Articoli marcati con tag ‘costituzione’

Pubblichiamo un estratto della lectio magistralis tenuta da Roberta De Monticelli al Festival della Filosofia di Modena

Il Festival quest’anno ha avuto un bel coraggio. Già in poesia ci vuole coraggio a parlare d’amore. Ricordate Umberto Saba? “Amai trite parole che non uno/ osava. M’incantò la rima fiore / amore, / la più antica, difficile del mondo”. Il tema del festival, “Amare”, fu scelto in tempi in cui era ancora lecito sperare che la politica sarebbe presto tornata a essere quello che dovrebbe, quando delle istituzioni ci si può fidare. È vero, né la vita privata né la vita interiore delle persone possono fermarsi solo perché le istituzioni vivono un momento di crisi, soprattutto in un paese dove questi momenti durano interi decenni. Si può e si deve anche parlare d’altro. Ma credo che nei limiti del possibile bisogna farlo in modo che non sia come “far finta di niente”. Altrimenti noi tutti incorreremo di nuovo nella colpa che Piero Calamandrei chiamava “la cieca e dissennata assenza”. Di quelli che, quando un vigliacco imboscato vicino a Chiasso (per scappare) spedì le sue squadracce alla marcia su Roma, si tirarono da parte per far posto. E così fecero silenziosa eco al sublime Luigi Facta, ultimo presidente del Consiglio prima di Mussolini: “Nutro fiducia”. Leggi il resto di questo articolo »

Cinquant’annifa, 250.000 persone si raccolsero a Washington in una grande manifestazione «for jobs and freedom» per il lavoro e la libertà, organizzata da Philip A. Randolph, storico sindacalista militante nero e da Bayard Rusting, pacifista nero, gay, in odore di comunismo. Intervennero sindacalisti, leader religiosi, protagonisti dei movimenti, artisti. Il tutto culminò con lo storico discorso di Martin Luther King, e la sua celebre perorazione: «Ho un sogno…» Sono parole memorabili e in un certo senso sfortunate perché la loro eloquenza ha finito quasi per farci dimenticare le centinaia di migliaia di persone senza le quali quel discorso sarebbe rimasto solo un grande esercizio di retorica, e ridurre questa realtà di massa all’icona di una persona sola. E, riciclata e avvilita in tanti modi (dal caffè Kimbo ad Anna Oxa, da Silvio Berlusconi a Quagliarella) la frase del sogno ha finito per cancellare dalla memoria tutto il resto del discorso e la sua radicale politicità: «Ho un sogno, un sogno profondamente radicato nel sogno americano.  Ho un sogno, che questa nazione un giorno sorgerà e vivrà il vero significato del suo credo: Riteniamo che certe verità non abbiano bisogno di dimostrazioni: che tutti gli uomini sono creati uguali… Ho un sogno, che le mie quattro bambine un giorno vivranno in una nazione dove saranno giudicate non dal colore della pelle ma dal contenuto del carattere. Ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà elevata, ogni colle e ogni monte sarà abbassato, gli spazi ruvidi saranno levigati e i luoghi distorti saranno raddrizzati, e la gloria del Signore sarà rivelata e tutti i mortali la vedranno insieme». Leggi il resto di questo articolo »

Sono trascorsi 69 anni da quella terribile mattina del 12 agosto del 1944 quando in un piccolo borgo arroccato sulle Alpi Apuane la furia nazista uccise 560 civili di cui 130 bambini. Le atrocità commesse dalle SS furono sconvolgenti. Giunsero a far partorire una donna, Evelina, e prima di ucciderla, dinanzi ai suoi occhi, spararono alla tempia del figlioletto. Furono trovati ancora uniti dal cordone ombelicale.Quella mattina di 69 anni le SS, guidate da alcuni fascisti locali, a Sant’Anna portarono l’inferno in un luogo che si riteneva fosse lontano dai venti di guerra. Ma quel giorno oltre all’eccidio delle 560 vittime, avvenne un crimine ancora maggiore che è la morte dell’uomo, della sua umanità. Un crimine, o meglio un suicidio, che la storia ci ricorda troppe volte accadere, basti pensare ai campi di concentramento, alle tante guerre che incendiano il mondo. Leggi il resto di questo articolo »

Il tempo storico ha degli scatti, scrive Franco Cordero su questo giornale (9 maggio), e ogni tanto gli scenari mutano improvvisamente: un tabù civilizzatore cade; avanza un nuovo che scardina la convivenza cittadina regolata. Gli Stati di diritto d’un colpo son traversati da crepe, come il Titanic quando urtò l’iceberg e in principio parve un nonnulla. Oggi, è «l’idea d’uno Stato dove i poteri legislativo, esecutivo, giudiziario appartengano a organi diversi e siamo tutti eguali davanti alla legge» a esser malvista dalla parte dominante nel XXI secolo. Soprattutto, sono malviste le Costituzioni nate dalla Resistenza. Specie quelle del Sud Europa: in Italia, Grecia, Spagna, Portogallo. Nessuno Stato lo proclamerebbe a voce alta. Ma lo dice con grande sicurezza, perché fiuta larghi consensi, una delle più potenti banche d’affari del mondo, JPMorgan, in un rapporto sulla crisi dell’euro pubblicato il 28 maggio. È un testo da leggere, perché in quelle righe soffia lo Spirito del Tempo. Leggi il resto di questo articolo »

