Questo testo è tratto dal libro Con la costituzione nel cuore ( ed. Gruppo Abele 2018) di Carlo Smuraglia e Francesco Campobello. Carlo Smuraglia (nato nel 1923, politico e docente) è stato un partigiano del Gruppo di Combattimento “Cremona” del nuovo esercito italiano nato dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Dal 2011 al 2017 è stato presidente dell’ANPI.
… La nostra Costituzione è nata dalla Resistenza. Il 25 aprile, Festa della Liberazione, ha tutti questi significati dentro di sé e deve rimanere tale. Non sarebbe esatto dire che chi ha combattuto per la libertà combatteva solo per questo: nei partigiani era chiaro che l’obiettivo era duplice e riguardava, insieme, libertà e democrazia. Ben pochi giovani sarebbero stati disposti a prendere le armi e cacciare i fascisti solo per tornare allo Statuto Albertino (quello in cui il sovrano concedeva, di sua iniziativa, i diritti al popolo).
… L’idea del futuro, anche per istinto, non era certo il ritorno a prima del fascismo ma l’avvento di qualche cosa di completamente diverso che chiamavamo genericamente democrazia, cioè un Paese senza dittatura, senza imposizioni, senza violenza. Era inevitabile fondare uno Stato basato sulla democrazia con, al centro, il popolo sovrano.
Si può dire che questa è stata la grande “utopia” della Resistenza, una bellissima utopia. Senza utopia non si costruisce quasi niente. I fatti ci hanno poi, in parte, deluso: la democratizzazione del Paese non è stata lineare, la defascistizzazione delle istituzioni è rimasta incompleta e l’applicazione concreta dei princìpi di libertà e uguaglianza in gran parte non c’è stata.
È vero, però, che quell’utopia, quei sogni, quelle speranze e la volontà di princìpi e valori nuovi sono entrati stabilmente (e definitivamente) nella Costituzione repubblicana.
… I rigurgiti di fascismo ci sono da tempo. E del resto abbiamo avuto – anche nel passato – fascisti al governo e partiti che al fascismo si richiamavano. Adesso, però, si stanno acuendo, in una sorta di escalation, nelle manifestazioni pubbliche e sulla rete.
Per capire il fenomeno, bisogna partire da un presupposto fondamentale: quello secondo cui l’Italia, i conti col fascismo non li ha mai fatti sul serio.
C’è stata – è vero – l’Assemblea Costituente improntata a una evidente polemica con il passato, ma l’approfondimento non c’è stato e addirittura abbiamo lasciato o rimesso al loro posto molti protagonisti della stagione fascista. A mancare non è stata solo una necessaria epurazione; è mancato anche un ragionamento rigoroso su cosa è stato il fascismo, cosa ha rappresentato e come è stato recepito dal popolo durante il ventennio.
Su quest’ultimo punto, c’è stato almeno uno sforzo di chiarezza, per mettere ordine tra le due correnti di chi sosteneva che tutti erano stati fascisti e chi diceva che ben pochi lo erano stati veramente, ma sul fascismo come tale, nulla di serio. In realtà il fascismo è stato una dittatura, con tutte le caratteristiche di una vera e dura dittatura, anche se con aspetti, talora, grotteschi.
È stata una dittatura durante la quale molta gente è andata in carcere o al confino, e molta gente ha perso la vita, soldati mandati a morire. Ebbene, un ragionamento complessivo, dopo la fine del fascismo, non l’hanno fatto – prima di tutto – le istituzioni, che non sono state democratizzate e de-fascistizzate come avrebbero dovuto essere. Soprattutto non è riuscita, a tutt’oggi, ad affermarsi, nel complesso delle istituzioni e nel loro “intimo”, l’idea che il nostro è un Paese non solo democratico ma anche antifascista.
I rigurgiti fascisti attuali sono favoriti, anche involontariamente, dall’affermazione piuttosto diffusa che il vecchio fascismo ormai è finito, che è un fenomeno concluso e superato, un semplice residuo del passato. Così non si coglie il fatto nuovo che dovrebbe allarmarci e preoccuparci. Il nostalgico del fascismo, alla fine, non è un grande pericolo, è minoritario, sogna un impossibile ritorno.
