Articoli marcati con tag ‘cittadinanza’

Il risultato del referendum britannico è la vendetta della realtà sulle astrazioni e i calcoli errati dei burocrati comunitari

 

Nel Parlamento europeo di cui sono membro, quel che innanzitutto colpisce, osservando la reazione alla Brexit, è la diffusa assenza di autocritica, di memoria storica, di allarme profondo – e anche di qualsiasi curiosità – di fronte al manifestarsi delle volontà elettorali di un Paese membro. (Perché non va dimenticato che stiamo parlando di un Paese ancora membro dell’Unione). Una rimozione collettiva che si rivela quanto mai grottesca e catastrofica, ma che dura da decenni. Meriterebbe studi molto accurati; mi limiterò a menzionare alcuni punti essenziali. Leggi il resto di questo articolo »

Matteo Renzi si è scandalizzato perché le opposizioni, all’ultimo passaggio della sua “riforma” costituzionale alla Camera, sono uscite dall’aula al momento del voto, lasciando che la sua maggioranza Pd-Ncd-Sc-Verdini (che è minoranza nel Paese) se l’approvasse da sola: “Dopo che per 30 anni queste riforme sono state discusse e mai realizzate, era una questione di serietà votare e vedere chi aveva i numeri. Questa è democrazia”. A parte la bizzarria di un premier che invita i cittadini a disertare le urne del referendum sulle trivelle (commettendo fra l’altro un reato) e poi si meraviglia se le opposizioni disertano l’aula, va detto che lì il voto era ormai scontato e inutile: la legge non consente di emendare un testo costituzionale nelle ultime due letture, ma solo di approvarlo o di respingerlo in blocco, e a Montecitorio la maggioranza è blindata anche senza il soccorso verdino.

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La politica sembra spezzata tra un dentro che decide e un fuori che sente di avere un ruolo irrilevante

OSCAR Wilde diceva che «il problema del socialismo è che impegna troppe serate ». L’accusa di far perdere tempo ai cittadini occupandoli di politica troppi giorni all’anno era ancora più calzante per la democrazia, anche per questo tradizionalmente poco apprezzata. A giudicare da quel che registriamo nelle nostre società, il problema della panpolitica sembra definitivamente risolto. La situazione è anzi rovesciata: la democrazia non interessa più così intensamente, e la politica occupa pochissimo del tempo dei cittadini, lasciandoli anzi progressivamente più indifferenti.

La fine della democrazia dei partiti ha completato il ciclo dell’interesse per la politica e sancito l’età del disimpegno. L’indifferenza verso la politica è oggi l’emozione più popolarmente estesa, ha scritto Peter Mair nel suo ultimo libro, Ruling the Void (“Governare il vuoto”). Leggi il resto di questo articolo »

L’EUROPA è un continente rimasto senza idee»: a lanciare l’allarme sul Financial Times è stato Edmund Phelps, Nobel per l’economia. Nel braccio di ferro sulle misure di austerità che hanno messo alla gogna la Grecia (e domani altri Paesi), la parola “creatività” non ricorre mai. La stagnazione delle economie nazionali, il Pil che da anni, quando va bene, sale (come in Italia) di qualche misero decimale: in questo gioco al massacro entrano le borse, i mercati, la troika, l’invadenza tedesca, le influenze americane o asiatiche. Ma che vi sia un qualche rapporto fra creatività ed economia non viene mai in mente. Secondo Phelps, «gli italiani trovano del tutto accettabile che la loro economia sia quasi del tutto priva di innovazioni autoctone da vent’anni, e sia capace solo di reagire alle forze del mercato globale, come se una nazione non avesse bisogno di dinamismo per essere felice». Leggi il resto di questo articolo »

L’Expo 2015 di Milano è la prima esposizione universale in cui le multinazionali sono trattate alla stessa stregua dei grandi Stati. Coca-Cola e McDonald’s, per esempio, hanno enormi spazi espositivi, proprio come Cina, Usa o Russia. Questa scelta ha scatenato la protesta ai molti cittadini, che naturalmente non c’entra nulla con le violenze squadriste dei black bloc. Essere considerate come Stati è per le multinazionali un enorme successo simbolico, ma è anche una scelta gravida di potenziali, enormi conseguenze. Leggi il resto di questo articolo »

Ci fu l’intelligenza di un rapporto nuovo tra il cittadino e lo Stato. Ci fu un fattore di saldatura che superò ogni altro valore: il recupero della unità nazionale.