Come se fosse l’architettura dei poteri e una Costituzione difettosa, a impedire alla politica e ai partiti di ritrovare la decenza perduta, o a darsene una ex novo. Come se un capo di Stato eletto direttamente dal popolo, e più dominatore – è il farmaco offerto in questi giorni – servisse a curare mali che non vengono da fuori, ma tutti da dentro, dentro la coscienza dei partiti, dentro il loro rapporto con la cosa pubblica, con l’elettore, con la verità delle parole dette. Leggi il resto di questo articolo »

Le nostre radici, antidoto alla crisi

C’è la lettera, l’ultima, ai compagni, di un ragazzo partigiano di Parma, Giordano Cavestro, studente  di 18 anni, fucilato dai fascisti repubblichini il 4 maggio 1944 a Bardi, che riletta oggi riempie di  dolore e di commozione per le sue speranze tradite:

«Se vivrete tocca a voi rifare questa povera  Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che servirà da esempio». Leggi il resto di questo articolo »

9 febbraio 2014
17:00a20:00

PER INFORMAZIONI: 3337765679

 

VEDI: 9 febbraio 2013.  "Roma Repubblica, venite!"

9 febbraio 2012. La Repubblica Romana 163 anni dopo...

6-13 febbraio 2011. Una settimana repubblicana.

Egregio Signor candidato alla presidenza del Consiglio dei Ministri, come molti altri elettori ed elettrici non ho ancora scelto per chi votare alle prossime elezioni politiche. Mancano, a mio avviso, proposte convincenti di cambiamenti profondi, di riforme incisive e durature non solo per affrontare la crisi economica e soprattutto per affrontare lo sfacelo della politica e il degrado della vita civile, che ci affliggono non meno della crisi economica. Le scrivo per chiederle di pronunciarsi in modo esplicito e vincolante su alcuni temi che non sono al centro della campagna elettorale; sono problemi che attengono ai diritti, alle libertà, alla cittadinanza; questioni tipicamente «liberali», cioè legate a una cultura che non ha mai mobilitato i due grandi partiti di massa protagonisti di decenni della storia politica della nostra Repubblica. Leggi il resto di questo articolo »

Sarebbe stata una buona idea mantenere il sangue freddo davanti a Berlusconi, il giorno che a Milano ha parlato del fascismo, e chiedergli come mai Mussolini avesse «per tanti versi fatto bene», eccettuate le leggi razziali. Fece bene quando uccise Matteotti, incarcerò gli oppositori? Quando inviò l’esercito in Etiopia, ordinandogli di usare i gas asfissianti a scopo di sterminio? Quando entrò in guerra accanto a Hitler, e non per evitare una vittoria tedesca troppo vasta ma convinto da sempre che urgeva vendicare l’oltraggio del ’14-18? Oppure fece bene perché seppe governare accentrando tutti i poteri, reintroducendo la pena di morte, soggiogando l’amministrazione della giustizia? Quando si incontra un politico provocatore, che consapevolmente sceglie il giorno in cui si ricorda la Shoah per inquinare il consenso antifascista da cui è scaturita la Costituzione, è sempre la seconda domanda quella che conta, che aiuta a capire, e la seconda domanda purtroppo è mancata. Leggi il resto di questo articolo »

Preparandosi a riprendere in mano il timone del governo, la politica farebbe bene a riflettere sulle ragioni della sua Caporetto, nel novembre 2011. Ciò che ha atterrato l’onorabilità della politica non furono tanto gli scandali sessuali del premier o le diffusissime vicende di corruzione, ma l’impotenza a fare il suo lavoro: governare. L’incapacità, non la disonestà, ha mandato a casa il governo Berlusconi. Questa accusa è molto più grave di quella di corruzione. Poiché mentre la disonestà è l’esito di una deturpazione che non mette in discussione la politica ma alcuni suoi praticanti, l’inadeguatezza a prendere decisioni mette in luce un limite oggettivo della politica democratica. Leggi il resto di questo articolo »

Dove hanno sbagliato Mario Monti e il suo governo? Secondo Edward Luttwak, che si intende di cose italiane, Monti ha sbagliato perché invece di fare ciò che come tecnico poteva fare senza pagare pedaggi politici, come ad esempio ridurre drasticamente lo stipendio del capo della polizia che in Italia guadagna quattro volte di più del capo dell’FBI in America, e invece di fare qualche taglio salutare ai compensi sproporzionati di grandi funzionari e manager di Stato, si è messo in mente di rifondare la Repubblica e si è accanito su temi squisitamente politici e causa di sofferenza per tutti, come il regime delle pensioni e le modalità dei licenziamenti. A sua volta Obama ha lamentato che mentre la dottrina del rigore e gli interventi di sistema avranno effetti a lungo termine, è adesso che ci vogliono scelte di rilancio dell’economia e della fiducia. Insomma Monti non ha messo la tecnica al servizio della politica, ma ha messo la tecnica al posto della politica, nella presunzione sbagliata che i governi non debbano scegliere tra diverse alternative, ma solo applicare integralmente leggi incontestabili dettate dalla natura stessa delle cose, come sarebbero le leggi dell’economia, delle borse e dei Mercati. Leggi il resto di questo articolo »

