RASSEGNA STAMPA

Una mia amica che lavora nel sociale mi ha raccontato una storia bellissima. Protagonista è un signore bulgaro di nome Milko. Nel suo paese di origine Milko era a capo di una azienda di ricambi meccanici. Non se la passava male. Poi il regime comunista crollò e molte imprese del paese entrarono in crisi. L’impresa dove lavorava Milko dichiarò bancarotta e tutti i dipendenti furono costretti a cercare altrove. Milko venne in Italia per ritrovare un po’ di quella tranquillità perduta. Ma qui non riuscì davvero ad avviare una nuova vita. Leggi il resto di questo articolo »

La questione morale è la questione, argomenta Roberta De Monticelli, filosofa di statura europea con anni di insegnamento a Ginevra e ora a Milano al San Raffaele, nel suo nuovo libro (La questione morale, Raffaello Cortina). Sostenendo che la morale non è un´applicazione secondaria ma il punto da cui tutto dipende, l´autrice si pone in pieno contrasto col pensiero dominante in Italia, che concepisce la morale come traduzione pratica di un primato assegnato ad altro, a una dimensione vuoi politica, religiosa, economica, scientifica, teoretica.

Chi assegna il primato alla morale può stare sicuro oggi in Italia di ricevere l´antipatica etichetta di «moralista», sinonimo nel linguaggio comune di persona noiosa e pedante, incapace di fare i conti con la vita concreta. Contro questo cinismo che conosce solo la logica del potere, De Monticelli scrive pagine di vera passione intellettuale attaccando il potere politico («l´interesse affaristico che si fa partito e prostituisce il nome di libertà»), mediatico («facce patibolari»), ecclesiastico («nichilismo morale»), intellettuale («disprezzo ardente per tutto ciò che è comune»). Leggi il resto di questo articolo »

Crediamo nella eguaglianza di tutti gli esseri umani a prescindere dalle opinioni, dal sesso, dalla razza, dalla appartenenza etnica, politica, religiosa, dalla loro condizione sociale ed economica.

Ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per risolvere le contese tra gli uomini, i popoli e gli stati. Leggi il resto di questo articolo »

Può apparire inopportuno parlar di Natale sul manifesto, disteso com’è nella vignetta di Vauro sul lettino di rianimazione, moribondo per i colpi di Babbo letale Tremonti. Ma non è affatto inopportuno. Perché Natale vuol dire «rinascita» oltre ogni speranza: dal «no future» al «new future». Leggi il resto di questo articolo »

Si è aperto ieri a Firenze un nuovo processo per le stragi del maggio 1993, Roma, Milano, Firenze, e in particolare va ricordata quella che sventrò il palazzo dei Georgofili, colpì gli Uffizi e soprattutto uccise cinque persone e ne ferì più di quaranta. È imputato Francesco Tagliavia, capo della famiglia palermitana di Corso dei Mille. Venne arrestato il 22 maggio ’93, subì una condanna a due ergastoli per 26 omicidi, ma non come responsabile di quelle stragi. Finché non è stato chiamato in causa da Gaspare Spatuzza. Il quale ha rivelato che Tagliavia partecipò a una riunione per la preparazione delle stragi e mise a disposizione per la loro esecuzione tre suoi uomini. Il processo fiorentino si svolge in un momento politicamente molto caldo. Emergono infatti sospetti gravissimi di complicità e trattative della politica con Cosa nostra e la Camorra. Leggi il resto di questo articolo »

Domani andrà in scena il rito della fiducia al governo. Annunciato da tempo e poi rinviato. Messo indubbio e infine ribadito. Perché la fiducia è una cosa seria. Anche se è una merce rara, in politica come nella vita quotidiana. Ma è necessaria in Parlamento: per verificare l´esistenza di una maggioranza, più che di un legame di “fiducia”. Alla base del sostegno a un governo, a un partito o a un premier ci possono essere, infatti, diversi motivi. Spesso personali. Ostilità e solidarietà, simpatia e antipatia. Ma anche interesse e utilità. Perché nella democrazia rappresentativa non si può ricorrere al «mandato imperativo», che vincola l ´eletto alla fedeltà verso i suoi elettori. Per cui gli eletti dispongono di un buon grado di autonomia individuale nelle proprie scelte. Leggi il resto di questo articolo »

