” cosa rimane della democrazia se all’opera ci sono oligarchie molto potenti, molto remote, sempre più decisive? “
L’oligarchia è il governo dei pochi, è un sistema che concentra il potere a danno dei molti, in contrasto con l’idea democratica del potere diffuso tra tutti. Oggi viviamo in un tempo in cui la democrazia, come principio, come idea, come forza legittimante, è fuori discussione. Nei nostri regimi democratici perciò, quando l’oligarchia si instaura, lo fa mascherandosi, senza mai presentarsi apertamente, come un’entità usurpatrice. Non si manifesta ma esiste, e si fonda sul denaro, sul potere e sul loro collegamento reciproco: nel sistema finanziario globale il danaro alimenta il potere e il potere alimenta il danaro. Quella finanziaria è una forma oligarchica diversa da quella tradizionale. Sa trasformarsi in pressione politica svuotando di senso la democrazia. La domanda che oggi si pone drammaticamente è perché il sistema debba ruotare intorno al benessere di un potere essenzialmente fondato sulla speculazione e la contemplazione della ricchezza e come fare per tornare a essere, da sudditi, cittadini.
Il libro: La maschera democratica dell’oligarchia di Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky, ed. Laterza 2015, € 9,50
I PADRONI DEL MONDO SI NASCONDONO DIETRO LA DEMOCRAZIA
Le metamorfosi delle oligarchie
Dall’antica Atene all’economia globalizzata: come si esercita il predominio senza il peso di assumere direttamente la gestione del potere.
[Si tratta di una parte della lezione che Luciano Canfora ha tenuto il 1° giugno 2014 a Trento in occasione del Festival dell’Economia, il cui tema è «Classi dirigenti, crescita e bene comune». Luciano Canfora ha recentemente pubblicato con Gustavo Zagrebelsky il dialogo «La maschera democratica dell’oligarchia]
Jules Isaac (1877-1963) – colui che, da vecchio, convinse Giovanni XXIII ad abbandonare le formule anti-ebraiche della liturgia cattolica – quando era un ex professore, braccato dalla Gestapo durante l’occupazione tedesca della Francia, scrisse un piccolo libro di «storia parziale», come egli stesso lo intitolò: Gli oligarchi. Esso fu pubblicato subito dopo la Liberazione, essendo falliti tutti i tentativi di pubblicazione clandestina nel 1942/1943. In una pagina molto efficace di questo libro appassionante, Isaac distingue preliminarmente, trattando dell’Atene del V secolo, tra «oligarchi» e «ceto aristocratico». «Gli oligarchi – scrive – non erano in maggioranza degli aristocratici. Questi, al contrario, pur conservatori, per lo più moderati, pur allarmati per ogni innovazione che a loro sembrava avventura, pur ammiratori di Sparta e della sua immodificabile oligarchia, restavano pur sempre bravi Ateniesi, gente onesta, nemici della violenza».
Gli oligarchi invece erano una piccola minoranza all’interno di questo ceto: essi non si rassegnavano ad accettare il meccanismo democratico, «rifiutavano la douceur de vivre e non facevano che odiare senza remissione il sistema: un piccolo numero di irriducibili, nemici giurati del popolo». E soprattutto sempre pronti, con le antenne ben deste, a spiare il momento in cui colpire e prendere il potere. Ed effettivamente lo presero il potere, a due riprese, approfittando del disastro militare del loro paese, nell’ultimo decennio del V secolo a.C. Ben presto lo persero, ma, dopo, la democrazia ateniese non fu più la stessa.
L’importanza di queste pagine di Jules Isaac, il quale parlando di Atene intendeva riferirsi al crollo della Francia nel 1940 e alla nascita del regime di Vichy – sta nella indicazione dei due piani, tra loro diversi, su cui si muovono gli avversari della democrazia, dei quali quello più temibile è quello che non appare allo scoperto se non quando le condizioni favorevoli (per lo più le crisi o le sconfitte) lo consentono. È in quel momento che si scopre che, sotto traccia, vi erano forze organizzate, pronte ad assumere il comando perché addestratesi costantemente a tal fine e perché personalmente molto capaci e per giunta sorrette da transfughi della democrazia non desiderosi di altro che di affossarla.
Questo quadro, sostanzialmente veritiero, rappresenta una realtà arcaica e di modeste proporzioni, quella appunto della città antica, nella quale il conflitto è elementare e immediato e il nascondimento, in vista della presa del potere, può assumere soltanto la forma della congiura. La realtà moderna, invece, quella dei grandi stati nazionali e ancor più quella delle agglomerazioni che si propongono come superamento degli stati nazionali, consente alle oligarchie – ai «padroni del vapore» per dirla con Ernesto Rossi – una possibilità di predominio effettivo senza più il fastidioso peso o la necessità di assumere direttamente la gestione del potere.
Tale gestione viene demandata al personale politico, a sua volta gratificato di privilegi di tipo oligarchico (ma più volgari e transeunti). Il fenomeno era già intuito da Marx nel Manifesto (1848!) quando parla dei governi come «comitato d’affari della borghesia», e ben trent’anni prima di lui, da Benjamin Constant al termine della celebre conferenza sulla Libertà degli antichi comparata con quella dei moderni, discorso nel quale – non è chiaro se in estasi o attonito – il celebre alfiere del liberalismo osserva che «la ricchezza si nasconde e fugge (…) il potere minaccia, ma la ricchezza ricompensa [cioè: ti compra]; alla fine sarà la ricchezza ad avere la meglio».
La storia del predominio del potere economico sulla società nel suo insieme, esplicato attraverso il personale di governo, è molto lunga e tutt’altro che lineare. Non va dimenticato che sono di volta in volta utili diverse tipologie di personale politico: dal grande trasformista del gioco parlamentare (alla Giolitti) al formidabile demagogo convinto in cuor suo di giocare una sua partita (Mussolini o atri omologhi leaders «populisti»). La fulminante diagnosi di Benjamin Disraeli (1804-1881) – abile e realpolitico ministro di sua maestà la regina Vittoria – descriveva con forte anticipo la realtà nostra: «Il mondo – scriveva lo statista inglese – è governato da tutt’altri personaggi rispetto a quelli che si immaginano coloro i quali non spingono lo sguardo dietro al proscenio».
Oggi, nell’Occidente euro-atlantico, questi personaggi, come li chiamava Disraeli, non hanno più bisogno di farsi legittimare dal suffragio degli elettori. Hanno sotto di sé una serie di cerchie concentriche di oligarchie subalterne – tecniche, burocratiche, politiche – fino alla più bassa, quella del personale incaricato, in un modo o nell’altro, di «vincere le elezioni».
Luciano Canfora La Stampa, 31 maggio 2014
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