RASSEGNA STAMPA

intervista a Alain Caillé, a cura di Olivier Nouaillas

Di fronte alle quattro crisi – morale, politica, economica ed ecologica – che minacciano l’umanità, 64 intellettuali venuti dall’altermondialismo, dall’ecologia e dal cristianesimo sociale, propongono un “Manifesto convivialista”. Intervista al suo catalizzatore, il sociologo Alain Caillé.

“Mai l’umanità ha avuto a disposizione tante risorse materiali e tante competenze tecniche e scientifiche (…). Eppure nessuno può credere che questo accumulo di potenza possa proseguire all’infinito, tale quale, in una logica di progresso tecnico immutato, senza ribaltarsi contro se stessa e senza minacciare la sopravvivenza fisica e morale dell’umanità”.

Così iniziano le prime frasi del “Manifesto convivialista”, un libretto di una quarantina di pagine, ma intellettualmente molto ambizioso, ed espressione di una sensazione di urgenza. All’origine troviamo la volontà di Alain Caillé, sociologo fondatore del MAUSS (Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali), che è riuscito a far lavorare insieme 64 ricercatori e professori universitari venuti da tutte le parti del mondo, di sensibilità altermondialista, ecologista o provenienti dal cristianesimo sociale (Edgar Morin, Susan George, Patrick Viveret, Serge Latouche, Elena Lassida, Jean-Baptiste de Foucauld, Jean Pierre Dupuy, Jean Claude Guillebaud…). Il risultato è l’elaborazione di un nuovo “fondo” dottrinale filosofico, il convivialismo, incaricato di rispondere alle quattro grandi crisi – morale, politica, economica ed ecologica – che stanno vivendo le nostre società all’inizio del XXI secolo. Prima della sua presentazione in una conferenza stampa prevista a Parigi per il 19 giugno, Alain Caillé, in anteprima, ha accettato di commentarne per noi le grandi linee in una lunga intervista concessa a La Vie, a casa sua, in un appartamento pieno di libri a due passi dalla stazione Montparnasse. Leggi il resto di questo articolo »

La laicità, che nella stagione del Concilio sembrava aver recuperato all’interno della Chiesa cattolica nuovo slancio, attraversa oggi una situazione di stallo e persino di involuzione. Il ritorno del clericalismo in una forma piú sofisticata (ma non meno pericolosa) con il conseguente depotenziamento dell’autonomia laicale, la rinascita di tentazioni integraliste che finiscono per non rispettare l’ambito proprio della politica (e piú in generale di tutte le attività terrestri) e, infine, l’affermarsi di un fondamentalismo etico che pretende di imporre allo Stato le proprie posizioni in campo legislativo sono altrettanti indici del tentativo della Chiesa di invadere spazi che non le competono, mettendo perciò seriamente a rischio il riconoscimento e il rispetto della laicità

Ma come oggi si manifesta tale invadenza? Quali sono i campi nei quali la Chiesa (e in particolare quella italiana) sembra soprattutto esercitare la propria indebita ingerenza? La risposta a questi interrogativi meriterebbe un’ampia disamina della situazione, che non è possibile contenere nel breve spazio di un articolo. Ci limitiamo perciò a prendere in esame l’ambito della politica, dove tale ingerenza è apparsa piú evidente, al punto che vi è chi è giunto persino a parlare di ritorno a una forma di religione civile. Leggi il resto di questo articolo »

intervista a Michael Sandel*, a cura di Corrado Del Bò ed Eleonora Marchiafava

Basta che uno scambio di mercato sia libero e volontario perché nessuno possa opporvisi? Davvero  dobbiamo essere indifferenti rispetto al contenuto delle preferenze individuali, come il pensiero economico mainstream tende a ritenere? O ci sono beni che il denaro non deve poter comprare? E quali? Fino a che punto possiamo accettare che si spinga il potere del denaro? Quando, invece, abbiamo buone ragioni per evitare che un bene divenga merce? Quando, in breve, la morale deve dettare legge al mercato? A queste e altre domande prova a rispondere Michael Sandel, filosofo politico che insegna a Harvard, nel suo libro appena uscito per Feltrinelli Quello che i soldi non possono comprare (pp. 233, euro 22,00). Sono risposte che partono da esempi concreti: dalle celle più confortevoli per detenuti disposti a pagare un extra al bagarinaggio delle messe del papa, passando per il diritto di saltare le code (pagando, s’intende), la vendita di sangue, l’utero in affitto, i tatuaggi pubblicitari permanenti, l’esternalizzazione della guerra alle compagnie private, i futures sul terrorismo. E sono risposte che generano altri interrogativi, in una trama allo stesso tempo semplice e sofisticata che, alla fine, chiama il lettore a una pronuncia morale: è giusto che sia il denaro a decidere come distribuire un certo bene? Leggi il resto di questo articolo »

Come se fosse l’architettura dei poteri e una Costituzione difettosa, a impedire alla politica e ai partiti di ritrovare la decenza perduta, o a darsene una ex novo. Come se un capo di Stato eletto direttamente dal popolo, e più dominatore – è il farmaco offerto in questi giorni – servisse a curare mali che non vengono da fuori, ma tutti da dentro, dentro la coscienza dei partiti, dentro il loro rapporto con la cosa pubblica, con l’elettore, con la verità delle parole dette. Leggi il resto di questo articolo »