Si susseguono a ritmo battente le notizie, regolarmente riportate da questo settimanale, dell’affido ad un solo prete di tre, quattro, addirittura sette parrocchie. E’ il segno evidente della scarsità di clero e delle vocazioni al sacerdozio. Ma non è di questo che voglio parlare. Dietro queste notizie c’è un uomo, di Dio fin che volete, ma con le sue forze, la sua salute, le sue capacità. Che possono anche venir meno. E può essere quindi a disagio. A questo disagio dei preti è stato dedicato uno studio della rivista “Il Regno“, che riporta analisi e  inchieste fatte da Alessandro Castegnero, presidente dell’Osservatorio socio-religioso del Triveneto e riguardano quindi anche le diocesi di Trento e di Bolzano. Possiamo quindi sentirvi le voci, i lamenti, le confidenze e i sospiri dei nostri preti. Leggi il resto di questo articolo »

Da un vecchio film di Moretti, una domanda venne molto citata anche da chi non si distingueva molto da colei cuil’attore la rivolgeva, una giornalista clonata e imbecille (specie non rara, e rigorosamente bisex): “ma come parli?” In Roma di Fellini, una paciosa bellona in trattoria citava una frase portatrice di una saggezza molto più antica: “come che magni, cachi”.

Potremmo allargare e dire che c’è un rapporto diretto tra ciò che si mangia e come si parla. Ma il mangiare è anche una metafora: se ci nutriamo, per esempio, di linguaggio televisivo, non possiamo che riproporlo, giorno per giorno, nella nostra quotidianità, e poi “espellerlo”, però non “liberandocene” e invece inquinando l’ambiente – i bambini, per esempio, in quel gioco ignobile di corruzione dei nuovi nati di cui gli adulti di oggi criminalmente si compiacciono. Leggi il resto di questo articolo »

Ma i disastri sono apocalittici. Strutture dello Stato stravolte e il popolo dei berluscones deciso a resistere per non perdere privilegi che immaginava eterni. Travestiti da cattolici o da liberali, adesso il pericolo sono loro.

La politica vive anche di simboli. Quelli che sono stati evocati da politici e giornalisti per rappresentare la fine del potere di Berlusconi, alludono tutti a delle catastrofi. Il discorso con cui a Bastia Umbra Fini ha chiesto le dimissioni del governo, è stato paragonato dai difensori del premier alla marcia su Roma: un colpo di Stato! I giornali che cercavano di descrivere la portata dell’evento, lo hanno paragonato al 25 luglio, quando solo la rivolta di ministri e gerarchi del duce poté provocare la fine del regime. Altri hanno assimilato il crollo del regime berlusconiano al 25 aprile, quando dopo la devastazione della guerra si dovette ricominciare tutto dalle macerie. Leggi il resto di questo articolo »

Nell’estrema sobrietà del suo gesto Mario Monicelli ci ha consegnato un interrogativo doppio sulla vita e sulla morte. Qual è la sostanza della prima, che la rende degna di essere continuata? Qual è il significato della scelta di affrontare la seconda, volontariamente, precedendo il doloroso disfacimento del corpo? “I morti parlano”, diceva Arthur Schnitzler per indicare che il loro apparente assentarsi costituiva un segno presente per i sopravvissuti. Monicelli, con quel volto scavato segnato dalla barba, così simile al bronzo di un filosofo greco, non lascia dietro di sé un “fatto di cronaca”, ma una questione su cui misurarsi. Leggi il resto di questo articolo »

Quel che fa paura in questa Italia balcanizzata non è il default del Paese, le mafie, la disoccupazione, ma la banalità del male. La sua quotidianità, il senso di leggerezza di fronte all’abisso delle coscienze. Le tragedie sono ridottela routine, non provocano più sorpresa, né angoscia o repulsione. Sono favole nere, medioevali che ci vengono raccontate a tavola, la sera, mentre ceniamo con i familiari. Echi di orrori trasformati in notizie. Un club di mostri che fanno da sfondo alle nostre giornate e di cui non ci curiamo perché appartengono alla categoria dell’ovvio, come le previsioni del tempo o l’andamento della Borsa. Leggi il resto di questo articolo »

