filosofo e storico tedesco (1880-1936)

 

 

L’Occidente, con tutti noi occidentali, sta implodendo nella sua follia di guerra. Nella sua follia di morte. Nella sua pseudo-cultura di morte.

Ma chi se ne rende conto? Chi sa cogliere i segnali sempre più evidenti della dissennatezza, della pazzia che ci circonda ( tra Grande Reset, guerre, emergenze, impaurimenti, pseudo-pandemie, vaccini mortali, pseudo-crisi climatiche, impoverimenti, depopolazione, sorveglianze digitali, intelligenza artificiale, stupidità, omologazione, genocidio culturale)  e che ha il suo culmine con il genocidio di Gaza in “presa diretta” nell’indifferenza generale ( leggi QUI)?

Chi sa cogliere che ogni giorno ci avviciniamo un po’ di più alla Terza Guerra Mondiale grazie alla stoltezza di politici, governi ed istituzioni come l’EU guidati come cagnolini dalla cupola, dal “Mucchio selvaggio” dell’aristocrazia finanziario-usuraia, vero laboratorio di morte?

 

Nell’alto medioevo si affermò nei Balcani l’eresia bogomila che sopravvisse nei secoli e si ripresentò nell’Europa occidentale nei Catari o Albigesi che ebbero una qualche breve fortuna anche in Italia, prima che una crociata appositamente organizzata li distruggesse. La cosa interessante di questa dottrina fondata su una struttura manichea è che il mondo in cui viviamo è una creazione del demonio e dunque è l’inferno dal quale si può sfuggire solo rifugiandosi nella spiritualità.

Ora mi chiedo come si possa dare torto a una visione del genere se si segue il vertice Nato a Washington dove una casta di spregevoli burattini si assiepa per vedere se Biden è ancora effettivamente vivo oppure si trova in uno stato quantistico simile al gatto di Schrödinger. Come può sfuggire la malvagità intrinseca di questi fantasmi politici che vorrebbero mandarci in guerra pur di preservare il loro potere e soprattutto quello dei loro padroni?

Questo  mondo – inferno in cui si aggirano il già sconfitto Sunak, i politicamente castrati Macron e Scholz oltre alla folla di comparse che proprio non contano nulla – è veramente spaventoso: pur di non dichiararsi sconfitti mentono su ogni cosa e ancora una volta gridano a gran voce che la Russia è sul punto di essere vinta. ( da https://ilsimplicissimus2.com/   11/7/2024)

 

E’ il DIES IRAE sull’Occidente. Mai, come in questo periodo orrendo che viviamo, la sequenza liturgica del Dies Irae (forse composta dal francescano Tommaso da Celano nel XIII secolo) è l’unico canto funebre che si può eseguire sull’Occidente nel suo complesso.

“Giorno d’ira” sulla nostra turpe inconscienza e sul nostro servilismo verso una banda di criminali stra-miliardari. Verrà, sta per venire quel “giorno d’ira” funesta e rovinosa su una civiltà occidentale ormai in decomposizione.

Ascoltate bene, proprio bene il video che subito segue e poi riascoltate il video successivo ( già proposto nell’articolo che trovate QUI).

Servono da introduzione a ciò che il filosofo Agamben ha appena scritto e che riportiamo subito dopo i video. V’invitiamo a meditarlo con attenzione.

Ah, dimenticavamo: in questa putrida dissoluzione dell’Occidente dov’è la vostra zona d’interesse  ( leggi QUI)? (GLR)

 

 

 

 

Perchè il nuovo ordine vuol farci credere immortali

E’ definitiva. E’ un momento storico in cui il tema della morte è quotidianamente presente eppure sembra essere un elemento – la morte – costantemente rimosso e cancellato dalla nostra psiche.

Cerchiamo di fare chiarezza e capire questa apparente assurdità, ovviamente calcolata, assieme a MARTINO NICOLETTI antropologo, autore della rubrica “IPERBOREA” riservata ai nostri abbonati, oggi qui con noi “in chiaro”.un momento storico questo dove ci sembra di essere a un solo passo dalla catastrofe e dalla guerra.

 

Ascolta vedi QUI

 

 

 

 

Bestiame telecredente

L’obiettivo è chiaro: i politici hanno il compito di condurre il popolo verso una destinazione prefissata, senza mostrare il minimo segno di empatia.