Ad essere più pericoloso è il fascista del “terzo millennio”, quello che vorrebbe sostituire alla nostra democrazia in crisi un uomo solo al comando, invertendo il discorso di Pericle e degli ateniesi secondo cui la democrazia è il governo dei molti e non dei pochi.
Ho visto recentemente un sondaggio da cui risulta che molti cittadini si dicono favorevoli a un uomo forte al comando. Questo vuol dire non solo non aver fatto i conti col passato, ma non aver capito nulla del presente e delle novità che in tutto il mondo si vanno presentando. Adesso si profilano forme di “fascismo” nuove, incoraggiate dal fatto che in Europa c’è una spinta complessiva a destra e non verso una destra liberale (cosa che sarebbe del tutto normale, nella competizione politica) ma verso una destra che tende a essere “nera” o a basarsi su gretti nazionalismi, egoismi, razzismi.
Sta qui l’aspetto più pericoloso. Se guardiamo all’Europa troviamo troppi Paesi, soprattutto nell’Est, nei quali vi sono regimi autoritari che non si definiscono fascisti ma che in qualche modo tendono a esserlo, dal momento che escludono la libertà di stampa, i diritti dell’opposizione e mirano, alle fondamenta, l’autonomia della magistratura.
In molti Paesi d’Europa la crescita delle migrazioni ha prodotto l’effetto, involontario ovviamente, dell’insorgere di egoismi nazionalistici, degli egoismi individuali e delle varie forme di razzismo con l’idea che il fenomeno vada combattuto con i muri, con i fili spinati o, peggio ancora, respingendo i migranti anche con le armi. Questo, in una situazione di malfunzionamento delle istituzioni e di cattiva politica, crea un clima, un humus favorevole allo sviluppo di idee alternative alla democrazia. Le idee di chi rifiuta i migranti e sostiene che vanno privilegiati i cittadini, che il lavoro va dato prima ai nostri, che la casa va data per primi a quelli che abitano in Italia da tempo.
Da qui la prospettata esigenza di governi stabili, destinati a sfociare in governi autoritari. Ciò ha dato spazio a movimenti neofascisti nuovi, anche diversi dal fascismo “tradizionale” e ha reso più arditi quelli che venivano considerati solo come “nostalgici”.
Se abbiamo prof che inneggiano a Hitler è perché in Italia manca una defascistizzazione
Testo tratto dall’articolo di Oiza Q. Obasuy in The Vision del 10 Dicembre 2019
Una delle narrazioni più comuni che emergono quando si parla di neofascismo è che coloro che perpetuano una simile ideologia sono semplicemente degli ignoranti. Eppure vengono spesso invitati nei programmi tv come personaggi antagonisti per fare audience, spronandoli a esprimere la loro visione su questioni socio-politiche. A meno che non si condividano queste vere e proprie stupidaggini, siamo portati troppo spesso a bollare le visioni espresse da tali personaggi come prive di logica o dettate, per l’appunto, dal fatto di non conoscere abbastanza, in realtà si tratta di questioni ben precise che scaturiscono da un’ideologia studiata.
Ridurre il neofascismo a questi episodi mediatici e bollare il tutto con “ignoranza” non porta ad analizzare un problema ben più grave, ossia il fatto che le medesime ideologie si possono trovare anche in quei luoghi in cui tale “ignoranza” non dovrebbe esistere, come scuole e Università. Bisognerebbe piuttosto considerare, e attuare, le leggi in vigore, perché il nazifascismo è un crimine e non un’opinione.
Recentemente, diverse testate giornalistiche hanno parlato di Emanuele Castrucci, il pofessore di Filosofia politica e del diritto dell’Università degli Studi di Siena a causa della segnalazione di diversi utenti di Twitter, che hanno sottolineato come i post pubblicati da Castrucci fossero evidentemente filonazisti, antisemiti e negazionisti.