Non ricordo con precisione il mio primo incontro con don Milani; nella fase che ha preceduto il servizio militare mi è capitato di approfondire il discorso sull’obiezione di coscienza e credo di averlo incontrato a quell’epoca, leggendo un volumetto postumo, L’obbedienza non è più una virtù, scritto da don Milani insieme ai suoi alunni della scuola popolare di Barbiana. Confrontandomi con quei contenuti ho scelto poi di farlo, il servizio militare, perché ritenevo di non essere ispirato da passioni sincere per fare obiezione di coscienza. Forse mi mancavano argomenti sufficienti per sostenere una scelta che a quell’epoca era molto rigorosa. Un giorno, all’inizio degli anni Novanta, di ritorno da Roma, in un viaggio assieme ad alcuni amici, abbiamo deciso di uscire all’uscita Mugello e di salire a Barbiana: è stato un momento molto forte dopo il quale ho iniziato a leggere e a informarmi maggiormente sull’argomento. Poi ho incrociato Lettere ad una professoressa. Leggi il resto di questo articolo »

Alcuni “fantasisti della costituzione” immaginano e auspicano che, dalla situazione d’impasse politica che potrebbe nascere da un voto contraddittorio sulla fiducia al Governo espresso dalla Camera e dal Senato, si possa uscire semplicemente e immediatamente con lo scioglimento di quel ramo del Parlamento (nel nostro caso, la Camera dei Deputati) che ha votato la sfiducia. Ma la Costituzione dice tutt’altro. Purtroppo per il lettore, occorrono riferimenti tecnici. I seguenti. Secondo l’articolo 94, «il Governo deve avere la fiducia delle due Camere». Se la fiducia viene meno, anche solo in una delle due, deve dimettersi. L’obbligo è tassativo. Leggi il resto di questo articolo »

A distanza di 15 secoli, Ipazia è ancora una ferita aperta. Dopo il film di Amenábar, Agorà, arrivato la scorsa primavera anche in Italia, vincendo tenaci e prevedibili veti, la tragica eroina del libero pensiero, icona di laicità, è al centro del nuovo libro di Silvia Ronchey, Ipazia. La vera storia (Rizzoli, pp. 319, e19). Filosofa, matematica e astronoma, docente nell’Accademia platonica di Alessandria d’Egitto, dove visse tra il 370 e il 415 d.C., Ipazia fu massacrata, letteralmente fatta a pezzi dal fanatismo della prima Chiesa cristiana locale, e segnatamente del suo patriarca Cirillo. Era il culmine di un crescendo di intolleranza (è del 391 un altro celebre misfatto, la distruzione
del Serapeo), dopo che l’editto di Costantino, nel 313, sembrava aver dischiuso le migliori speranze concedendo ai cristiani la libertà di culto: ma adesso le vittime erano i pagani. Leggi il resto di questo articolo »

Il cambiamento della legge elettorale non è più ormai solo una questione di funzionamento o non funzionamento del sistema, e perfino nemmeno una questione di salvezza o perdita della democrazia. È la prima e forse l’unica cosa che oggi possiamo fare perché l’Italia non si chiuda a lungo termine nel sigillo di una società arrogante incolta e violenta, quale è stata costruita in questi ultimi vent’anni dai picconatori e dagli innovatori da Cossiga alla Bicamerale a Berlusconi. Il bipolarismo maggioritario che ha messo i figli contro i padri e i poveri contro gli stranieri, ha reso popolare una cultura che congiunge ignoranza e violenza, e che ormai esce perfino dai tombini della Metropolitana. Leggi il resto di questo articolo »