Questo processo di disumanizzazione è stato eseguito con precisione seguendo un nuovo ordine mondiale.

 

Silver Nervuti

Ascolta e vedi QUI

 

 

 

 

Requiem per l’Occidente

Verso la fine del XIX secolo, Moritz Steinschneider (1816-1907), uno dei fondatori della scienza del giudaismo, dichiarò, non senza scandalo di molti benpensanti, che la sola cosa che si poteva fare per il giudaismo era assicurargli un degno funerale.

È possibile che da allora il suo giudizio si applichi anche alla Chiesa e alla cultura occidentale nel suo complesso. Quel che di fatto è, tuttavia, avvenuto è che il degno funerale di cui parlava Steinschneider non è stato celebrato, né allora per il giudaismo né ora per l’Occidente.

Parte essenziale del funerale nella tradizione della chiesa cattolica è la messa detta di Requiem, che nell’Introito si apre appunto con le parole: Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis.

Fino al 1970, il missale romano prescriveva inoltre per la messa di requiem la recitazione nella sequenza del dies irae.

Questa scelta era perfettamente conseguente col fatto che il termine stesso che definiva la messa per i defunti proveniva da un testo apocalittico, l’Apocalisse di Esdra, che evocava insieme la pace e la fine del mondo: requiem aeternitatis dabit vobis, quoniam in proximo est ille, qui in finem saeculi adveniet, «vi darà la pace eterna, perché è vicino colui che viene alla fine del tempo».


L’abolizione del dies irae nel 1970 va insieme all’abbandono di ogni istanza escatologica da parte della Chiesa, che si è in questo modo del tutto conformata all’idea di un progresso infinito che definisce la modernità.


Ciò che viene lasciato cadere senza il coraggio di esplicitarne le ragioni – il giorno dell’ira, l’ultimo giorno – può essere raccolto come un’arma da usare contro le viltà e le contraddizioni del potere al momento della sua fine.

 

È quanto intendiamo qui fare, provandoci a celebrare senza intenzione parodica, ma al di fuori della Chiesa, che appartiene al numero dei defunti, una sorta di funerale abbreviato per l’occidente.


Dies irae, dies illa
solvet saeclum in favilla,
teste David cum Sybilla.

Giorno d’ira, quel giorno
distruggerà il mondo nella cenere,
come testimoniano Davide e la Sibilla.

Di che giorno si tratta? Certamente del presente, del tempo che stiamo vivendo. Ogni giorno è il giorno dell’ira, l’ultimo giorno. Oggi il secolo, il mondo sta bruciando, e con esso anche la nostra casa. Di questo dobbiamo essere testimoni, come Davide e come la Sibilla. Chi tace e non testimonia, non avrà pace né ora né domani, perché è appunto la pace che l’occidente non può né vuole vedere né pensare.

Quantus tremor est futurus
quando iudex est venturus
cuncta stricte discussurus.

Quanto terrore ci sarà,
quando verrà il giudice,
per giudicare rigorosamente ogni cosa.

Il terrore non è futuro, è qui e ora. E quel giudice siamo noi, chiamati a pronunciare il giudizio, la krisis sul nostro tempo. Alla parola «crisi», di cui non si fa che parlare per giustificare lo stato d’eccezione, noi restituiamo il suo significato originale di giudizio. Nel vocabolario della medicina ippocratica, krisis designava il momento in cui il medico deve giudicare se il paziente morirà o sopravviverà. Allo stesso modo noi discerniamo ciò che dell’occidente muore e ciò che è ancora vivo. E il giudizio sarà severo, non si lascerà sfuggire nulla.

Tuba mirum spargens sonum
per sepulchra regionum,
coget omnes ante thronum.

Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
iudicanti responsura.

Una tromba che diffonde un suono meraviglioso
nei sepolcri di tutto il mondo,
chiamerà tutti davanti al trono.

La morte e la natura stupiranno,
quando la creatura risorgerà,
per rispondere al giudice.

Non possiamo far risorgere i morti, ma possiamo almeno preparare con ogni cura lo strumento meraviglioso del nostro pensiero e del nostro giudizio e, facendolo poi risuonare senza timore, liberare la natura e la morte dalle mani del potere che con esse ci governa. Sentire stupire in noi la natura e la morte, presagire qui e ora un’altra vita possibile e un’altra morte, è la sola resurrezione che c’interessa.

Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus iudicetur.

Iudex ergo cum sedebit,
quidquid latet apparebit,
nil inultum remanebit.

Verrà aperto il libro,
nel quale tutto è contenuto,
e da quello il mondo sarà giudicato.

Non appena il giudice sarà seduto,
apparirà ciò che è nascosto,
nulla resterà invendicato.

Il libro scritto è la storia, che è sempre storia della menzogna e dell’ingiustizia. Della verità e della giustizia non vi è storia, ma apparizione istantanea nella krisis decisiva di ogni menzogna e ogni ingiustizia. In quel punto la menzogna non potrà più coprire la realtà. La giustizia e la verità manifestano infatti se stesse, manifestando la falsità e l’ingiustizia. E nulla sfuggirà alla forza alla loro vendetta, a condizione di restituire al questa parola il significato etimologico che ha nel processo romano, in cui il vindex è colui che vim dicit, che mostra al giudice la violenza che è stata fatta a colui che solo in questo senso egli “vendica”.

Quid sum miser tunc dicturus,
quem patronum rogaturus,
cum vix iustus sit securus.

E io che sono misero che dirò,
chi chiamerò in mia difesa,
se a mala pena il giusto è sicuro?

Il giusto che presta la sua voce al giudizio è in qualche modo coinvolto nel giudizio e non può chiamare altri in sua difesa. Nessuno può testimoniare per il testimone, egli è solo con la sua testimonianza -in questo senso non è sicuro, è dentro la crisi del suo tempo -e nondimeno pronuncia la sua testimonianza.

Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis…

Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
iudicandus homo reus

Condannati i maledetti,
gettati nelle vive fiamme,
chiama me tra i benedetti…

Giorno di lacrime quel giorno,
quando risorgerà dalla cenere
l’uomo reo per essere giudicato.

Benché l’inno sul giorno dell’ira faccia parte di una messa che chiede pace e pietà per i morti, il discrimine fra i maledetti e i benedetti, fra i carnefici e le vittime è mantenuto. Nell’ultimo giorno, i carnefici, come stanno ora facendo senza forse avvedersene, si confutano infatti da soli, lasciano cadere le maschere che coprivano la loro ingiustizia e la loro menzogna e si gettano nelle fiamme che hanno essi stessi acceso.

L’ultimo giorno, il giorno dell’ira, ogni giorno è per essi un giorno di lacrime, ed è forse proprio perché ne sono consapevoli che si fingono così sorridenti.

Solo il consenso e la paura dei molti tiene in sospeso quel giorno.


Per questo, anche se ci sappiamo senza potere di fronte al potere, tanto più implacabile deve essere il nostro giudizio, che non possiamo separare dal requiem che stiamo celebrando. Signore, non dare loro la pace, perché essi non sanno che cosa essa sia.


Giorgio Agamben, filosofo      https://www.quodlibet.it/   11/7/2024

Agamben è un filosofo italiano di fama mondiale. Ha scritto opere che spaziano dall’estetica alla filosofia politica, dalla linguistica alla storia dei concetti, proponendo interpretazioni originali di categorie come forma di vita, homo sacer, stato di eccezione e biopolitica. Già dal 2020 ha preso posizione contro la strategia del Grande Reset.


 

 

E il modo come il genio di Mozart ha interpetato il Dies Irae può dirci qualcosa in più… Ascoltatelo come un grido di dolore.

 

Mozart: Requiem In D Minor. Sequentia: Dies Irae

 

 

Berliner Philharmoniker & Claudio Abbado

Ascolta e vedi QUI

 

 

 

 

 

Mozart: Requiem In D Minor.  Confutatis Maledictis


Ascolta e vedi QUI

 

 

 

 

 

 

 

Per trasformare ogni somma di denaro in una somma più grande, il capitalismo consuma il mondo intero – sul piano sociale, ecologico, estetico, etico. Dietro la merce e il suo feticismo si nasconde una vera e propria pulsione di morte, una tendenza, incosciente ma potente, verso l’annientamento del mondo.

Anselm Jappe

filosofo tedesco (1962)

 

 

 

 

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