Il dolore. E la consolazione. Le persone grandi andandosene sembrano preoccuparsi di chi resta. Lasciano un vuoto, ma anche una traccia di speranza. Che sia quella divina o una più umana e, però, comunque grande. In una settimana abbiamo dovuto salutare due persone vicine a noi, al giornale, ma prima di tutto ai nostri pensieri: don Andrea Gallo e Franca Rame. Oggi ci troviamo a cominciare una nuova settimana senza di loro. Ma con il compito di portare avanti i loro ideali. Così ognuno di noi si chiede quale sia il messaggio ultimo di don Andrea e di Franca. E un cosa ci appare quasi sorprendendoci: abbiamo sempre parlato di loro come di due “eretici”, forse per renderli in qualche modo anomali , diversi da noi. In realtà erano due persone pure. E la purezza, come avviene per l’ossigeno, se respirata senza filtro rischia di bruciarci. Leggi il resto di questo articolo »

intervista a Michele Gesualdi,  a cura di Osvaldo Sabato

“Per chi lo ha conosciuto bene don Lorenzo Milani continua a rimanere l’uomo del futuro,  nonostante che gli anni della morte abbiano superato quelli della vita”, dice Michele Gesualdi. A  novant’anni dalla nascita del prete di Barbiana, il 27 maggio del 1923 a Firenze (ma il destino ha  voluto che se ne andasse a 44 anni il 26 giugno 1967) quanto è ancora attuale il suo messaggio?  Michele Gesualdi fu uno dei primi sei allievi di don Milani, oggi è presidente della Fondazione che  porta il suo nome, dopo essere stato per anni sindacalista della Cisl e per due mandati presidente  della Provincia di Firenze. Chi meglio di lui avrebbe potuto raccontare la storia di don Milani, il  priore, come si faceva chiamare dai suoi scolari.  Per il novantesimo dalla nascita è in programma una mostra dal titolo «Don Lorenzo Milani e la  pittura – Dalle opere giovanili al Santo Scolaro » che sarà inaugurata il prossimo 6 giugno a Palazzo  Medici Riccardi, presso gli spazi espositivi della Provincia di Firenze: oltre 80 opere tra dipinti e  disegni, provenienti da collezioni private, di un appassionato studente realizzati all’età di 18 /20  anni, dalle lezioni del pittore Hans-Jachim Staude sino agli studi anatomici presso l’Accademia di  Brera. Leggi il resto di questo articolo »

Il femminicidio è, nel suo simbolismo profondo, un atto culturale e quindi di responsabilità collettiva. Vìviamo in un sistema di formazione che esalta la violenza sui deboli, che coltiva l’odio di genere e abolisce il rispetto dell’altro. La cultura di mercato sta sostituendo la cultura dei diritti e dei doveri e nel grande mercato internazionale una delle merci più richieste è il corpo femminile. La cosa peggiore è che le donne stesse hanno talmente bene introiettato il concetto di merce da comportarsi spesso e con molta naturalezza come tale. Non che sentirsi merce porti felicità, ma può dare una inebriante sensazione di essere al centro del desiderio e dell’avidità mercantile, di smuovere un turbine di denaro. Leggi il resto di questo articolo »

Caro amico ti scrivo… Ti scrivo per non piangere e per non leggere i giornali, per non andare a passeggiare in riva al fiume, per non rispondere a mio figlio che mi chiede notizie dell’Italia. Ti scrivo per non salire sul tetto e mettermi a urlare in mezzo alla notte» senza neppure la speranza che fa urlare i gatti. Del resto» che cosa resta se non urlare» quando la lingua è ridotta a una melma di non sensi a furia di farle dire tutto e il contrario di tutto.

Di usare le parole per riferirsi al loro contrario. Di dire responsabilità e intendere omertà, dire giustizia e intendere impunità, dire rinnovamento e intendere Angelino Alfano, dire legalità e intendere messa al sicuro dei fuorilegge, dire democrazia e intendere consorteria. Non so se a un italiano è capitato di sentirsi così in altri tempi. Ma questa finzione di democrazia ridicolizza anche lo sdegno. Distrugge tutto, compresa la rabbia che affonda prima nella nausea e poi nell’infinita noia, condita dalla melassa dell’universale soddisfazione. Leggi il resto di questo articolo »

L’orrore dei centri per immigrati dove si  uccide senza far morire

Di cosa si tratta? Di come si trattano: uomini, esseri, popoli ma soprattutto di come non si possa più  trattare con chi ricatta il giusto, quindi non si tratta. E non si tratta solo di governi, società, norme  uccise, ma di enorme scansato, meraviglia asfissiata, diritto alla tenerezza, come ho scritto anni fa  parlando di prigione, briciole che bruciano.  Non volevo provare «invidia e gelosia» per quei politici come Luigi Manconi e la sua associazione  “A Buon Diritto” che entrano nei Cie, per riempire quel vuoto che è già alibi; non volevo essere  obbligato a vedere attraverso altri che “per fortuna” hanno potuto raccontare per amore. Amore che  non definirei nemmeno più sentimento, ma insieme d’altezze, somma somma. Leggi il resto di questo articolo »