L´indecorosa iniziativa di far suonare a Sanremo «Giovinezza» e «Bella ciao» è stata saggiamente bloccata dal CdA della Rai, eppur tuttavia sento il bisogno di spendere ancora qualche parola perché il tentativo rivela, a me pare, qualcosa di più pericoloso di una vassallata in chiave musicale. I commenti che abbiamo letto, tranne quello di Michele Serra e di pochissimi altri che si sono soffermati sull´inammissibilità della ricorrente equiparazione tra nazi-fascisti e patrioti, ebbene quasi tutti gli altri hanno affrontato «il montare della piccola polemica sanremese», come una inutile «querelle». Leggi il resto di questo articolo »

Nell’Europa del Medioevo non esistevano leggi anti-riciclaggio, ma l’Inferno funzionava molto meglio di adesso e il girone degli usurai era affollato di buoni finanzieri cristiani come Ettore Gotti Tedeschi. Fenus pecuniae, funus est animae, “il profitto del denaro è la morte dell’anima”, aveva ammonito a suo tempo papa Leone Magno. Chi presta soldi in cambio di interessi, si legge in un manoscritto anonimo del Duecento, commette un peccato gravissimo contro la natura, “pretendendo di generare denaro dal denaro, come un cavallo da un cavallo o un mulo da un mulo”. E nel suo manuale per confessori il vescovo inglese Tommaso di Cobham rincara la dose: “L’usuraio punta a guadagnare senza lavorare, addirittura dormendo; ciò va contro il precetto del Signore che ha detto: ‘Con il sudore del tuo volto mangerai il pane’”. Leggi il resto di questo articolo »

In un momento particolarmente difficile per la vita politica italiana il cattolicesimo è assente, quasi silenzioso. Una preoccupazione della quale si è fatto interprete, fra gli altri, il cardinale Bagnasco, presidente dei Vescovi, che ha auspicato il ritorno a quelle «scuole di politica» che «ebbero una grande fioritura agli inizi degli anni novanta». I vescovi, dunque, rimpiangono gli anni nei quali i cattolici partecipavano alla vita politica italiana inquadrati con chiarezza e decisione in un partito ben preciso, quella Democrazia Cristiana che li univa e li qualificava. Leggi il resto di questo articolo »

Intervista ad Augusto Cavadi, filosofo, saggista e autore di numerose opere sulla cultura mafiosa.

L’analisi del fenomeno mafioso svela un inquietante paradosso: gli uomini di “Cosa Nostra” sono, nella quasi generalità, cattolici e, non di rado, credenti pieni di fervore. Come è possibile ciò? Come si spiega l’ostentata religiosità degli “uomini d’onore”? A questi interrogativi risponde Augusto Cavadi (nella foto), sociologo e teologo palermitano, nel suo recente “Il Dio dei mafiosi”, edito da San Paolo.

Il suo ultimo libro si intitola “Il Dio dei mafiosi”. Perché questo titolo?
La cultura mafiosa è un insieme di principi, di simboli, di linguaggi, di codici etici. Io ho cercato di mettere in evidenza che cosa pensano i mafiosi su Dio, su Cristo, sulla chiesa, sui santi e quindi ho cercato di fare una ricerca sulla “teologia mafiosa”. In questo senso il titolo mi è venuto abbastanza spontaneo. Leggi il resto di questo articolo »

L’assemblea applaude un uomo di mezza età che – imbarazzato o intimorito dalla vicinanza del potente – non riesce o non vuole prendere le distanze dalla richiesta formulata a mo’ di battuta “avrei una ragazza da sistemare… tra questi stands…”. E la risposta è “ci penso io”. Chi è quell’uomo? E chi sono quelli che applaudono? Credo che possono essere la nostra fotografia. Di ognuno di noi quando, per paura, sudditanza, comodità o interesse, preferiamo assecondare, dare il consenso invece che esprimere il dissenso. Leggi il resto di questo articolo »