Se avessimo camminato, nel luglio del 1849, per le strade del Gianicolo, per via di S. Pancrazio, per i vialetti di Villa Pamphilj, per via Aurelia Antica cosa avremmo visto? Oggi, in mezzo al solito traffico stressante, vediamo villette piccole o grandi, strade tranquille, bei panorami, gente impegnata nel jogging o nel far passeggiare i bambini. Si sorbisce un gelato, ci sono piccole manifestazioni, siepi e alberi più o meno curati. Tante statue, busti, lapidi ignorate, in fondo,  dalla maggioranza. Un clima rilassato tra IMU e spread. Poi vediamo ciò che resta di Monteverde Vecchio di un tempo, assalito dalla cementificazione, e scendendo per viale dei Quattro Venti, per esempio, il clima idilliaco del Gianicolo si perde nel caos fino ad arrivare alle propaggini di Monteverde Nuovo che di verde ha ormai solo il nome e qualche residuo di giardino. Leggi il resto di questo articolo »

Questa è la lettera che Lelio Basso (1903- 1978) - uno dei padri della Costituzione italiana- scrisse all’allora ministro della Difesa Arnaldo Forlani che decise di sospendere la parata militare del 2 giugno 1976 dopo il terremoto che sconvolse il Friuli.

Lelio Basso

Sono personalmente grato al ministro Forlani per avere deciso la sospensione della parata militare del 2 giugno, e naturalmente mi auguro che la sospensione diventi una soppressione. Non avevo mai capito, infatti, perché si dovesse celebrare la festa nazionale del 2 giugno con una parata militare. Che lo si facesse per la festa nazionale del 4 novembre aveva ancora un senso: il 4 novembre era la data di una battaglia che aveva chiuso vittoriosamente la prima guerra mondiale. Ma il 2 giugno fu una vittoria politica, la vittoria della coscienza civile e democratica del popolo sulle forze monarchiche e sui loro alleati: il clericalismo, il fascismo, la classe privilegiata. Perché avrebbe dovuto il popolo riconoscersi in quella sfilata di uomini armati e di mezzi militari che non avevano nulla di popolare e costituivano anzi un corpo separato, in netta contrapposizione con lo spirito della democrazia? Leggi il resto di questo articolo »

È un’immagine che ferisce: quegli immigrati con lo scotch sulla bocca, le mani legate e gli occhi spaventati, la cui foto ha fatto il giro del web, ci dice più di tante parole che cosa siamo. Quale è l’abisso in cui rischiamo di cadere senza più qualsiasi senso di solidarietà e di rispetto umano. L’immigrato vale meno di una merce da spostare da una parte all’altra del mondo. È il segno di un  declino spaventosoLeggi il resto di questo articolo »

Con il mercato, contro i lavoratori. Mentre il governo si appresta a riformare l’articolo 18, Mario Monti sposa il Marchionne pensiero: “Chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere per i suoi investimenti e per le sue localizzazioni le soluzioni più convenienti”. Parole che svelano l’illusione del governo “tecnico”. Ricordandoci la grande differenza che c’è tra politiche liberiste e liberali. A proposito della trattativa sull’articolo 18 (davvero un momento sempre più epocale per la storia dell’Italia e nei prossimi secoli si distinguerà ancora tra un prima e un dopo riforma dell’articolo 18!) Mario Monti ha detto alle parti sociali che tutti dovrebbero rinunciare a qualcosa. Teoricamente una richiesta di grande buon senso, di solito in una trattativa ci si comporta così; ma questo accade davvero solo se le parti del contratto/accordo sono in posizione paritaria, con uguali diritti e uguali doveri e se cedono cose comparabili. Leggi il resto di questo articolo »

Le mani della ‘ndrangheta sui cantieri Tav: la denuncia di Roberto Saviano è un grido d´allarme che costringe a ricondurre sul piano suo proprio, quello degli affari, ogni discorso sull´alta velocità. Gli affari sporchissimi (delle mafie) e quelli, si suppone puliti, delle imprese e delle banche. Ma che vi siano fra gli uni e gli altri intrecci e convergenze di interessi non occorre dimostrare. La storia del riciclaggio di denaro sporco di tutte le mafie, in Italia e fuori, semplicemente non esisterebbe, se non si fosse trovata ogni volta l´impresa “pulita” ma disponibile a trasformare capitali sporchi in condominii, alberghi, autostrade. Leggi il resto di questo articolo »