IL 26 ottobre 1945 erano passati appena cinque mesi dal 25 aprile. Ferruccio Parri, il presidente del Consiglio dell’Italia liberata — e anche il capo partigiano che aveva portato a Roma il “vento del Nord” — parlava alla Consulta, la prima provvisoria assemblea di uno Stato rinascente. E, ad un certo punto, avvenne il putiferio. Fu quando Parri disse: «La democrazia è praticamente agli inizi: io non so, non credo che si possano definire regimi democratici quelli che avevamo prima del fascismo». È subito dopo che nei resoconti si legge: “interruzioni, rumori, grida di viva Vittorio Veneto!”. Non c’è nulla di meglio di questa scena “parlamentare” che fissi, come in un flash, i due aspetti della Resistenza. Che fu, allo stesso tempo, rottura e ricongiungimento rispetto alla vicenda nazionale e alla sua storia costituzionale. Leggi il resto di questo articolo »

Sinistrati. Minoranza Pd.

Persone senza dignità, senza intelligenza politica, senza senso di responsabilità repubblicana: questa è la minoranza del Pd (della maggioranza non merita neppure discorrere). Senza dignità perché dignità impone coerenza fra pensiero e azione, e dunque se avete dichiarato, come avete dichiarato, (vero Bersani?) che la riforma renziana della Costituzione, accompagnata dalla nuova legge elettorale rompe l’equilibrio democratico e poi votate l’una e l’altra siete persone indegne. Non sono affatto sorpreso del loro comportamento.Bersani e gli altri vengono dal Pci, che tutto era fuorché una scuola di schiene dritte (nobili eccezioni a parte). Li hanno abituati ad obbedire al segretario perché il segretario è il segretario. Sono ancora così. Leggi il resto di questo articolo »

LA LISTA. 1) Camera: l’Italicum conferma le liste bloccate del Porcellum, solo un po’ più corte 2) Senato: sarà formato da 100 senatori non eletti. Sindaci e consiglieri scadranno con le rispettive giunte: Palazzo Madama ridotto ad albergo a ore 3) Opposizione: i dissensi interni potranno essere spenti con il metodo Mineo: chi non garantisce il Sì in commissione potrà essere espulso e sostituito. L’opposizione sarà decimata dalle soglie dell’Italicum. La “ghigliottina” è istituzionalizzata 4) Capo dello Stato: potrà sceglierselo il premier (anche se ha preso soltanto il 20% dei voti) dopo il terzo scrutinio, quando la maggioranza scende al 51%. 5) Corte Costituzionale: chi va al governo (anche col 20%) controlla 10 giudici costituzionali su 15. 6) Csm: la pensione dei magistrati dagli attuali 75 anni a 70 decapita gli uffici giudiziari 7) Pm: per normalizzare le procure basta la lettera di Napolitano  8 Immunità: l’art. 68 sempre più strumento del governo per mettere i propri uomini al riparo dalla giustizia 9) Informazione: la Rai rimane dei partiti. Nessun intervento sul conflitto d’interessi 10) Cittadini: le firme per referendum e leggi d’iniziativa popolare passano da 500 a 800 mila e da 50 a 250 mila firme.

Il Fatto Quotidiano      05/08/2014.

 


vedi: La Costituzione e il governo stile executive

vedi: Svolta autoritaria anzi impunitaria e articoli correlati

Vi è una soglia di diseguaglianza superata la quale le società allontanano le persone tra loro in maniera distruttiva, ne mortificano la dignità, e così negano il loro stesso fondamento che le vuole costituite da “liberi ed eguali”? Evidentemente sì, visto che Barack Obama, abbandonando i passati silenzi, è intervenuto su questo tema, sottolineando che diseguaglianze nei diritti, nel rispetto della razza, nel reddito mettono in pericolo coesione sociale e democrazia. La denuncia riflette preoccupazioni che hanno messo in evidenza come le diseguaglianze siano pure fonte di inefficienza economica. È all’opera una sorta di contro modernità, che contagia un numero crescente di paesi, e vuole cancellare l’“invenzione dell’eguaglianza”. Proprio questo era avvenuto alla fine del Settecento, quando le dichiarazioni dei diritti fecero dell’eguaglianza un principio fondativo dell’ordine giuridico, e non più soltanto un obiettivo da perseguire all’interno di un ordine sociale che trovava nella natura la fonte della solidarietà, affidata ai doveri della ricchezza, alla carità, a un ordine gerarchico intessuto di relazioni spontanee tra superiori e inferiori. Leggi il resto di questo articolo »

A settanta anni dal 1943 questo 25 aprile serve per una riflessione e un bilancio. Allora tutto cominciò con una scelta. Quando l’8 settembre crollò lo Stato, tutti furono lasciati soli con la propria coscienza. Di colpo le istituzioni scomparvero togliendo a ognuno protezione e sicurezza; nel marasma delle fughe del re, dell’ignavia dei generali, della protervia dei nazisti, ognuno fu costretto a riappropriarsi di quella pienezza della sovranità individuale alla quale si rinuncia ogni volta che si sottoscrive un patto di cittadinanza che preveda uno scambio tra diritti e doveri, libertà e regole, autonomia personale e legami sociali. Dopo l’8 settembre 1943, nello scenario comune di un’esistenza collettiva segnata dalla paura, dalla fame, dall’incubo delle bombe e della morte, non tutti però reagirono allo stesso modo. Leggi il resto di questo articolo »