A settanta anni dal 1943 questo 25 aprile serve per una riflessione e un bilancio. Allora tutto cominciò con una scelta. Quando l’8 settembre crollò lo Stato, tutti furono lasciati soli con la propria coscienza. Di colpo le istituzioni scomparvero togliendo a ognuno protezione e sicurezza; nel marasma delle fughe del re, dell’ignavia dei generali, della protervia dei nazisti, ognuno fu costretto a riappropriarsi di quella pienezza della sovranità individuale alla quale si rinuncia ogni volta che si sottoscrive un patto di cittadinanza che preveda uno scambio tra diritti e doveri, libertà e regole, autonomia personale e legami sociali. Dopo l’8 settembre 1943, nello scenario comune di un’esistenza collettiva segnata dalla paura, dalla fame, dall’incubo delle bombe e della morte, non tutti però reagirono allo stesso modo. Leggi il resto di questo articolo »

Le nostre radici, antidoto alla crisi

C’è la lettera, l’ultima, ai compagni, di un ragazzo partigiano di Parma, Giordano Cavestro, studente  di 18 anni, fucilato dai fascisti repubblichini il 4 maggio 1944 a Bardi, che riletta oggi riempie di  dolore e di commozione per le sue speranze tradite:

«Se vivrete tocca a voi rifare questa povera  Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che servirà da esempio». Leggi il resto di questo articolo »

Tendiamo spesso a dimenticare che siamo ospiti della vita. Nasciamo senza volerlo e saperlo in un determinato tempo e luogo e, senza volerlo e saperlo, il corpo che abbiamo ricevuto in eredità dispiega spontaneamente i suoi mirabili processi. Su questi automatismi le religioni fondano la convinzione che la vita appartenga a Dio e non a noi. Il fatto che dipendiamo da potenze inconsce o più grandi di noi che operano senza il nostro consenso e che segnano in parte il nostro destino non significa, tuttavia, che dobbiamo consegnarci loro passivamente. Al contrario, tutta l’evoluzione della nostra specie rappresenta lo sforzo di emanciparci dal loro diretto dominio, di interrompere l’immediatezza dell’istinto, di educare e mettere argini alle passioni attraverso il consolidamento della volontà, di incrementare le conoscenze grazie all’esperienza e alla riflessione, di apprendere a risalire il corso del tempo a ritroso per mezzo della memoria. Leggi il resto di questo articolo »

La crisi che da anni ormai ha invaso l’Occidente e minaccia addirittura di portare il nostro Paese al  tracollo impone una riflessione su tutto il sistema di vita. Perché non è solo crisi di produttività, ma  anche di valori e azzanna non solo il lavoro, ma anche la salute, l’ambiente, i rapporti sociali. L’esempio dell’Ilva di Taranto è emblematico. La fabbrica d’acciaio dà lavoro a decine di migliaia di  lavoratori, ma diffonde nell’aria sostanza cancerogene che minano la salute dei lavoratori stessi e  delle famiglie dell’intera zona. Richieste sacrosante quelle della salute, ma altrettanto lo sono quelle  del lavoro. Contraddizioni che spetta all’organizzazione del lavoro e alla politica di conciliare. Gli  esempi si moltiplicano e si accavallano anche le contraddizioni. Leggi il resto di questo articolo »

Dal 1978, i cattolici hanno visto apparire al balcone di San Pietro in Roma un papa giovane e sportivo, poi due settuagenari, uno cerebrale e l’altro vicino al popolo. Ogni volta hanno acclamato il pontefice con la medesima forza e hanno esultato per l’azione dei cardinali e dello Spirito Santo. Si sono estasiati davanti a un pontefice che mette in scena la sua agonia in diretta, poi davanti ad un altro che ha spiegato che, mancandogli le forze per reggere il pesante timone della Chiesa cattolica, preferiva ritirarsi. Alcuni giorni dopo, gli stessi si sono entusiasmati all’arrivo di un uomo di 76 anni, certo in forma, anche se privo di un polmone. Erano pronti ad acclamare un favorito di cui conoscevano il curriculum Vitae e hanno gridato di gioia per uno sconosciuto. Adorano le missioni papali ovunque nel mondo e approvano plebiscitariamente i settuagenari.

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TRA GESUITISMO E PAUPERISMO:
LA SCELTA DEI CARDINALI CADE SU BERGOGLIO

Non va sottovalutata la potenziale portata della scelta di un papa latinoamericano, di un gesuita che ha scelto uno stile di vita semplice ed austero, quasi monacale. Così come, al di là delle intenzioni contingenti che hanno determinato questa scelta (cui potrebbe non essere estraneo anche la volontà di compiacere con poco sforzo e sicuro risultato le masse cattoliche) non va sottovalutata la scelta del nome di Francesco; la presentazione dallo stile dimesso e familiare fatta da José Mario Bergoglio dal balcone di piazza san Pietro, l’inchino di fronte alla folla venuta a salutarlo, prima di impartire la propria benedizione (senza però spingersi tanto in là da chiedere che fosse quel “popolo” a benedirlo; Bergoglio si è limitato infatti a chiedere ai fedeli di pregare affinché Dio facesse scendere sul papa la sua benedizione, prima che il papa impartisse la sua, Urbi et Orbi); la sottolineatura del suo essere semplicemente il «vescovo di Roma», piuttosto che «vicario di Gesù Cristo», o «Sommo pontefice della Chiesa universale». Così come non vanno sottovalutati i primi atti di papa Francesco: la rinuncia alla Mercedes, la scelta di pagare l’albergo dove aveva soggiornato prima del Conclave, la decisione di non incontrare il card. Bernard Law (il prelato accusato di aver coperto molti preti pedofili quando era arcivescovo di Boston) durante la sua visita alla Basilica di S. Maria Maggiore. Il rischio, altrimenti, sarebbe quello di essere percepiti come quelli che colgono sempre gli aspetti negativi, i bastian contrari per definizione, gli scettici di qualsiasi riforma, i critici di qualsiasi scelta. Leggi il resto di questo articolo »