Dopo un ventennio in cui è stata bandita quasi fosse un’istanza utopica se non un intralcio all’opulenza oggi, sopraggiunta la crisi con un significativo aumento delle sue vittime, si invoca l’equità e se ne afferma la necessità, ci si appella alla giustizia e all’uguaglianza, salvo ribellarvisi quando queste chiedono sacrifici a tutti e non solo «agli altri». Ci rendiamo conto della barbarie che abbiamo voluto accogliere, dello scadimento cui abbiamo abbandonato tanti valori necessari alla semplice convivenza civile? Leggi il resto di questo articolo »

Nel grande frastuono e nel chiacchiericcio mediatico, nella pletora di discorsi che si fanno con la scusa dell’emergenza, credo che l’emergenza sia già una forma di costruzione del potere per giustificare cose altrimenti ingiustificabili, ma se c’è l’emergenza, allora dobbiamo giustificare, allora si continua a parlare di questa emergenza, si dicono cifre, dati, il lavoro, la disoccupazione e si è smesso tendenzialmente, ammesso che lo si sia mai fatto, di parlare delle questioni di fondo, delle questioni che attengono all’essere umano, nessuno si fa più le domande sulle questioni di senso, credo che una delle grandi devastazioni fatta alla nostra società, è la distruzione del senso, noi siamo affidati a una deriva di significati che non hanno più un orizzonte ampio, tutto è asfittico, tutto fluisce e credo che questa sia invece la grande questione, cos’è vivere una vita? Che significato ha l’esistenza di un essere umano, di una società di esseri umani su questa terra? Perché siamo qui? Come possiamo starci?

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La sera del 2 gennaio 1849  la popolazione di Roma venne convocata a piazza Santi Apostoli per formare un corteo che arrivò al Campidoglio con le bandiere dei rioni, bande musicali, la Guardia Civica e le truppe di stanza a Roma con l’artiglieria. La grande folla gremì la piazza del Campidoglio. Così ricorda,  nella sua Cronaca, l’artista olandese J. Philip Koelman, presente in quei giorni a Roma:

Fra l’avvicendarsi di luci rosse, verdi e bianche, i colori dell’Italia, si vide il veneziano abate Rambaldi salire sul piedistallo del monumento ( A Marco Aurelio) e arringare la folla…”

Quell’abate si chiamava Don Giovanni Battista Rambaldi, uno dei tanti dimenticati dei protagonisti della Repubblica Romana, e disse:

“… Popolo di Roma, tu sei chiamato, se vuoi, a infondere la potenza vitale  alla nostra infelicissima Italia e ricomporne le sparse membra che si vogliono disgregate e oppresse dalle nere congreghe e dai vescovi…  Io sacerdote di Cristo sento tutta la coscienza di chiamarti dal Campidoglio alla libertà e alla indipendenza, perché il principio di questo tuo diritto vive eterno nel Vangelo…  Con questo pensiero ritirati nelle tue case… col quel contegno tranquillo e dignitoso che è la più eloquente risposta che tu possa dare ai tuoi congiurati nemici. Frattanto sia uno e concorde il grido: Viva la Costituente Romana iniziatrice della Costituente italiana”. Leggi il resto di questo articolo »

Le chiamano guerre senza uomini, unmanned wars, e stanno stravolgendo il nostro rapporto con i conflitti militari e anche col potere. Protagonista è un velivolo che non ha bisogno di pilota perché basta schiacciare da lontano un bottone, e l’aggeggio parte: si chiama drone. A seconda della convenienza esplora terreni oppure decima persone: è un proiettile che varca oceani. Traiettoria, bersaglio, funzioni sono decisi da impenetrabili cerchie di tecnici e politici. Dopo aver bramato per anni guerre a zero morti, adesso Washington predilige guerre a zero uomini. Costano meno, e soprattutto non sono politicamente dannose: l’avversario stramazza, ma svanisce il rischio di veder tornare le salme dei nostri soldati. La connessione tra potere e opinione pubblica si spezza, così come si spezza il nesso tra guerra, legge, democrazia. Non solo. Hai l’impressione che il mondo non sia che un video con playstation, azionato da ignoti individui al servizio di un centro sfuggente che s’avvale impunemente dell’extraterritorialità: come la smisurata mappa di Borges, che «aveva l’immensità dell’impero e coincideva perfettamente con esso». Leggi il resto di questo articolo »


Perchè vogliamo onorare quei “ragazzi” del 1849, che donarono la loro vita per la libertà e il progresso dei popoli. Perchè vogliamo, con una celebrazione laica,  fare memoria senza retorica dei valori  più alti del nostro Risorgimento,  le cui radici ideali e costituzionali trovarono terreno fertile nella breve vita della Repubblica Romana e che, purtroppo, saranno in gran parte traditi successivamente. Perchè vogliamo capire la ragione che spinse uomini e donne dai 10/11 anni ai 60 a combattere contro l’Esercito Francese, il più potente del tempo e contro altri tre eserciti, una battaglia senza speranza. Perchè volevano, anche attraverso “una gloriosa sconfitta”, lasciare un’eredità alle generazioni future. Si, capire per crescere in una consapevolezza che ci permetta di uscire tutti noi da indifferenza, pigrizia o rassegnazione e scegliere di essere e fare qualcosa per la triste Italia di oggi. Farlo con continuità e sacrificio personale come quei “ragazzi” del 1849 insegnano. Leggi il resto di questo articolo »