Egregio Signor candidato alla presidenza del Consiglio dei Ministri, come molti altri elettori ed elettrici non ho ancora scelto per chi votare alle prossime elezioni politiche. Mancano, a mio avviso, proposte convincenti di cambiamenti profondi, di riforme incisive e durature non solo per affrontare la crisi economica e soprattutto per affrontare lo sfacelo della politica e il degrado della vita civile, che ci affliggono non meno della crisi economica. Le scrivo per chiederle di pronunciarsi in modo esplicito e vincolante su alcuni temi che non sono al centro della campagna elettorale; sono problemi che attengono ai diritti, alle libertà, alla cittadinanza; questioni tipicamente «liberali», cioè legate a una cultura che non ha mai mobilitato i due grandi partiti di massa protagonisti di decenni della storia politica della nostra Repubblica. Leggi il resto di questo articolo »

Un semplice, breve telegramma che Goffredo Mameli inviò a Mazzini ( che viveva a Firenze sotto il falso nome di Felice Casali) verso le due del mattino del 9 febbraio 1849. Un breve, stringato ma esaurientissimo telegramma che fa stringere il cuore: Roma è Repubblica! Dopo mesi di faticosi ma vivacissimi e partecipati incontri, convegni, dibattiti, assemblee per i teatri o altri locali di Roma la Repubblica Romana nasceva ufficialmente nel Palazzo della Cancelleria dove si riuniva l’Assemblea Costituente eletta in gennaio.

Il palazzo era circondato da una folla enorme, entusiasta, festante. Nell’aula principale di quel Palazzo, immagine del potere pontificio e della sua burocrazia, viene votato il Decreto fondamentale che dà inizio ad una Repubblica che meravigliò tutto il mondo e divenne un segno di speranza per tutti coloro che aspiravano ad una vita più giusta, più democratica, più libera e responsabile. Leggi il resto di questo articolo »

«Prendo il giornale e leggo che di giusti al mondo non ce n’è». Così iniziava il “Mondo in M7”, un  brano musicale che scalò le classifiche. Era il 1966 e bastava infilare una moneta da 50 lire nel  juke-box perché i bar del centro e della periferia delle città si riempissero della voce di Adriano  Celentano e si gonfiassero di indignazione.  Il suo rap ante litteram soffiava sul fuoco che covava sotto la cenere. Eravamo ai preliminari della  grande contestazione del ’68. Da allora la giustizia nel mondo non è aumentata, al contrario  dell’assuefazione alle terribili notizie.  Mercoledì 11 luglio 2012, prendo il giornale e leggo che 54 immigrati provenienti da Tripoli sono morti in mare. Ma la notizia non fa grande clamore. Un naufragio di Costa Crociere fa più audience. Sono morti di  sete, non annegati, come invece capitò a Fleba il fenicio, il fluttuare delle cui membra nelle acque  marine è cantato da Thomas Stearn Eliot, rendendolo così eterno. Leggi il resto di questo articolo »

Come e perché siamo arrivati alla notte della Repubblica

In una situazione politica di stallo in cui il berlusconismo sembra definitivamente in crisi e gli scenari futuri del Paese appaiono quantomai incerti, Nicola Tranfaglia e Anna Petrozzi propongono una riflessione dialogica sulla storia italiana dal 1943 a oggi. La loro puntuale disamina mette in luce come settori della classe dirigente italiana, degli apparati dello Stato e dell’establishment economico – spesso responsabili di stragi e delitti eccellenti – abbiano condizionato l’alternanza democratica dei governi per mantenere il più possibile inalterati gli equilibri di una società conservatrice e talvolta reazionaria. A questa colpa indelebile ha fatto da contraltare l’incapacità dei cittadini e, con qualche eccezione, degli intellettuali di pensare e realizzare alternative riformatrici o rivoluzionarie che modificassero lo status quo.
Fare i conti con questo «peccato originale» è oggi cruciale per capire in che modo gli arcana imperii dell’ultimo settantennio della nostra storia abbiano allargato la spaccatura tra società civile e politica, introducendo metodi mafiosi nella vita pubblica e minando, in maniera sempre più preoccupante, il dettato costituzionale che pure dovrebbe essere alla base della nostra convivenza civile e impedire che la nostra Repubblica sprofondi in una notte senza fine. Una storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi sintetica ( ma assolutamente non superficiale, anzi…), chiara, inquietante e ricchissima d’informazioni e riflessioni sulla nostra disgraziata vicenda storica. Anche questo è un libro fondamentale e urgente per ogni italiano che vuole essere cosciente di qual’è il Paese in cui vive e per potere maturare decisioni d’impegno civile e di resistenza.