Dalle dichiarazioni che hanno accompagnato la prima approvazione del Lodo Alfano (che “lodo” non è perché non rappresenta un arbitrato super partes, ma l’espressione delle ragioni di una “parte”) apprendiamo che la “serenità” delle alte cariche della Repubblica è un bene meritevole di tutela costituzionale. Mentre basta guardare fuori casa (ad esempio negli Usa, dove i presidenti vanno sotto impeachment per avere avuto –negandoli – rapporti fugaci con le stagiste) per accorgersi che di tale serenità una democrazia normale non ha bisogno. Leggi il resto di questo articolo »

«Terribile ma vera». È una battuta colta al volo all’uscita dalla mostra «Hitler e i tedeschi» del Deutsches Historisches Museum di Berlino. Una lunga fila di gente attende ancora di entrare. Ma che senso ha parlare di «grande successo di pubblico» per una iniziativa che mira a mostrare senza veli e a far capire come i tedeschi normali siano stati affascinati e travolti dal loro Führer? Tutto quello che si sa, che si è letto sui libri o sentito raccontare, si dispiega ora sotto gli occhi documenti autentici, foto e filmati, riproduzioni artistiche. L’invenzione del culto di Hitler e della nomenklatura del partito, la messa in scena spettacolare del regime, l’estetizzazione della politica ma anche l’infinito kitsch del quotidiano. Leggi il resto di questo articolo »

È forte, in Italia, la tentazione di parlare della democrazia al passato. Facendo riferimento, cioè, a un sistema istituzionale che “c’era”, ma oggi è, appunto, “passato”. Ridotto agli aspetti formali e impoverito nella sostanza. Tanto che, per definirlo, si usano altre formule. Tra le più fortunate: Postdemocrazia. Coniata (nel 2004) da Colin Crouch, per indicare il percorso assunto dai sistemi democratici, ormai lontani dai valori e dagli obiettivi della democrazia anche se non (ancora) antidemocratici. Alfio Mastropaolo, nello stesso periodo (2005), parla di “mucca pazza della democrazia“. Leggi il resto di questo articolo »

La storia c’insegna come possiamo salvare l’Italia
Per una patria diversa Lo storico ci invita a guardare ai problemi di oggi e al ruolo del nostro paese nel mondo moderno non solo attraverso i nostri occhi ma anche con quelli degli uomini e delle donne che lo hanno fatto

Nel gennaio 2009 sono diventato cittadino italiano. Faccio parte di un flusso costante di stranieri, circa 40.000, che ogni anno assumono la cittadinanza italiana. Non basta per fare dell’Italia un paese multiculturale, ma certo è un inizio. Alla cerimonia di conferimento della cittadinanza l’allora presidente del Consiglio comunale fiorentino,Eros Cruccolini, mi invitò a leggere ad alta voce due articoli della Costituzione e mi consegnò una bandiera italiana, la bandiera arcobaleno della pace e una copia della Costituzione italiana.I miei amici in gran parte rimasero stupiti all’annuncio della mia naturalizzazione. «Ma chi te lo ha fatto fare, mi dicevano, e proprio ora, poi». Uno o due si affrettarono a sincerarsi che avessi avuto il buon senso di mantenere anche la cittadinanza britannica. Il commento più caustico è stato: «Beh Paul, almeno potrai dire assieme a tutti noi altri: «Mi vergogno di essere italiano»».

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Fare i conti con la realtà di Auschwitz e della Shoah è un compito che ci sta davanti, che domina ilnostro presente e dominerà il futuro della nostra specie. Si tratta di un peso insostenibile. È un passato che non passa: e che non deve passare se questo significa affidarlo al metabolismo illimitato di una storia come galleria degli orrori. Né deve essere oggetto di comprensione, se comprendere significa giustificare. È la sua realtà storica che deve essere conosciuta. E questo è un compito immenso, appena avviato e sempreminacciato dal bisogno di sfuggire, di ridurre,di negare. È qui che si affacciano i «negazionisti» e i «riduzionisti»: termini orrendi. Preferiremmo parlare, con Pierre Vidal-Naquet, di «assassini della memoria». Leggi il resto di questo articolo »

Le considerazioni che seguono sono sotto il segno di un celebre motto di Friedrich Schiller: «La lingua poeta e pensa per te». Nella lingua del nostro tempo, si nota la presenza sovrabbondante di un lessico che non sarà certo quello di Schiller ma è forse piuttosto quello di Berlusconi, dei suoi e dei loro mezzi di comunicazione che si esprimono come lui. E noi abbiamo cominciato a parlare come loro.