… Il caso Castrucci non è isolato. Prima di questo infatti, il professore di storia e filosofia, Matteo Simonetti, dell’Istituto Superiore Da Vinci, di Civitanova Marche, in provincia di Macerata, durante un dibattito sulla Resistenza a cui erano presenti alcuni delegati dell’Anpi, ha esordito sollevando dubbi sulla veridicità di ciò che viene riportato sui libri di storia e che per parlare di fascismo “serve contraddittorio”.
… Generalmente, quando si parla del nazifascismo, si tende a dire che l’unico modo per combatterlo sono lo studio e la cultura. Tuttavia, l’esempio di questi due professori dimostra come non sia così e di come, al contrario, spesso un certo tipo di formazione non faccia altro che perpetuare ciò che si cerca di contrastare.
Il fatto che la Shoah sia esistita, così come molti altri crimini e repressioni nazifasciste, è un fatto conclamato e provato. Al giorno d’oggi nessuno dovrebbe mettere in dubbio ciò che accadde in Italia e in Germania negli anni anni Trenta del Novecento. Eppure è evidente che il negazionismo continui a essere una costante, specie se viene alimentato da una cultura – quella nazifascista – che trova la sua forza sia nelle teorie revisioniste a cui hanno fatto affidamento questi professori, sia tra chi, come nel caso di Civitanova Marche, ritiene che serva un contraddittorio per parlare di fascismo, come se ne esistesse una versione “buona”.
… L’esistenza di leggi quali la Legge Scelba, che condanna l’apologia di fascismo e la riorganizzazione del partito fascista, o la Legge Mancino, che condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali, non hanno impedito che continui ad avvenire tuttora una normalizzazione di tali ideologie.
Il tutto viene poi sostenuto e veicolato da una specie di pop culture mediatica che le rende, esposte in prima serata, quasi folkloristiche. Si pensi al programma “Dritto e Rovescio” e allo scontro grottesco avvenuto in diretta tra il fumettista Vauro Senesi e un neofascista chiamato “Brasile”, atto esclusivamente a creare audience.
Ci si ostina a intervistare o invitare persone che ancora oggi credono e diffondono teorie antiscientifiche sull’idea di razza contribuendo a far sentire la loro voce solo per fare ascolti: sul programma Piazza Pulita, è andata in onda una puntata sull’odio razziale, sull’antisemitismo e sul caso dell’Università di Siena. In questa puntata un inviato del programma è andato a intervistare Paolo Sizzi, un uomo già condannato per istigazione all’odio razziale e che sui social, soprattutto su Twitter, pubblica post analoghi a quelli di Castrucci.
C’è da chiedersi se sia davvero necessario dare visibilità a determinati soggetti: Arianna Ciccone, giornalista di Valigia Blu invitata in quella puntata, ha infatti sottolineato come andare alla ricerca di determinati personaggi sia deleterio – ci sono studi che lo dimostrano – e che il focus principale avrebbe dovuto essere il fatto che le cattedre universitarie, o scolastiche, possano essere affidate proprio a neofascisti.
La realtà è che fascismo e nazismo continuano a serpeggiare nei vari livelli della società: da Comuni che prendono iniziative ambigue, come quello di Schio, che boccia una mozione sulle pietre d’inciampo perché ritenute “divisive”, a dibattiti sul 25 aprile e di come venga vista ancora oggi come festa divisiva. E nonostante tutto vengono tollerati fino ad arrivare a insediarsi anche in scuole o Università.
Emanuele Castrucci non è il prodotto della semplice ignoranza. Non si tratta di una persona che “non ha studiato”, ma di una persona che ha una formazione inquadrata nell’ideologia nazifascista. E oggi, in Italia, anziché essere condannata senza troppi giri di parole, diviene oggetto di dibattito – che sia sui social network o sui programmi tv.
Il nazifascismo non potrà mai essere un’opinione, rimarrà sempre un reato e come tale deve essere considerato. Bisogna ripartire proprio da quel mancante processo di defascistizzazione – insieme a un’applicazione effettiva delle leggi vigenti, con una maggior attenzione al reato di negazionismo – per contrastare queste visioni liberticide ed evitare che vi siano professori fascisti nel percorso di formazione degli studenti, dato che la scuola, lo studio e la cultura dovrebbero contribuire ad aprire le menti.
Vedi: Ai fascisti che ritornano
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