Articoli marcati con tag ‘decrescita’
di Serge Latouche
Il Passaparola di Serge Latouche, economista e filosofo francese. È uno degli animatori della Revue du MAUSS, presidente dell’associazione «La ligne d’horizon», è professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI e all’Institut d’études du developpement économique et social (IEDES) di Parigi.
“Siamo arrivati a un punto che non si può più continuare su questa strada! Tutti parlano di crisi è un po’ paradossale perché di crisi ne ho sentito sempre parlare dal ’68 quando c’era una crisi culturale, poi nel 1972 si parla, con il primo rapporto di Roma, di una crisi ecologica, poi con la controrivoluzione neoliberista di Margaret Thatcher e Reagan c’è la crisi sociale e ora la crisi finanziaria e la crisi economica dopo il crollo di Lehmann Brothers. Finalmente tutte queste crisi si mescolano e siamo di fronte a una crisi di civiltà, una crisi antropologica. A questo punto il sistema non è più riformabile, dobbiamo uscire da questo paradigma e qual è questo paradigma?
È il paradigma di una società di crescita. La nostra società è stata poco a poco fagocitata dall’economia fondata sulla crescita, non la crescita per soddisfare i bisogni che sarebbe una cosa bella, ma la crescita per la crescita e questo naturalmente porta alla distruzione del pianeta perché una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito. Leggi il resto di questo articolo »
Cosa sarebbe successo, in epoca preindustriale, se su un campo dove lavoravano e si mantenevano dieci persone si fossero accorti che otto erano sufficienti a coltivarlo tutto? Avrebbero cacciato i due ‘in esubero’ a pedate? Nient’affatto, si sarebbero diminuiti proporzionalmente i carichi di lavoro e il tempo così guadagnato se lo sarebbero andati a spendere in taverna, a giocare a birilli, a corteggiare la futura sposa o a cornificare, fra i cespugli, quella che avevano. Perché per quegli uomini il vero valore era il tempo, che noi abbiamo trasformato nel mostruoso ‘tempo libero’, un tempo non da vivere ma da consumare altrimenti le imprese vanno a rotoli. Anche l’artigiano lavora per quanto gli basta. Il resto è vita. Leggi il resto di questo articolo »
intervista a Alain Caillé, a cura di Olivier Nouaillas
Di fronte alle quattro crisi – morale, politica, economica ed ecologica – che minacciano l’umanità, 64 intellettuali venuti dall’altermondialismo, dall’ecologia e dal cristianesimo sociale, propongono un “Manifesto convivialista”. Intervista al suo catalizzatore, il sociologo Alain Caillé.
“Mai l’umanità ha avuto a disposizione tante risorse materiali e tante competenze tecniche e scientifiche (…). Eppure nessuno può credere che questo accumulo di potenza possa proseguire all’infinito, tale quale, in una logica di progresso tecnico immutato, senza ribaltarsi contro se stessa e senza minacciare la sopravvivenza fisica e morale dell’umanità”.
Così iniziano le prime frasi del “Manifesto convivialista”, un libretto di una quarantina di pagine, ma intellettualmente molto ambizioso, ed espressione di una sensazione di urgenza. All’origine troviamo la volontà di Alain Caillé, sociologo fondatore del MAUSS (Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali), che è riuscito a far lavorare insieme 64 ricercatori e professori universitari venuti da tutte le parti del mondo, di sensibilità altermondialista, ecologista o provenienti dal cristianesimo sociale (Edgar Morin, Susan George, Patrick Viveret, Serge Latouche, Elena Lassida, Jean-Baptiste de Foucauld, Jean Pierre Dupuy, Jean Claude Guillebaud…). Il risultato è l’elaborazione di un nuovo “fondo” dottrinale filosofico, il convivialismo, incaricato di rispondere alle quattro grandi crisi – morale, politica, economica ed ecologica – che stanno vivendo le nostre società all’inizio del XXI secolo. Prima della sua presentazione in una conferenza stampa prevista a Parigi per il 19 giugno, Alain Caillé, in anteprima, ha accettato di commentarne per noi le grandi linee in una lunga intervista concessa a La Vie, a casa sua, in un appartamento pieno di libri a due passi dalla stazione Montparnasse. Leggi il resto di questo articolo »
La crisi che da anni ormai ha invaso l’Occidente e minaccia addirittura di portare il nostro Paese al tracollo impone una riflessione su tutto il sistema di vita. Perché non è solo crisi di produttività, ma anche di valori e azzanna non solo il lavoro, ma anche la salute, l’ambiente, i rapporti sociali. L’esempio dell’Ilva di Taranto è emblematico. La fabbrica d’acciaio dà lavoro a decine di migliaia di lavoratori, ma diffonde nell’aria sostanza cancerogene che minano la salute dei lavoratori stessi e delle famiglie dell’intera zona. Richieste sacrosante quelle della salute, ma altrettanto lo sono quelle del lavoro. Contraddizioni che spetta all’organizzazione del lavoro e alla politica di conciliare. Gli esempi si moltiplicano e si accavallano anche le contraddizioni. Leggi il resto di questo articolo »
Viviamo in una società della crescita. Cioè in una società dominata da un’economia che tende a lasciarsi assorbire dalla crescita fine a se stessa, obiettivo primordiale, se non unico, della vita. Proprio per questo la società del consumo è l’esito scontato di un mondo fondato su una tripla assenza di limite: nella produzione e dunque nel prelievo delle risorse rinnovabili e non rinnovabili, nella creazione di bisogni – e dunque di prodotti superflui e rifiuti – e nell’emissione di scorie e inquinamento (dell’aria, della terra e dell’acqua). Il cuore antropologico della società della crescita diventa allora la dipendenza dei suoi membri dal consumo. Il fenomeno si spiega da una parte con la logica stessa del sistema e dall’altra con uno strumento privilegiato della colonizzazione dell’immaginario, la pubblicità. E trova una spiegazione psicologica nel gioco del bisogno e del desiderio. Per usare una metafora siamo diventati dei «tossicodipendenti » della crescita. Che ha molte forme, visto che alla bulimia dell’acquisto – siamo tutti «turboconsumatori » – corrisponde il workaholism, la dipendenza dal lavoro.
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Marino Niola intervista Serge Latouche.
«Un certo modello di società dei consumi è finito. Ormai l’unica via all’abbondanza è la frugalità, perché permette di soddisfare tutti i bisogni senza creare povertà e infelicità». E’ la tesi provocatoria di Serge Latouche, professore emerito di scienze economiche all’Università di Paris Sud, universalmente noto come il profeta della decrescita felice. Il paladino del nuovo pensiero critico che non fa sconti né a destra né a sinistra sarà a Napoli (dal 16 al 20 gennaio), ospite della Fics (Federazione Internazionale Città Sociale) e protagonista del convegno internazionale “Pensare diversa-mente. Per un’ecologia della civiltà planetaria” organizzato dal Polo delle Scienze Umane dell’Università Federico II. Il tour italiano dell’economista eretico coincide con l’uscita del suo nuovo libro Per un’abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita (Bollati Boringhieri). Un’accesa requisitoria contro l’illusione dello sviluppo infinito. Contro la catastrofe prodotta dalla bulimia consumistica. Leggi il resto di questo articolo »