociali dovesse trovare le vie di un minimo di strutturazione e di guida, gli esiti sarebbero tragici. Può un sistema politico essere causa di questo? Sì, perché se è la società a generare lo Stato, è vero – contro tutte le teorie di Stato Minimo – che lo Stato dà forma alla società. Il conflitto eretto come ideale e modello del rapporto politico è pedagogia, instaurazione e moltiplicazione del conflitto in tutti i rapporti della vita sociale.
Una riforma della legge elettorale deve riprendere in mano l’unità dell’Italia. È tutto il popolo che deve salvare il Paese, l’elettorato non deve essere falcidiato dalle soglie di sbarramento, i seggi devono corrispondere proporzionalmente ai voti e senza premi di maggioranza che diano tutto il potere alla maggiore minoranza senza neanche la garanzia di una soglia minima di suffragi. E allora il presidente del Consiglio avrà sopra di sé non Dio, ma il Parlamento, e un mandato popolare ogni giorno rinnovato non in TV ma nella partecipazione politica. Il potere non permetterà questa riforma. Allora occorre fare con quello che c’è: la legge Calderoli. Si possono togliere le unghie al “porcellum”. La legge Calderoli è infatti una legge rigorosamente proporzionale che, a seggi già distribuiti e assegnati, toglie un gran numero di seggi a chi non ha vinto per trasferirli pari pari nel bottino del vincitore, fino ai fatidici 340 deputati alla Camera e 55 per cento regione per regione al Senato. Occorre togliere la materia del furto: se tutti i partiti che vogliono riprendere il cammino democratico si collegano tra loro, come la legge prevede, tutti insieme conseguiranno un risultato molto superiore al 55 per cento, dopo di che i seggi saranno tra loro ripartiti in modo corrispondente alla forza di ciascuno. Sarà poi nell’ambito delle forze più omogenee che si faranno le più ristrette coalizioni di governo, e i cosiddetti “radicali”, potranno starne fuori. Ciò comporta un’operazione di bonifica di uno degli aspetti più incostituzionali della legge attuale: essa richiede la designazione di un capo della coalizione da parte dei partiti collegati, intendendo (senza dirlo) che esso sia il capo del governo. Ma basta distinguere capo della coalizione e candidato alla presidenza del Consiglio, per permettere la più larga alleanza elettorale di partiti anche diversi tra loro, con a capo una personalità autorevole e di alto profilo, lasciando a ciascun gruppo di partiti più omogenei la proposta di una propria candidatura alla guida del governo. E saranno gli elettori a decidere.
Raniero La Valle in “Domani” dell’8 novembre 2010