 

di  Nicola Tranfaglia e Anna Picozzi,   ed. Dalai editore 2011,   € 16,50

Pubblichiamo parte dell’introduzione al libro di Diritti e libertà nella storia d’Italia in uscita in
questi giorni per l’editore Donzelli.

Libertà e diritti sono iscritti in testa alle costituzioni. La storia di ieri e di oggi, tuttavia, ci parla di sospensioni delle garanzie costituzionali, di ragion di Stato e di emergenze che giustificano la limitazione o la cancellazione di diritti fondamentali, di pieni poteri concessi ai governi, di tentativi continui di considerare le libertà riconosciute «eccessive» rispetto a esigenze di controllo sociale o di sviluppo economico. La lotta per i diritti non può mai concedersi appagamenti, pause o distrazioni. L’esperienza del Novecento ci ha poi mostrato come la sola proclamazione costituzionale di libertà e diritti possa risolversi in un inganno, in un’inesistente barriera contro l’oppressione. Seguendo la traccia delle costituzioni dei paesi a “democrazia socialista”, a cominciare da quella sovietica del 1925, ci si avvede agevolmente dello scarto enorme – e crescente, via via che si consolidavano le logiche autoritarie – tra altisonanti promesse di diritti e pratiche oppressive d’ogni libertà individuale e collettiva. Leggi il resto di questo articolo »

Gli italiani hanno dimostrato nei secoli una spiccata capacità di inventare sistemi politici e sociali senza precedenti. Anche la trasformazione di una repubblica in una grande corte è un esperimento mai tentato e mai riuscito prima. Rispetto alle corti dei secoli passati, quella che ha messo radici in Italia coinvolge non più poche centinaia, ma milioni di persone e le conseguenze sono le medesime: servilismo, adulazione, identificazione con il signore, preoccupazione ossessiva per le apparenze, arroganza, buffoni e cortigiane. Leggi il resto di questo articolo »

In pubblico, con toni veementi (esagitati?), il Presidente del Consiglio è andato all’attacco della scuola pubblica come luogo di cattivi maestri, dalla quale a buon diritto genitori liberi e pensosi vogliono tenere lontani i figli. Non è una novità. Per raccattare voti, Berlusconi non va mai troppo per il sottile. Ma una scuola allo stremo avrebbe meritato ben altra attenzione da parte del Presidente del Consiglio e della sua sempre fedele ministra dell’Istruzione (così ne avrebbe scritto Damon Runyon). Se una parola doveva venire, questa doveva essere di riconoscenza e rispetto per chi, in condizioni personali e ambientali sempre più difficili, svolge l’essenziale funzione della trasmissione del sapere e della formazione dei giovani. E anche di rispetto per gli studenti, ridotti nelle sue parole ad oggetti docilmente manipolabili, e che invece hanno mostrato di essere tutt’altro che inclini all’indottrinamento, di possedere sapere critico. Leggi il resto di questo articolo »

Il 17 marzo 1961, per i festeggiamenti del centenario dell’unità, non ci fu festa né vacanza. Per tutto l’anno ci furono celebrazioni a Italia ’61 – un intero quartiere costruito ex novo a Torino – che, come possiamo ancora constatare, esaltava soprattutto il lavoro (art. 1 della Costituzione) e il progresso tecnico e sociale. Ci furono però le dichiarazioni di Kennedy sull’«antica Torino» e la visita della regina Elisabetta che si svolse il 9 maggio in conclusione di un viaggio in varie città d’Italia. Festeggeremo anche noi il 17 marzo, senza speciale solennità né entusiasmo. Vediamo perché. Festeggiamo quel giorno perché dall’Italia e dalla sua storia abbiamo ricevuto molto, in bene e in male, di ciò che siamo, e perché per il bene di questo nostro paese siamo da sempre impegnati. Senza troppa solennità, perché non è la più bella o la più importante delle date storiche nazionali. Del 17 marzo 1861 rimane la bandiera tricolore, che è anche nella Costituzione. Non c’è più il regno, né i Savoia, né terre «irredente», né leggi discriminanti tra italiani, né suffragio elettorale ristretto, né religione di stato. Grazie a Dio. Leggi il resto di questo articolo »

Anticipiamo parte di un capitolo tratto da Lezioni sul Novecento di Pietro Scoppola (a cura di Umberto Gentiloni Silveri, Laterza, pagg. 224, euro 12), che raccoglie gli interventi dello studioso all’ interno del corso universitario tenuto a Roma presso la facoltà di Scienze Politiche della Sapienza tra il 1995 e il 1996 e risposte alle domande sulle attuali difficoltà italiane devono essere cercate nell’ evoluzione dei primi cinquant’ anni della Repubblica, e non nell’ atto della sua fondazione.

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