Oggi, 2 giugno, potrà essere ricordato come la data che segna l’inizio di una rinascita morale e civile della nostra Repubblica. Repubblica, lo ricordo a chi l’ha dimenticato o a chi non lo ha mai capito, non vuol dire soltanto che la sovranità appartiene al popolo e non ad un re, ma anche governo della legge, virtù civile, disprezzo per le corti, intransigenza nella difesa della libertà comune, amore per la propria città. Il voto dei cittadini italiani ha testimoniato, in realtà fra loro assai diverse come Milano e Napoli o Trieste e Cagliari, adesione a questi principi. Sia Pisapia che De Magistris sono stati fin dall’inizio fermi sostenitori dell’idea che le leggi devono valere per tutti e che la Costituzione, legge fondamentale dello Stato, deve essere rispettata soprattutto da chi governa e da chi ha il potere legislativo. A dare esempio di virtù civile ci hanno pensato i cittadini in forme e modi tali da sorprendere tutti coloro che pensavano (e probabilmente continueranno a pensare) che gli Italiani sono, per varie ragioni, incapaci di forti passioni civili. Leggi il resto di questo articolo »

Le mosse di Berlusconi sono da tempo prevedibili, perché appartengono ad una logica che egli ha trasferito nel mondo della politica senza mai farsi contagiare dal “senso delle istituzioni”. Non può sorprendere, quindi, l’ultimo suo proclama: «Dobbiamo cambiare la composizione della Corte costituzionale, dobbiamo cambiare i poteri del Presidente della Repubblica e, come avviene in tutti i governi occidentali, attribuire più poteri al governo del Presidente del Consiglio». Proprio le ultime parole sono rivelatrici. Scompare il “Governo della Repubblica”, di cui parla l’articolo 92 della Costituzione. Al suo posto viene insediato il “Governo del Presidente del Consiglio“, una formula che esprime la logica proprietaria dalla quale Berlusconi non ha mai voluto separarsi. L’imprenditore è fedele alle sue origini, e nel suo modo d’agire si ritrova la vecchia e di nuovo vitale formula secondo la quale “la democrazia si ferma alle porte dell’impresa”. Leggi il resto di questo articolo »

Pubblichiamo parte dell’introduzione al libro di Diritti e libertà nella storia d’Italia in uscita in
questi giorni per l’editore Donzelli.

Libertà e diritti sono iscritti in testa alle costituzioni. La storia di ieri e di oggi, tuttavia, ci parla di sospensioni delle garanzie costituzionali, di ragion di Stato e di emergenze che giustificano la limitazione o la cancellazione di diritti fondamentali, di pieni poteri concessi ai governi, di tentativi continui di considerare le libertà riconosciute «eccessive» rispetto a esigenze di controllo sociale o di sviluppo economico. La lotta per i diritti non può mai concedersi appagamenti, pause o distrazioni. L’esperienza del Novecento ci ha poi mostrato come la sola proclamazione costituzionale di libertà e diritti possa risolversi in un inganno, in un’inesistente barriera contro l’oppressione. Seguendo la traccia delle costituzioni dei paesi a “democrazia socialista”, a cominciare da quella sovietica del 1925, ci si avvede agevolmente dello scarto enorme – e crescente, via via che si consolidavano le logiche autoritarie – tra altisonanti promesse di diritti e pratiche oppressive d’ogni libertà individuale e collettiva. Leggi il resto di questo articolo »

Quando Obama vinse le elezioni, nel 2008, furono molti a esser convinti che una grande trasformazione fosse possibile, che con lui avremmo cominciato a capire meglio, e ad affrontare, un malessere delle democrazie che non è solo economico. La convinzione era forte in America e in Europa, nelle sinistre e in numerosi liberali. La crisi finanziaria iniziata nel 2007 sembrava aver aperto gli occhi, preparandoli a riconoscere la verità: il capitalismo non falliva. Ma uno scandaloso squilibrio si era creato lungo i decenni fra Stato e mercato. Il primo si era ristretto, il secondo si era dilatato nel più caotico e iniquo dei modi. Lo Stato ne usciva spezzato, screditato: da ricostruire, come dopo una guerra mondiale. Le parole di Obama sulla convivenza tra culture e sulla riforma sanitaria annunciavano proprio questo: il ritorno dello Stato, nella qualità di riordinatore di un mercato impazzito, di garante di un bene pubblico minacciato da interessi privati lungamente dediti alla cultura dell’illegalità. Leggi il resto di questo articolo »

Non è stato solo il Terzo Reich a proclamarsi e a credersi destinato a durare mille anni, anche se è durato solo dodici, meno del mio scaldabagno. Ogni potere, soprattutto ma non solo quello totalitario, ogni civiltà, ogni sistema di valori e di costumi si vogliono e si ritengono definitivi; siamo inclini a scambiare il presente, l’assetto delle cose che ci circondano, per l’eterno, qualcosa che non può cambiare.