Ciò può essere interpretato come un’intrusione nel nostro modo d’essere e di comunicare, oppure come un’emersione, che non crea nulla, ma solo dà voce. In questo secondo caso, la radice sarebbe più profonda, la malattia più pervasiva. In ogni caso, l’uniformità della lingua, l’assenza di parole nuove, l’ossessiva concentrazione su parole vecchie e la continua ripetizione, sintomi di decadenza senile, è tale certo da produrre noia, distacco, ironia e pena ma – molto più grave – è il segno di una malattia degenerativa della vita pubblica che si esprime, come sempre in questi casi, in un linguaggio kitsch, forse proprio per questo largamente diffuso e bene accolto. Leggi il resto di questo articolo »

La forza è (nel senso che sempre così è stato, anche se non è detto che sempre così sarà) la «virtù» della politica. La mitezza, invece, è una virtù sociale. Così, si distingue politica e società. I caratteri dell’una e dell’altra possono divergere, anche radicalmente, gli uni dagli altri. Ma è davvero così? Possiamo immaginare una società mite sotto un governo violento? Oppure, al contrario, una società violenta e un governo mite? A me pare che no, non possiamo. Non possiamo immaginare questa separazione.

Ogni forma di governo, cioè ogni forma di esercizio della funzione politica, corrisponde a una sostanza sociale. Così, se vogliamo una politica democratica, dobbiamo volere anche una società democratica. Se vogliamo imporre un governo dispotico, cioè basato sulla violenza, occorre che la società sia a sua volta violenta, che vi sia una contrapposizione tra chi sta su e chi sta giù, che ci sia pre-potenza nei rapporti sociali. Leggi il resto di questo articolo »

Agli inizi degli Anni 90 i cittadini stranieri censiti in Italia erano all’incirca 356 mila. Dieci anni dopo erano diventati quasi un milione in più. All’inizio di quest’anno hanno superato i 4 milioni, e sono il 7% della popolazione. Oggi possiamo dirlo. Avviandosi verso la fine del ‘900 il progetto di «fare gli italiani» veniva attraversato da un vero terremoto. Tutti i 150 anni della nostra storia unitaria potevano leggersi come un lungo processo alimentato dalla coppia inclusione/esclusione.

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Nei primi decenni dell’Ottocento, la domanda era: «Si può fare l’Italia»; oggi, alle soglie dei 150 anni dell’Unità, è diventata: «La si può salvare»? L’una domanda era dettata da speranza, l’altra da disperanza. Nella spazio aperto tra queste due parole c’è il dramma del nostro Paese. Nel suo nuovo libro, Salviamo l’Italia(Einaudi, Vele, pagg.134, euro 10), Paul Ginsborg ragiona sulla condizione della nostra vita nazionale mettendo costantemente a confronto, come in contrappunto, gli italiani del tempo che è il nostro con i patrioti del Risorgimento, il loro pensiero, la loro azione. Nel dispiegarsi delle sue argomentazioni, gli accadimenti di oggi, che possono sembrarci difficoltà nuove e insormontabili, visti nel lungo periodo risultano lievi increspature nella continuità d’una storia dalle radici profonde. Dunque: nervi saldi e senso di responsabilità; niente catastrofismi, sterili piagnistei o inutili invettive.