La rassegna stampa dei principali quotidiani di oggi pullula di articoli improntati all’ottimismo a commento della recente proclamazione del cardinal Jorge Mario Bergoglio a pontefice della chiesa cattolica romana. Sebbene non manchino elementi in virtù dei quali è lecito sentirsi confortati da questa scelta, il senso critico che dovrebbe caratterizzare gli organi di informazione tende talvolta a latitare: basti pensare, prima che anche questo ricordo oggi ancora vivo cada nell’oblio, al tono ossequioso che ha caratterizzato la quasi totalità delle trasmissioni radiofoniche e televisive che si sono occupate di seguire l’evento in oggetto. Leggi il resto di questo articolo »

Quando nei giorni scorsi sentivo proporre per il nuovo Papa il nome Francesco, dicevo subito a chi mi stava vicino: questo è impossibile. Nessun Papa avrebbe la faccia tosta di attribuire a sé un nome di questo stampo, per ragioni storiche e ideali. La figura di Francesco resta nella storia della Chiesa una figura troppo distinta e autorevole perché proprio un Papa possa con un gesto di annessione farla tranquillamente sua. Esistono figure diverse nella storia e quella di Francesco d’Assisi sta bene in quanto attesta una dimensione sua propria. Proprio il cattolicesimo è fatto di queste tensioni. Le dissonanze giovano alla dialettica storica e spirituale.

Sorpresa. Il primo papa gesuita si è imposto il nome Francesco, smentendo in un colpo ogni remora. Il potere papale si estende anche ai nomi e può far suo, senza alcun rispetto, tutto ciò che decide di fare suo. C’è stato un bell’episodio però alla presentazione del nuovo vescovo di Roma, quando il neoeletto ha chiesto al popolo di piazza San Pietro prima di tutto un momento di preghiera per lui. Questo è serio e bello. Leggi il resto di questo articolo »

 intervista a Daniele Menozzi a cura di Luca Kocci       “il manifesto”  23 febbraio 2013

Uscirà lunedì 25 il fascicolo speciale su Ratzinger e il prossimo Conclave (Punto… E a capo?) realizzato dall’agenzia di informazioni Adista in cui è pubblicata anche l’intervista integrale a Daniele Menozzi che anticipiamo sul manifesto di oggi. Nel fascicolo si ricostruiscono le tappe fondamentali del pontificato di papa Benedetto XVI, caratterizzato da scivoloni, arretramenti pre- conciliari e “corvi”, ma anche i suoi 25 anni trascorsi alla guida della Congregazione per la dottrina della fede, l’ex sant’Uffizio, da dove l’allora card. Ratzinger, braccio destro di Wojtyla, affossò la teologia della liberazione e tutte le voci autonome della Chiesa cattolica. E poi una serie di analisi fra gli altri di Marcelo Barros, Leonardo Boff, José Marìa Castillo, Ortensio da Spinetoli, Beniamin Forcano, Ivone Gebara, Mary Hunt, Felice Scalia e Andrés Torres Queiruga. Leggi il resto di questo articolo »

Egregio Signor candidato alla presidenza del Consiglio dei Ministri, come molti altri elettori ed elettrici non ho ancora scelto per chi votare alle prossime elezioni politiche. Mancano, a mio avviso, proposte convincenti di cambiamenti profondi, di riforme incisive e durature non solo per affrontare la crisi economica e soprattutto per affrontare lo sfacelo della politica e il degrado della vita civile, che ci affliggono non meno della crisi economica. Le scrivo per chiederle di pronunciarsi in modo esplicito e vincolante su alcuni temi che non sono al centro della campagna elettorale; sono problemi che attengono ai diritti, alle libertà, alla cittadinanza; questioni tipicamente «liberali», cioè legate a una cultura che non ha mai mobilitato i due grandi partiti di massa protagonisti di decenni della storia politica della nostra Repubblica. Leggi il resto di questo articolo »

Sarebbe stata una buona idea mantenere il sangue freddo davanti a Berlusconi, il giorno che a Milano ha parlato del fascismo, e chiedergli come mai Mussolini avesse «per tanti versi fatto bene», eccettuate le leggi razziali. Fece bene quando uccise Matteotti, incarcerò gli oppositori? Quando inviò l’esercito in Etiopia, ordinandogli di usare i gas asfissianti a scopo di sterminio? Quando entrò in guerra accanto a Hitler, e non per evitare una vittoria tedesca troppo vasta ma convinto da sempre che urgeva vendicare l’oltraggio del ’14-18? Oppure fece bene perché seppe governare accentrando tutti i poteri, reintroducendo la pena di morte, soggiogando l’amministrazione della giustizia? Quando si incontra un politico provocatore, che consapevolmente sceglie il giorno in cui si ricorda la Shoah per inquinare il consenso antifascista da cui è scaturita la Costituzione, è sempre la seconda domanda quella che conta, che aiuta a capire, e la seconda domanda purtroppo è mancata. Leggi il resto di questo articolo »

il dibattito

Disquisendo della memoria della seconda guerra mondiale, lo storico inglese Tony Judt parla di “eredità maledetta”. Per lo scontro di civiltà che incarnò quel conflitto globale e per le sue truculente appendici (la Shoah, le deportazioni, la bomba atomica). Ma anche per il racconto mitizzato di quelle vicende. Con la (comoda) attribuzione alla Germania nazista di tutte le responsabilità e la presunzione di innocenza degli altri. Compreso chi, come l’Italia, vantava la primogenitura mondiale del fascismo e aveva collaborato strettamente con Hitler e i suoi atroci crimini.