In questo senso, siamo quasi tutti ciechi conservatori, incapaci di credere che il nostro mondo— la politica, le gerarchie sociali, gli usi, le regole — possa mutare. Se nell’ottobre del 1989 qualcuno ci avesse detto che il muro di Berlino sarebbe presto caduto, lo avremmo preso per un ingenuo sognatore. Forse chi ha il senso religioso dell’eterno è più protetto dalla supina adorazione idolatrica di quel momento di tempo in cui vive e delle momentanee ed effimere forze che in quel momento appaiono vittoriose e insostituibili. Le cose invece cambiano, i muri cadono, ma l’idolatria del momento, che impone di essere «al passo dei tempi», permane, profondamente radicata nel cuore e nella mente. Leggi il resto di questo articolo »

Neppure l’oppositore più prevenuto avrebbe potuto attribuire a Berlusconi le parole che ha realmente pronunciato presentando il suo progetto sulla giustizia: con questa legge – ha detto – non vi sarebbero mai state le indagini di Mani pulite. In altri termini, non sarebbe mai stato rivelato ai cittadini il degrado etico-politico che ha portato all’agonia e al tracollo della “Prima Repubblica”. Il premier ha aggiunto: desidero questa legge dal 1994. Cioè dal momento in cui il suo populismo antipolitico ha potuto affermarsi sulle macerie di un sistema partitico minato dalla corruzione e incapace di rinnovarsi. Perché Berlusconi ha voluto e potuto proclamare ad altissima voce opinioni e propositi che anni fa sarebbero stati vissuti dal sentire comune del Paese come un vero e indecente vulnus? Perché, anche, ha fatto una dichiarazione di guerra così aperta alla magistratura e alla Costituzione proprio alla vigilia di processi che ha tentato di evitare in tutti i modi e con tutti i lodi possibili, entrando in ripetuto conflitto con la Corte Costituzionale e con la Presidenza della Repubblica (con Ciampi prima, e con Napolitano poi)? Leggi il resto di questo articolo »

Don Milani garante della Costituzione. Per chi conosce il Priore, non è affatto una novità: «Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua», citava la Lettera a una professoressa; «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», stava scritto nella Lettera ai cappellani militari che costerà all’autore un processo per apologia di reato. È tuttavia alquanto curioso che due suoi discepoli, due fratelli di sangue – Michele e Francesco Gesualdi –, in modo praticamente contemporaneo benché da prospettive politiche differenti evochino la figura del prete toscano per difendere la nostra Carta fondamentale, tirando in ballo – in modi diversi – il presidente Napolitano in quanto garante appunto della Costituzione. Francuccio, infatti, ha appena firmato con altri ex alunni di Barbiana una veemente lettera aperta in cui chiede al Quirinale – «nello spirito di don Milani» – di pronunciarsi con un pubblico messaggio a difesa della Costituzione e di praticare l’«obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che ne insultano nei fatti lo spirito». Leggi il resto di questo articolo »

È bello che l’onorevole Gelmini, nel commentare le dichiarazioni del presidente del Consiglio sulla scuola, abbia citato la Costituzione. Peccato che l’abbia citata a sproposito, capovolgendone il senso. Secondo l´on. Gelmini, «Il pensiero di chi vuol leggere nelle parole del premier un attacco alla scuola pubblica è figlio della erronea contrapposizione tra scuola statale e scuola paritaria. Per noi, e secondo quanto afferma la Costituzione italiana, la scuola può essere sia statale, sia paritaria. In entrambi i casi è un´istituzione pubblica, cioè al servizio dei cittadini». Ma la Costituzione non dice questo, dice il contrario (art. 33). Dice che «la Repubblica detta le norme generali sull´istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi». Che «enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». Dice che «la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali». L´art. 34 aggiunge che «l´istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita», e prescrive che la Repubblica privilegi, con borse a aiuti economici alle famiglie, «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi». La Costituzione stabilisce dunque una chiarissima gerarchia. Assegna allo Stato il dovere di provvedere all´educazione dei cittadini (obbligatoria per i primi otto anni) e di garantirne l´uguaglianza con provvidenze ai «capaci e meritevoli». Fa della scuola di Stato il modello a cui le scuole private devono adeguarsi, e non ipotizza nemmeno alla lontana due modelli di educazione alternativi e concorrenti. Leggi il resto di questo articolo »

«Ribadire la primogenitura democratica e repubblicana del Risorgimento, ricordare che esso ebbe nella Costituente romana e nella Repubblica di Venezia del 1848-49 alcuni dei suoi episodi più capaci di parlare al futuro, significa tornare ai fatti». Un incontro con lo storico Mario Isnenghi alla vigilia dell’anniversario dell’unità d’Italia.