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Stiamo entrando nel decimo anniversario della guerra contro l’Afghanistan: è un momento importante per porci una serie di domande. In quel lontano e tragico  7 ottobre 2001 il governo USA , appoggiato dalla Coalizione Internazionale contro il terrorismo, ha lanciato un attacco aereo contro l’Afghanistan. Questa guerra continua nel silenzio e nell’indifferenza, nonostante l’infinita processione di poco meno di 2.000 bare dei nostri soldati morti. Che si tratti di guerra è ormai certo, sia perché tutti gli eserciti coinvolti la definiscono tale , sia perché il numero dei soldati che la combattono e le armi micidiali che usano non lasciano spazio agli eufemismi della propaganda italiana che continua a chiamarla “missione di pace”.  Si parla di 40.000 morti afghani(militari e civili), e il meccanismo di odio che si è scatenato non ha niente a che vedere con la pace. Come si può chiamare pace e desiderare la pace, se con una mano diciamo di volere offrire aiuti e liberazione e con l’altra impugniamo le armi e uccidiamo? Leggi il resto di questo articolo »


Cari Amici,
prima di tutto, come romano, vorrei salutare tutti quelli che oggi sono venuti qui a Roma: che non è un porcile, ma è la capitale d’Italia. Dunque i fratelli d’Italia che vengono nella capitale vengono a casa loro. E Roma accoglie tutti quelli che vengono da lei: non toglie le panchine per non farli sedere. E tutti rispetta perché, come diceva un antico Padre della Chiesa, “chi sta in Roma sa che gli Indi sono uniti con lui”. Roma ricorda quanto deve ai non romani. Nella sua memoria storica c’è che gli Apostoli, suoi Patroni, sono venuti dalla Palestina, erano extracomunitari, i bersaglieri a Porta Pia sono venuti dal Piemonte, gli americani alla Liberazione sono venuti dal mare, gli immigrati che l’hanno resa metropoli sono venuti dal Sud. Roma sa pure che molte volte dal Nord sono venuti i barbari. Ma non importa, perché ha civilizzato anche loro. Leggi il resto di questo articolo »

 

Marc Augé: «Rendiamo eterno il presente per paura del futuro».
L’antropologo francese parla del «nontempo» che caratterizza la nostra epoca e dei rischi di una società globale divisa in classi che ci porterà verso una pericolosa «oligarchia planetaria» piena di disuguaglianze «Non esiste una “questione Rom”, ma una cattiva accoglienza dei Rom. Quanto alla multietnicità è un fenomeno naturale». L’ultimo suo appuntamento italiano è stato il Festival della Filosofia svoltosi il mese scorso a Modena Carpi e Sassuolo. Ma non sono i «luoghi» a interessare Marc Augé, e neanche il tempo… Al «nonluogo», il neologismo da lui coniato nel ’92, ha ora aggiunto il «nontempo», ovverosia il presente eterno che caratterizza questa nostra epoca recente. Abbiamo incontrato il celebre antropologo francese in un nonluogo e nel nontempo per chiedergli uno sguardo sulla costruzione di un’Europa multietnica, sulle attuali reazioni di xenofobia che Francia e Italia hanno in comune e sul tema della diversità. Leggi il resto di questo articolo »


Berlusconi ha detto ieri che i magistrati sono criminali e che vanno come tali trattati. Lo aveva già anticipato parlando qualche giorno fa nell’improvvisato happening di fronte alla sua residenza romana, condendo il suo gravissimo ed ennesimo colpo alla Costituzione repubblicana con barzellette e linguaggio scurrile, quasi a voler allontanare l’attenzione dell’opinione pubblica da ciò che aveva pronunciato. Il suo attacco alla magistratura e l’identificazione della giustizia con la persecuzione non sono né nuovi né inediti: sono la carta d’identità di Berlusconi. Leggi il resto di questo articolo »

 

Richiesta di NON prorogare ulteriormente lo stato di emergenza

 

Spettabile Presidente Mattarella,
spettabile Presidente del Consiglio dei Ministri,
spettabili Membri del Parlamento italiano,
spettabili Presidenti di Regione,
spettabile Ministri del Governo italiano,
cc: i rappresentanti dei media italiani Leggi il resto di questo articolo »