A distanza di settant’anni da quei fatti, il nostro Paese non si è ancora liberato di quell’“eredità maledetta”. E la visione autoassolutoria, con il corollario dello stereotipo de Il cattivo tedesco e il bravo italiano, come titola il saggio di Filippo Focardi (Editori Laterza, 288 pagine, 24 euro), resiste nell’immaginario collettivo. Per dirla altrimenti, ampi settori dell’opinione pubblica italiana condividono il giudizio buonista su Benito Mussolini formulato da Silvio Berlusconi il 27 gennaio scorso. Leggi il resto di questo articolo »

È impressionante il mutismo che regna, alla vigilia delle elezioni in Italia e Germania, su un tema decisivo come la guerra. Non se ne parla, perché i conflitti avvengono altrove.Eppure la guerra da tempo ci è entrata nelle ossa.  Non è condotta dall’Europa, priva di un comune governo politico, ma è ormai parte del suo essere nel mondo. Se alla sterminata guerra anti-terrorismo aggiungiamo i conflitti balcanici di fine ’900, sono quasi 14 anni che gli Europei partecipano stabilmente a operazioni belliche. All’inizio se ne discuteva con vigore: sono guerre necessarie oppure no? E se no, perché le combattiamo? Sono davvero umanitarie, o distruttive? E qual è il bilancio dell’offensiva globale anti-terrore: lo sta diminuendo o aumentando? I politici tacciono, e nessuno Stato europeo si chiede cosa sia quest’ Unione che non ha nulla da dire in materia, concentrata com’è sulla moneta. L’Europa è entrata in una nuova era di guerre neo-coloniali con gli occhi bendati, camminando nella nebbia. Leggi il resto di questo articolo »

In Libia nel 2011, i francesi, gli inglesi e gli americani intervennero a sostegno dei ribelli contro Gheddafi con il quale, peraltro, avevano fornicato fino a pochi mesi prima. Non furono i ribelli a rivendicarsi in libertà, gliela regalò la superpotenza dell’Occidente con i suoi caccia, i bombardieri, gli aerei-robot (droni) la sua tecnologia. In Mali sta avvenendo il contrario. I francesi, con l’appoggio logistico degli inglesi e degli americani, intervengono a favore del governo di Bamako contro i ribelli islamici che, con l’appoggio della maggioranza della popolazione (l’80 % è di religione musulmana) da qualche anno hanno preso il potere del Mali del Nord fondando uno Stato indipendente che dal maggio 2012 ha una sua capitale, Gao. Adesso, con l’aiuto degli alleati Tuareg, puntano su Bamako per unificare il Paese sotto la legge della Sharia. Leggi il resto di questo articolo »

Nei 62 governi del dopo Mussolini, Milano ha mandato a Roma 4 presidenti del Consiglio: Craxi, Berlusconi e il Monti che si ripropone. Nel ’45 Ferruccio Parri. Pochi per la capitale del miracolo che ha rimesso in piedi il paese inginocchiato dalla guerra. Pochi ma indimenticabili.

Craxi, 1983, primo socialista a Palazzo Chigi e primo uomo di Stato svergognato in tribunale: sceglie la fuga ad Hammamet. Ancora ci perseguita l’eredità di quel decreto che rompe il monopolio Tv e sconvolge il sistema della frequenze. Leggi il resto di questo articolo »

Mi scrive un lettore che a volte i miei articoli, per troppa verità, fanno soffrire; quando analizzano le cose che non vanno, le ingiustizie, le distrette in cui tanti si trovano, suscitano disappunto e indignazione: come sarebbe bello, invece, poter sognare e sperare! La stessa richiesta di ricercare motivi di speranza, echeggia in molte assemblee dedicate al ricordo del Concilio; la ricorrenza del cinquantesimo anniversario dall’inizio del Vaticano II ha fatto breccia, e sempre più numerose sono le riunioni in cui si fa memoria e si fa un bilancio di quell’evento. E anche in queste occasioni, quando sono evocate tante attese suscitate dal Concilio e andate perdute, o quando si lamenta la mancata riforma della Chiesa nella sua dimensione istituzionale e visibile, si fa pressante la domanda di come si possa tornare a sperare. Leggi il resto di questo articolo »