Il 150° arriva quattro anni dopo il bicentenario garibaldino, suscitando polemiche e contrapposizioni ancora più accese nel dibattito pubblico. Quali sensazioni ha avuto girando per l’Italia per lezioni e conferenze?
Mi pare che si possa registrare una vistosa divaricazione tra la dimensione ufficiale e il pullulare di iniziative in grandi e piccoli centri della penisola. È come se la Lega avesse regalato all’Unità un nemico: e a reagire è proprio l’Italia delle cento città, che mostra interesse e partecipazione. L’opinione pubblica e una sorta di storiografia «decentrata» rilanciano dunque l’attenzione verso il processo unitario. In questa ricorrenza anche la storiografia intesa come produzione scientifica dimostra di essere in ottima salute, mentre soffre la Storia del Risorgimento come disciplina accademica. Decisamente diversa è la situazione per quanto riguarda il discorso mediatico che passa attraverso i giornali e le televisioni. Leggi il resto di questo articolo »

Intervista a Gustavo Zagrebelsky     a cura di Jean-Jacques Peyronel e Luca Maria Negro

È d’accordo nel considerare il 17 febbraio 1848 come una tappa fondamentale della lunga battaglia per la libertà di coscienza in Europa?

«Se c’è un elemento caratteristico dell’Europa, che fa parte della sua cultura, che dovrebbe renderci orgogliosi della nostra storia, è questo punto: l’Occidente con tutti i suoi vizi e limiti ha affermato la libertà di coscienza. Si può prendere il 17 febbraio per parlare di libertà di coscienza, ma forse sarebbe bene partire non solo dalla Riforma luterana ma da molto prima: dai valdesi medioevali. La libertà di coscienza viene normalmente riconosciuta da tutti gli studiosi di cose costituzionali come la base, la premessa di tutte le altre libertà. Può stupire che nella nostra Costituzione non si parli di libertà di coscienza. Questo perché la libertà di coscienza avrebbe equiparato in dignità tutte le coscienze. C’è un’uguale libertà ma la coscienza di qualcuno è un po’ più uguale delle altre. Credo che sia difficile per la Chiesa cattolica riconoscere che fuori della Chiesa ci può essere una coscienza che va rispettata come quella di coloro che stanno nella Chiesa». Leggi il resto di questo articolo »

In pubblico, con toni veementi (esagitati?), il Presidente del Consiglio è andato all’attacco della scuola pubblica come luogo di cattivi maestri, dalla quale a buon diritto genitori liberi e pensosi vogliono tenere lontani i figli. Non è una novità. Per raccattare voti, Berlusconi non va mai troppo per il sottile. Ma una scuola allo stremo avrebbe meritato ben altra attenzione da parte del Presidente del Consiglio e della sua sempre fedele ministra dell’Istruzione (così ne avrebbe scritto Damon Runyon). Se una parola doveva venire, questa doveva essere di riconoscenza e rispetto per chi, in condizioni personali e ambientali sempre più difficili, svolge l’essenziale funzione della trasmissione del sapere e della formazione dei giovani. E anche di rispetto per gli studenti, ridotti nelle sue parole ad oggetti docilmente manipolabili, e che invece hanno mostrato di essere tutt’altro che inclini all’indottrinamento, di possedere sapere critico. Leggi il resto di questo articolo »

Il 17 marzo 1961, per i festeggiamenti del centenario dell’unità, non ci fu festa né vacanza. Per tutto l’anno ci furono celebrazioni a Italia ’61 – un intero quartiere costruito ex novo a Torino – che, come possiamo ancora constatare, esaltava soprattutto il lavoro (art. 1 della Costituzione) e il progresso tecnico e sociale. Ci furono però le dichiarazioni di Kennedy sull’«antica Torino» e la visita della regina Elisabetta che si svolse il 9 maggio in conclusione di un viaggio in varie città d’Italia. Festeggeremo anche noi il 17 marzo, senza speciale solennità né entusiasmo. Vediamo perché. Festeggiamo quel giorno perché dall’Italia e dalla sua storia abbiamo ricevuto molto, in bene e in male, di ciò che siamo, e perché per il bene di questo nostro paese siamo da sempre impegnati. Senza troppa solennità, perché non è la più bella o la più importante delle date storiche nazionali. Del 17 marzo 1861 rimane la bandiera tricolore, che è anche nella Costituzione. Non c’è più il regno, né i Savoia, né terre «irredente», né leggi discriminanti tra italiani, né suffragio elettorale ristretto, né religione di stato. Grazie a Dio. Leggi il resto di questo articolo »

Questo è un estratto dell’appello che sarà letto oggi in Piazza del Popolo a Roma nella manifestazione “A difesa della Costituzione”

Da anni, lo sappiamo, la Costituzione è sotto attacco. Un attacco che, negli ultimi tempi, è divenuto sempre più diretto, violento, sfacciato. Le proposte di modifiche costituzionali riguardanti la giustizia ne sono l’ultima conferma. Per questo siamo qui, per contrastare una volta di più una voglia eversiva dei fondamenti della Repubblica. Sedici milioni di cittadini, ricordiamolo, hanno saputo difendere la Costituzione e i suoi principi il 25 e il 26 giugno 2008, votando contro la riforma costituzionale voluta dal centrodestra. Ma quella straordinaria giornata è stata troppo rapidamente archiviata. Da chi ha tratto un frettoloso sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. E da chi si era preoccupato di dire che la bocciatura di quella riforma non doveva pregiudicare la necessaria riforma costituzionale. Leggi il resto di questo articolo »

