L’inserimento, tra le misure anti-crisi, della possibilità di spostare alla domenica successiva le tre feste civili, fra cui il 25 aprile, che sono momenti fondativi dell’identità sociale del paese, s’inserisce in una serie di tentativi per erodere, passo dopo passo, l’egemonia culturale dei valori dell’antifascismo e della Resistenza. Tentativi che vanno dalla critica alla celebrazione della Resistenza, alla proposta di sopprimere la festa del Primo maggio, all’opposizione verso la celebrazione del Centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, alla rivendicazione del diritto a celebrare i cecchini della Repubblica sociale di Salò, «eroi della resistenza all’invasione americana» secondo il coordinatore regionale di Casa Pound Fabio Versanti, cecchini che durante la liberazione di alcune città si dilettavano a sparare su donne e bambini in cerca di acqua e cibo. In un tale inquietante quadro di revisionismo storico e di restaurazione s’inserisce il gesto intimidatorio contro l’ex partigiano e presidente della sezione Gavinana dell’Anpi di Firenze, Giorgio Pacini, a cui è stata inviata una busta con dei proiettili e con una frase che inneggia ai cecchini fascisti.
L’intimidazione non colpisce solo l’Anpi. Tutto il paese deve sentirsi coinvolto. A Firenze c’è stata una esecrazione unanime di tale gesto. Perfino i devoti degli eroi cecchini si sono uniti alla condanna. No, non basta l’esecrazione. E qui ritorna il tema della memoria evidenziato opportunamente e saggiamente dal presidente della regione toscana, Enrico Rossi: «Il verificarsi di atti deplorevoli come quello subito da Pacini ci fa capire la forza della memoria, che è una questione politica di primaria importanza…». A questo punto però un interrogativo si pone: quale memoria? La memoria disarticolata che trasforma il processo storico in un insieme scoordinato di fatti separati fra loro? La memoria secondo la quale la Resistenza sarebbe un episodio a sé, quasi senza passato e senza futuro, da considerare alla stregua di altri episodi nel “mucchio” dei fatti storici? E la partecipazione alla Resistenza e l’adesione di “tanti giovani” alla Repubblica di Salò così come la lotta dei partigiani e quella dei cecchini sarebbero due episodi diversi da valutare quasi con distacco per giungere alla pace sociale? Ma in tale frantumazione della memoria, la liberazione come processo perenne di umanizzazione sociale scompare per far posto a un indistinto nebbioso divenire storico in cui tutte le vacche sono grigie. E la memoria è trasformata in ricordo, magari in nostalgia, come la foto del caro estinto posta sulla sua tomba, accanto alla tomba del suo avversario, nello stesso cimitero.
Questa, a mio avviso, è la memoria cimiteriale che sta alla base della unanimità nella esecrazione del gesto intimidatorio contro Giorgio Pacini. Tutto ciò apre scenari politici che vanno ben al di là del significato contingente del gesto intimidatorio. Perché tale disarticolazione della memoria è il nutrimento del neoliberismo dominante. Il quale è creatore di società-necropoli. Ha bisogno di produttori-\consumatori, morti-viventi senza identità sociale. E quando la sinistra ha accettato le regole del liberismo ha accettato anche questa regola fondamentale. Per condizionare dal di dentro le leggi del mercato e magari produrre le condizioni per ripartire con una storia diversa; ma ha accettato che la società venisse trasformata in una aggregazione di smemorati. Nessuno scandalo moralistico. Subire il ricatto del sistema di dominio trionfante può esser visto come una condizione momentanea della politica in quanto lotta di potere. Ma io dal basso non ci sto. O meglio, anch’io collaboro, seppure solo comprando dal fornaio il pane quotidiano, quel pane che è negato a due terzi dell’umanità. Non accetto però di vendere l’anima. Voglio tener viva la consapevolezza e la memoria.
Per la strategia liberista, che ha un’ossessiva paura della memoria, la gente deve dimenticare il suo passato sociale e ripartire da zero per un’era senz’altro ideale e identità che la religione del danaro. Sono da seppellire le aspirazioni condivise di una vita felice per tutti senza confini, il senso di compiutezza umana provato nel lottare insieme per la giustizia, lo stupore sempre rinnovato nello scoprire che il proprio vissuto sociale ha una diffusione planetaria, la consapevolezza della consonanza profonda e dell’intreccio con le grandi esperienze storiche dell’umanesimo sociale di
tutti i tempi, la constatazione che la fatica e il sangue versato sono seme e nutrimento, la speranza contro ogni speranza, l’esperienza che il pane condiviso è pane moltiplicato e fonte di vita per tutti. L’evoluzione liberista esige che la memoria di tutto questo sia annullata. Se ciò accadesse, sarebbe il disastro totale. Perché il pianeta non è in grado di reggere la guerra liberista di tutti contro tutti, guerra spietata fra morti-viventi, privati dell’anima sociale e della sua memoria, né sul piano economico, né ecologico, né psicologico-sociale. Per questo è importante per noi valorizzare e difendere la memoria sociale della liberazione come processo storico e non fermarsi alla pur sacrosanta esecrazione dell’ignobile gesto intimidatorio contro Giorgio Pacini e contro la società intera.
Enzo Mazzi il manifesto 28 agosto 2011
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