Dieci anni senza Giorgio Gaber. Moriva il Primo Gennaio 2003, nella sua casa in Versilia, a neanche 64 anni. Da allora, molti gaberiani – quelli che lo andavano a stanare a teatro – si sentono soli. Mentre altri, magari gli stessi che fino al giorno prima non lo sopportavano, si professano amici e sostenitori del Signor G. In un ipotetico Olimpo dei cantautori, parola peraltro riduttiva per entrambi, sopra tutti ci sarebbero Fabrizio De André e Giorgio Gaber. Entrambi scomodi, entrambi geniali. Entrambi santificati, soprattutto il primo, per abitudine alla retorica e (quel che è peggio) per desiderio di disinnescarne il messaggio. La fruibilità di De André è relativamente facile: basta ascoltarne la discografia. Faber lo conoscono tutti. Gaber, no. Lo si cita a sproposito, oppure caramellandolo. La tivù preferisce soffermarsi su quello degli anni Sessanta, da cui Gaber fu il primo ad allontanarsi: nel 1970, abbracciando il teatro e rompendo (contro ogni regola commerciale) col piccolo schermo. Innamorato del contatto diretto. Stimolato da un tour con Mina, spinto dal Piccolo Teatro di Milano. E attratto dall’alternanza di musica e monologhi. Leggi il resto di questo articolo »

 

Tanti interventi e riflessioni fatte dai rappresentanti delle Liste Antisistema, che si sono presentate alle elezioni, li trovate nei sei GLR-NOTIZIE-VOTO,  QUI.

Pur se sconfitti, le loro analisi rimangono preziosissime per continuare la Resistenza.

 

Raccolta di sospetti eventi avversi da “vaccini anti Covid-19”, in ordine cronologico, provenienti dalla stampa italiana e internazionale. Inseriti così come pubblicati in origine, anche in lingua originale non tradotta. Lista aggiornata continuamente.

Vedi QUI

 

Tante notizie sui danni delle mascherine, dei tamponi e degli pseudo-vaccini QUI

 

 

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del 23 dicembre 2012

Penso che Natale è diventata una festa così banale
perché Gesù si lascia usare.
Si lascia usare qui come un debole bambino,
immagine nostalgica di una nostra facile bontà infantile
(come se fosse facile),
una bontà che elude le prove della vita
(ci piacerebbe!), Leggi il resto di questo articolo »

Mi dispiace ma non sono d’accordo. e non mi serve di invocare le ragioni del pacifismo. mi basta prendere atto del reale. La riforma delle forze armate che sta per essere votata anche dal Partito democratico fa male all’Italia. È frutto di un’idea vecchia, pericolosa e insostenibile. Aumenta le spese militari e la spesa pubblica. E chi sta pensando di cambiare e ricostruire il nostro Paese non può non saperlo. Capisco le ragioni di chi crede che nonostante le lacrime di tante famiglie l’Italia debba continuare a comprare cacciabombardieri, droni, missili, bombe laser, blindati, portaerei, elicotteri e sottomarini. Capisco chi è convinto che l’Italia debba continuare a fare la guerra in Afghanistan e magari domani in qualche altra parte del mondo come abbiamo fatto in Iraq e in Libia. Per loro questa riforma è «indispensabile, essenziale ed epocale». Consentirà alle vecchie gerarchie militari di convertire i posti di lavoro in armamenti e giochi di guerra.

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Il lettore di questo giornale sa che sono un suo collaboratore con una rubrica settimanale e con qualche altra rapsodica «incursione» che mi viene richiesta di tanto in tanto. Spesso approfitto dello spazio concessomi per scrivere di Medioriente e specificamente di conflitto israelo-palestinese (fatto). Ogni volta che, sulla dolorosa questione, esprimo le mie idee strettamente personali e, ribadisco «strettamente personali» perché non rappresento nessuno, piovono contro di me le accuse di ebreo antisemita, nemico del popolo ebraico o traditore (opinioni). Questo avviene tramite mail, post e dichiarazioni su vari blog e siti inviatimi da fanatici, farabutti o sbroccati di varia risma (opinione). Alcune persone, sia amici che detrattori, ritengono che ciò che dico e penso, anche a causa della passione partecipante con cui mi esprimo, abbia un’influenza rilevante a causa della mia notorietà e che quindi dovrei essere cauto (opinione). Io sostengo invece che ogni essere umano, in democrazia, sia libero di esprimere come meglio crede le sue idee (opinione) e se coloro che non le condividono o vi si oppongono ravvisano nei suoi discorsi i reati di istigazione all’odio o al razzismo, possono rivolgersi all’Autorità giudiziaria per denunciarlo (fatto) in luogo di spargere vigliaccamente ripugnanti accuse protetti dalla libertà della rete (fatto). Leggi il resto di questo articolo »

Molto presto si è capito, guardando il dibattito tra i candidati alle primarie del centrosinistra, che qualcosa di essenziale mancava. Che il palcoscenico occupato dagli attori era simile a una sfera, di cui potevi ammirare o non ammirare la superficie, ma privata di centro. Non abbiamo contemplato il vuoto. Non era assente la voglia di fare politica: anche se voglia parecchio neghittosa, perché restituire alla politica l’importanza perduta implicherebbe riconoscere peccati di omissione non indifferenti, passati e presenti.