Dovrebbe esser ormai chiaro a tutti, anche a chi vorrebbe parlar d’altro e tapparsi le orecchie, anche a chi non vede l’enormità della vergogna che colpisce una delle massime cariche dello Stato, che una cosa è ormai del tutto improponibile: che il presidente del Consiglio resti dov’è senza neppure presentarsi al Tribunale, e che addirittura pretenda di candidarsi in future elezioni come premier. Molti lo pensano da tempo, da quando per evitare condanne il capo di Fininvest considerò la politica come un sotterfugio. Non un piano nobile dove si sale ma uno scantinato in cui si «scende», si traffica, ci si acquatta meglio. Leggi il resto di questo articolo »

Ma i disastri sono apocalittici. Strutture dello Stato stravolte e il popolo dei berluscones deciso a resistere per non perdere privilegi che immaginava eterni. Travestiti da cattolici o da liberali, adesso il pericolo sono loro.

La politica vive anche di simboli. Quelli che sono stati evocati da politici e giornalisti per rappresentare la fine del potere di Berlusconi, alludono tutti a delle catastrofi. Il discorso con cui a Bastia Umbra Fini ha chiesto le dimissioni del governo, è stato paragonato dai difensori del premier alla marcia su Roma: un colpo di Stato! I giornali che cercavano di descrivere la portata dell’evento, lo hanno paragonato al 25 luglio, quando solo la rivolta di ministri e gerarchi del duce poté provocare la fine del regime. Altri hanno assimilato il crollo del regime berlusconiano al 25 aprile, quando dopo la devastazione della guerra si dovette ricominciare tutto dalle macerie. Leggi il resto di questo articolo »

Alcuni “fantasisti della costituzione” immaginano e auspicano che, dalla situazione d’impasse politica che potrebbe nascere da un voto contraddittorio sulla fiducia al Governo espresso dalla Camera e dal Senato, si possa uscire semplicemente e immediatamente con lo scioglimento di quel ramo del Parlamento (nel nostro caso, la Camera dei Deputati) che ha votato la sfiducia. Ma la Costituzione dice tutt’altro. Purtroppo per il lettore, occorrono riferimenti tecnici. I seguenti. Secondo l’articolo 94, «il Governo deve avere la fiducia delle due Camere». Se la fiducia viene meno, anche solo in una delle due, deve dimettersi. L’obbligo è tassativo. Leggi il resto di questo articolo »

Il cambiamento della legge elettorale non è più ormai solo una questione di funzionamento o non funzionamento del sistema, e perfino nemmeno una questione di salvezza o perdita della democrazia. È la prima e forse l’unica cosa che oggi possiamo fare perché l’Italia non si chiuda a lungo termine nel sigillo di una società arrogante incolta e violenta, quale è stata costruita in questi ultimi vent’anni dai picconatori e dagli innovatori da Cossiga alla Bicamerale a Berlusconi. Il bipolarismo maggioritario che ha messo i figli contro i padri e i poveri contro gli stranieri, ha reso popolare una cultura che congiunge ignoranza e violenza, e che ormai esce perfino dai tombini della Metropolitana. Leggi il resto di questo articolo »

Dalle dichiarazioni che hanno accompagnato la prima approvazione del Lodo Alfano (che “lodo” non è perché non rappresenta un arbitrato super partes, ma l’espressione delle ragioni di una “parte”) apprendiamo che la “serenità” delle alte cariche della Repubblica è un bene meritevole di tutela costituzionale. Mentre basta guardare fuori casa (ad esempio negli Usa, dove i presidenti vanno sotto impeachment per avere avuto –negandoli – rapporti fugaci con le stagiste) per accorgersi che di tale serenità una democrazia normale non ha bisogno. Leggi il resto di questo articolo »


Cari Amici,
prima di tutto, come romano, vorrei salutare tutti quelli che oggi sono venuti qui a Roma: che non è un porcile, ma è la capitale d’Italia. Dunque i fratelli d’Italia che vengono nella capitale vengono a casa loro. E Roma accoglie tutti quelli che vengono da lei: non toglie le panchine per non farli sedere. E tutti rispetta perché, come diceva un antico Padre della Chiesa, “chi sta in Roma sa che gli Indi sono uniti con lui”. Roma ricorda quanto deve ai non romani. Nella sua memoria storica c’è che gli Apostoli, suoi Patroni, sono venuti dalla Palestina, erano extracomunitari, i bersaglieri a Porta Pia sono venuti dal Piemonte, gli americani alla Liberazione sono venuti dal mare, gli immigrati che l’hanno resa metropoli sono venuti dal Sud. Roma sa pure che molte volte dal Nord sono venuti i barbari. Ma non importa, perché ha civilizzato anche loro. Leggi il resto di questo articolo »

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