Riferendosi ad alcuni episodi di corruzione, che hanno caratterizzato in questi ultimi mesi la vita politica italiana, i media hanno formulato l’ipotesi della nascita di una «società segreta», la P3, insieme comitato di affari e struttura sotterranea di potere che si propone di influenzare i vari ambitinei quali il potere ufficiale si dispiega. È difficile dire se (e come) sussista una vera analogia tra questa nuova società occulta e la P2, ma non vi è dubbio che esista una effettiva continuità tra il piano di Rinascita democratica di Licio Gelli, scoperto dalla magistratura agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, e l’ipotesi di cambiamento del Paese messo in atto dai governi Berlusconi. Infatti, al di là della accertata appartenenza del premier alla P2 con tessera n° 1816 — pochi ricordano la condanna per falsa testimonianza comminatagli, in anni ormai lontani, a Venezia per aver mentito al giudice a proposito di tale appartenenza — sorprendenti sono gli aspetti di convergenza che esistono tra i due progetti. Leggi il resto di questo articolo »


C’è stato a Napoli, a metà settembre, il terzo degli incontri promossi da cristiani non dimentichi del Concilio e desiderosi di rimettere al centro “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”. I primi convegni, nei due anni precedenti, si tennero a Firenze, sull’onda di una sofferenza diffusa sulla situazione della Chiesa di oggi, soprattutto italiana; ma furono evitati i toni polemici e contestatari per volgere il discorso soprattutto al positivo. Leggi il resto di questo articolo »


Io sono arrivato al punto che quando vedo apparire nei titoli dei giornali “Appartamento di Montecarlo”, volto pagina. E quando lo stesso argomento viene annunciato nella scaletta dei telegiornali pigio sul telecomando. Non se ne può più con questa telenovela che vuol farci credere che l’emergenza in Italia sia nel sapere chi ha venduto, comprato o affittato un appartamento di 60 mq a Montecarlo, passando per l’isola di Santa Lucia nei Caraibi. Una proprietà neanche dello Stato, ma di un partito che non c’è più perché è passato e si è fuso con il Pdl forse non portandovi armi e bagagli. Ma che se la facciano fuori tra di loro questa questione e magari in tribunale. Leggi il resto di questo articolo »

Anticipiamo parte di un capitolo tratto da Lezioni sul Novecento di Pietro Scoppola (a cura di Umberto Gentiloni Silveri, Laterza, pagg. 224, euro 12), che raccoglie gli interventi dello studioso all’ interno del corso universitario tenuto a Roma presso la facoltà di Scienze Politiche della Sapienza tra il 1995 e il 1996 e risposte alle domande sulle attuali difficoltà italiane devono essere cercate nell’ evoluzione dei primi cinquant’ anni della Repubblica, e non nell’ atto della sua fondazione.

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Ho detto ieri, dialogando con i lettori e gli spettatori di Repubblica Tv, che ormai la politica in Italia  è una cosa buia, che non appassiona più nessuno, né chi la fa, né chi la segue. Su questa  affermazione mi hanno scritto in tanti, che credo abbiano condiviso con me questo sentimento di  impotenza, avvertito talvolta come un impedimento, la denuncia di qualcosa che ostruisce la  partecipazione, il normale rapporto che un cittadino deve avere con la vita pubblica del suo Paese. E  insieme, c´è un altro sentimento in chi mi scrive: rabbia e ribellione per sentirsi espropriati dalla politica come strumento di impegno e di cambiamento, rifiuto di accettare che questa stagnazione prevalga. Leggi il resto di questo articolo »

Ricordare il 20 settembre insieme al cardinale Bertone. Rispetto al passato, a quel lontano 20 settembre 1870, sembrerebbe un evento riparatorio, la rappresentazione simbolica di una ferita risanata. L’Unità d’Italia fu costruita senza la Chiesa e contro la Chiesa. Per potere avere Roma, ci vollero i bersaglieri e le cannonate. Quando lo Stato liberale mise mano al suo progetto di “fare gli italiani” lo fece senza i cattolici, che se ne chiamarono fuori. I decenni trascorsi tra il non expedit e il Patto Gentiloni furono così interpretati dalla classe dirigente postunitaria all’insegna di una laicità vissuta con convinzione assoluta. Né i fascisti durante la dittatura, né i partiti di massa della Prima repubblica, furono in grado di replicarne l’intransigenza e la fermezza. Leggi il resto di questo articolo »

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