La bussola c’era, nella sua sferica forma: quel che l’occhio non percepiva era il perno che fissa l’ago magnetico, e che gli dà la sua linea di forza. Cosa dovrebbe esserci, al centro di uno schieramento che dice di battersi per una sinistra progressista? Per forza una tradizione, una storia, un tempio, meglio ancora un Pantheon che contiene le tombe dei propri uomini illustri. L’ago magnetico non può che partire da lì, altrimenti si muove impazzito in ogni sorta di direzione, senza mai segnalare con chiarezza il Nord. Quando il centro è ovunque e da nessuna parte, sostituito dalle persone che parlano agli elettori (la persona Bersani, o Vendola, o Renzi, o Tabacci, o Puppato) vuol dire che dietro la loro divina genialità — la loro maschera — non esistono genealogie né memoria storica di sé. Leggi il resto di questo articolo »

Rottamazione, dice il vocabolario, è l’azione che si compie quando si demoliscono oggetti fuori uso: specie automobili. Vengono triturati, per riutilizzare le parti metalliche. A volte, ottieni sconti sulla nuova vettura. Applicata alle persone e al ricambio di dirigenti politici, è una delle parole più maleducate e violente che esistano oggi in Italia. I rottamatori sono fieri di chiamarsi così, e quando l’operazione riesce esibiscono le spoglie del vinto: «La rottamazione comincia a produrre i primi frutti», ripeteva Matteo Renzi, domenica in un’intervista in tv. La lotta per l’avvicendamento ai vertici della politica ha sue ragioni, e lo stile brutale risponde a un’ansia, enorme e autentica, di cambiamento: si vorrebbe azzerare l’esistente, e come nella poesia di Rimbaud ci si professa «assolutamente moderni». È un conflitto legittimo, anche necessario: che va portato alla luce perché nell’ombra degenera o ammutolisce. È il grande merito del sindaco di Firenze, come di Grillo. Impressionante è la campagna di quest’ultimo in Sicilia: lunga, martellante, è rifiuto del mutismo. Da due settimane è nell’isola; nessuno s’era messo per tanto tempo in ascolto delle sue collere. Ma la parola rottamazione, anche se Renzi intende cambiamento, resta ustionante e parecchi la prendono alla lettera. Leggi il resto di questo articolo »

 Quando si parla di Donazione di Costantino si fa riferimento a una presunta cessione, da parte dell’imperatore romano a papa Silvestro I (eletto il 31 dicembre 314) e ai suoi successori, di Roma, dell’Italia e delle province occidentali. Il documento che la testimonia apparve già dubbio nel X secolo, ma poi fu impugnato sia da Arnaldo da Brescia (morto nel 1155), da Niccolò Cusano (morto nel 1464) e definitivamente sbugiardato con un’operina da Lorenzo Valla — scritta nel 1440, durante i giorni di Eugenio IV, ma pubblicata nel 1517 — La falsa Donazione di Costantino. In essa l’umanista dimostra che la lingua in cui fu redatto il documento è un latino che risente degli influssi barbarici e i riferimenti ivi contenuti rimandano a un tempo nel quale Costantinopoli è già diventata la nuova capitale dell’impero. Leggi il resto di questo articolo »

 «Mai dormito tanto tranquillamente», scrisse Rodolfo Graziani in risposta a chi gli chiedeva se non avesse gli incubi dopo le mattanze che aveva ordinato, come quella di tutti i preti e i diaconi cristiani etiopi di Debra Libanos, fatti assassinare e sgozzare dalle truppe islamiche in divisa italiana. Dormono tranquilli anche quelli che hanno speso soldi pubblici per erigere in Ciociaria un sacrario a quel macellaio? Se è così non conoscono la storia. Rimuovere il ricordo di un crimine, ha scritto Henry Bernard Levy, vuol dire commetterlo di nuovo: infatti il negazionismo «è, nel senso stretto, lo stadio supremo del genocidio». Ha ragione. È una vergogna che il comune di Affile, dalle parti di Subiaco, abbia costruito un mausoleo per celebrare la memoria di quello che, secondo lo storico Angelo Del Boca, massimo studioso di quel periodo, fu «il più sanguinario assassino del colonialismo italiano». Ed è incredibile che la cosa abbia sollevato scandalizzate reazioni internazionali, con articoli sul New York Times o servizi della Bbc, ma non sia riuscita a sollevare un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica nostrana. Leggi il resto di questo articolo »

Viviamo in una società della crescita. Cioè in una società dominata da un’economia che tende a lasciarsi assorbire dalla crescita fine a se stessa, obiettivo primordiale, se non unico, della vita. Proprio per questo la società del consumo è l’esito scontato di un mondo fondato su una tripla assenza di limite: nella produzione e dunque nel prelievo delle risorse rinnovabili e non rinnovabili, nella creazione di bisogni – e dunque di prodotti superflui e rifiuti – e nell’emissione di scorie e inquinamento (dell’aria, della terra e dell’acqua). Il cuore antropologico della società della crescita diventa allora la dipendenza dei suoi membri dal consumo. Il fenomeno si spiega da una parte con la logica stessa del sistema e dall’altra con uno strumento privilegiato della colonizzazione dell’immaginario, la pubblicità. E trova una spiegazione psicologica nel gioco del bisogno e del desiderio. Per usare una metafora siamo diventati dei «tossicodipendenti » della crescita. Che ha molte forme, visto che alla bulimia dell’acquisto – siamo tutti «turboconsumatori » – corrisponde il workaholism, la dipendenza dal lavoro.
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La nostra crisi è una crisi di civiltà, dei suoi valori e delle sue credenze. Ma è soprattutto una transizione fra un mondo antico e un mondo nuovo. Le vecchie visioni della politica, dell’economia, della società ci hanno resi ciechi, e oggi dobbiamo costruire nuove visioni.
Ogni riforma politica, economica e sociale è indissociabile da una riforma di civiltà, da una riforma di vita, da una riforma di pensiero, da una rinascita spirituale. La riuscita materiale della nostra civiltà è stata formidabile, ma ha anche prodotto un drammatico insuccesso morale, nuove povertà, il degrado di antiche solidarietà, il dilagare degli egocentrismi, malesseri psichici diffusi e indefiniti. Oggi si impone una vigorosa reazione atta a ricercare nuove convivialità, a ricreare uno spirito di solidarietà, a intessere nuovi legami sociali, a fare affiorare dalla nostra e dalle altre civiltà quelle fonti spirituali che sono state soffocate. Questa sfida deve essere integrata nella politica, che deve porsi il compito di rigenerarsi in una politica di civiltà. Le visioni della politica e dell’economia si sono basate sull’idea, che risale al settecento e all’ottocento, del progresso come legge ineluttabile della Storia. Questa idea è fallita. Soprattutto, è fallita l’idea che il progresso segua automaticamente la locomotiva tecno- economica.
È fallita l’idea che il progresso sia assimilabile alla crescita, in una concezione puramente quantitativa delle realtà umane. Negli ultimi decenni la storia non va verso il progresso garantito, ma verso una straordinaria incertezza. Così oggi il progresso ci appare non come un fatto inevitabile, ma come una sfida e una conquista, come un prodotto delle nostre scelte, della nostra volontà e della nostra consapevolezza.

Trenta anni fa, Ernesto Balducci disse che le tre caravelle di Colombo erano tornate indietro. Era un modo di dire che Cristo è essen­zialmente Liberatore, e Liberatore dei poveri. La Teologia della Liberazione è un messaggio non solo per i poveri, ma anche per tutti coloro, che credenti e non credenti, che fanno parte di quella “cultura” occidenta­le che oggi è direttamente responsabile dei mali del mondo. E’ da qui che vengono le guerre, le distruzioni, la fame: dal mondo occidentale cristiano. E’ qui che si fabbricano le armi, e da qui che partono gli arerei che vanno a bom­bardare. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Dobbiamo sapere che non possiamo affrontare temi come la giustizia, l’uguaglianza, i diritti dei popoli se non cambiano radicalmente la nostra cultura.Noi abbiamo sempre pensato che il centro del mondo è l’io, il soggetto, e abbiamo proiettato questo concetto in tutte le strutture che abbiamo creato e imposto. Compresa la globalizzazione, apoteosi di un soggetto dominatore e unificante: il mercato. La volontà di soppri­mere 1′altro, l’incapacità di riconoscere la sua cultura, la sua storia, la sua religione, il suo diritto alla vita, è la conse­guenza diretta del culto dell’io. Leggi il resto di questo articolo »

L’ uomo è animale normativo. Questo vuol dire che mentre gli altri primati vivono, per intenderci  rapidamente, in base agli istinti, tutta la nostra vita è invece soggetta a norme. Bisognerebbe  imparare a sentire, nella parola «normalità», proprio il senso pervasivo della normatività radicata  nel nostro comportamento quotidiano. Tutta la nostra vita cosciente, che si tratti di azioni, decisioni,  emozioni, pensieri, percezioni, è soggetta alla questione se sia come dovrebbe. C’è una coscienza  normativa – tipicamente, un senso di (in)adeguatezza – che attraversa ogni nostro fare, dire, pensare,  percepire, sentire: ci rendiamo conto del suo essere più o meno adeguato, corretto, opportuno,  riuscito, «esatto» (da «esigere»). Del resto, l’anima di ogni cultura – a cominciare dalla suo stesso  scheletro, la lingua di quella cultura – è un’anima normativa, è in qualche modo coscienza di un  dovuto. Nell’esempio della lingua lo si vede con la massima chiarezza. Nessuno parla come gli  passa per la testa, perché non parlerebbe affatto. Parlare è piegarsi alle norme di senso della lingua in cui si parla… Leggi il resto di questo articolo »

Dal 1892 al 1925 ebbe una certa notorietà in Italia la rivista socialista, progressista e di satira L’Asino. Nel numero del 7 gennaio 1912 venne pubblicato un lungo articolo dedicato alla figura del tenace sacerdote don Giuseppe Fabrizi, ex parroco di Ardea (RM) e ancora vivente. Soprattutto l’articolo è dedicato a descrivere le persecuzioni ecclesiastiche e civili che don Giuseppe era costretto a subire per le sue posizioni sociali e religiose coraggiose e a servizio degli ultimi.

L’articolo parte dal momento in cui don Giuseppe viene rinchiuso in manicomio per la sua lotta contro le gerarchie ecclesiastiche (dal manicomio poi uscì, ma non riuscì più a rifarsi una vita vera e propria).

La rivista, pur profondamente anticlericale,  narra i fatti  anche se con grande e giusta forza polemica. Leggi il resto di questo articolo »

Preparandosi a riprendere in mano il timone del governo, la politica farebbe bene a riflettere sulle ragioni della sua Caporetto, nel novembre 2011. Ciò che ha atterrato l’onorabilità della politica non furono tanto gli scandali sessuali del premier o le diffusissime vicende di corruzione, ma l’impotenza a fare il suo lavoro: governare. L’incapacità, non la disonestà, ha mandato a casa il governo Berlusconi. Questa accusa è molto più grave di quella di corruzione. Poiché mentre la disonestà è l’esito di una deturpazione che non mette in discussione la politica ma alcuni suoi praticanti, l’inadeguatezza a prendere decisioni mette in luce un limite oggettivo della politica democratica. Leggi il resto di questo articolo »

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