Articoli marcati con tag ‘democrazia’

Sarebbe stata una buona idea mantenere il sangue freddo davanti a Berlusconi, il giorno che a Milano ha parlato del fascismo, e chiedergli come mai Mussolini avesse «per tanti versi fatto bene», eccettuate le leggi razziali. Fece bene quando uccise Matteotti, incarcerò gli oppositori? Quando inviò l’esercito in Etiopia, ordinandogli di usare i gas asfissianti a scopo di sterminio? Quando entrò in guerra accanto a Hitler, e non per evitare una vittoria tedesca troppo vasta ma convinto da sempre che urgeva vendicare l’oltraggio del ’14-18? Oppure fece bene perché seppe governare accentrando tutti i poteri, reintroducendo la pena di morte, soggiogando l’amministrazione della giustizia? Quando si incontra un politico provocatore, che consapevolmente sceglie il giorno in cui si ricorda la Shoah per inquinare il consenso antifascista da cui è scaturita la Costituzione, è sempre la seconda domanda quella che conta, che aiuta a capire, e la seconda domanda purtroppo è mancata. Leggi il resto di questo articolo »

In Libia nel 2011, i francesi, gli inglesi e gli americani intervennero a sostegno dei ribelli contro Gheddafi con il quale, peraltro, avevano fornicato fino a pochi mesi prima. Non furono i ribelli a rivendicarsi in libertà, gliela regalò la superpotenza dell’Occidente con i suoi caccia, i bombardieri, gli aerei-robot (droni) la sua tecnologia. In Mali sta avvenendo il contrario. I francesi, con l’appoggio logistico degli inglesi e degli americani, intervengono a favore del governo di Bamako contro i ribelli islamici che, con l’appoggio della maggioranza della popolazione (l’80 % è di religione musulmana) da qualche anno hanno preso il potere del Mali del Nord fondando uno Stato indipendente che dal maggio 2012 ha una sua capitale, Gao. Adesso, con l’aiuto degli alleati Tuareg, puntano su Bamako per unificare il Paese sotto la legge della Sharia. Leggi il resto di questo articolo »

Qui ad Atene noi facciamo così. Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi per questo è detto democrazia. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private. Ma in nessun caso si occupa delle pubbliche faccende per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così, ci è stato insegnato a rispettare i magistrati e c’è stato insegnato a rispettare le leggi, anche quelle leggi non scritte la cui sanzione risiede soltanto nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di buon senso. La nostra città è aperta ed è per questo che noi non cacciamo mai uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così.

Pericle, 450 a. C. circa

Democrazia: non essendosi potuto fare in modo che quel che e’ giusto fosse forte, si e’ fatto in modo che quel che e’ forte fosse giusto.

Blaise Pascal, XVII secolo

Democrazia: Sistema che ci garantisce che non siamo governati meglio di quanto ci meritiamo.

G.Bernard Shaw, XX secolo

 

Il 1 gennaio del 2003 muore a Montemagno (Lucca)

GIORGIO GABER

C’era un cantante che cantava chiaro e libero il suo pensiero. Un cantante scomodo, disturbatore della quiete grigia dell’uomo medio e mediocre. Un cantante che faceva pensare a come eravamo ridotti dopo anni di consumismo becero e di banalità e, quindi, a come erano ridotte la società, la politica, la libertà, la democrazia. Perchè una “democrazia” non può essere migliore degli uomini che la compongono. Leggi il resto di questo articolo »

18 giugno 2013
21:00a23:00

VEDI: 10 giugno 2012. Le macerie del Gianicolo,

2 giugno 2012. Garibaldi sul Gianicolo.,

16 giugno 2011. L’eredità del Gianicolo,

19/26 giugno 2011. Su quella strada,

9 febbraio 2012. La Repubblica Romana 163 anni dopo...,

Il lettore di questo giornale sa che sono un suo collaboratore con una rubrica settimanale e con qualche altra rapsodica «incursione» che mi viene richiesta di tanto in tanto. Spesso approfitto dello spazio concessomi per scrivere di Medioriente e specificamente di conflitto israelo-palestinese (fatto). Ogni volta che, sulla dolorosa questione, esprimo le mie idee strettamente personali e, ribadisco «strettamente personali» perché non rappresento nessuno, piovono contro di me le accuse di ebreo antisemita, nemico del popolo ebraico o traditore (opinioni). Questo avviene tramite mail, post e dichiarazioni su vari blog e siti inviatimi da fanatici, farabutti o sbroccati di varia risma (opinione). Alcune persone, sia amici che detrattori, ritengono che ciò che dico e penso, anche a causa della passione partecipante con cui mi esprimo, abbia un’influenza rilevante a causa della mia notorietà e che quindi dovrei essere cauto (opinione). Io sostengo invece che ogni essere umano, in democrazia, sia libero di esprimere come meglio crede le sue idee (opinione) e se coloro che non le condividono o vi si oppongono ravvisano nei suoi discorsi i reati di istigazione all’odio o al razzismo, possono rivolgersi all’Autorità giudiziaria per denunciarlo (fatto) in luogo di spargere vigliaccamente ripugnanti accuse protetti dalla libertà della rete (fatto). Leggi il resto di questo articolo »

Dopo il collasso del contraltare sovietico le Democrazie, Stati Uniti in testa, hanno inanellato, in vent’anni, otto guerre di aggressione. La “guerra democratica” non si dichiara, ma si fa, con cattiva coscienza, chiamandola con altri nomi. Col grimaldello dei “diritti umani” si è scardinato il diritto internazionale sul presupposto che l’Occidente, in quanto cultura superiore (moderna declinazione del razzismo), portatore di valori universali, i suoi, ha il dovere morale di intervenire ovunque ritenga siano violati. Il nemico, allora, non è più, schmittianamente, uno “justus hostis“, ma solo e sempre un criminale. Essenzialmente tecnologica, sistemica, digitale, condotta con macchine e robot, la “guerra democratica” evita accuratamente il combattimento, che della guerra è l’essenza, perdendo così, oltre a ogni epica, ogni dignità, ogni legittimità, ogni etica e persino ogni estetica. Un libro di grande importanza per capire quale tipo di democrazia vige in Occidente e in Italia e per prendere posizione contro le “false guerre umanitarie”.

di   Massimo Fini,   ed. Chiarelettere  2012,   € 14,90

“Le democrazie fanno le guerra. Da quando è caduta l’Unione Sovietica ne hanno inanellate otto di cui forse solo la prima n aveva una qualche giustificazione, ovvero il primo conflitto del Golfo. Le altre sono sette guerre di aggressione. Però la caratteristica della guerra democratica è che non la si dichiara, ma la si fa. La si chiama con altri nomi: operazioni di peacekeeping, operazione umanitaria, difesa dei diritti umani. Ma sono guerre a tutti gli effetti …

Gli Occidentali credono non tanto nella democrazia ma nel loro modello di sviluppo. Pensano che sia il migliore dei mondi possibili e di avere il diritto e il dovere di andare a insegnarlo agli altri popoli. Ma il totalitarismo occidentale è tanto pericoloso perché in certa misura è inconscio. L’ho chiamato “il vizio oscuro dell’Occidente”, ovvero il credere di essere democratico ed essere invece totalitario.”

Massimo Fini, 2012

vedi:   La balla della lotta al terrorismo

Francia: almeno smettiamola con le chiacchiere

10 febbraio 2013
17:00a20:00

 

vedi:

vedi: 6 marzo 2011. Una Repubblica e l’Italia in un albergo.

6-13 febbraio 2011. Una settimana repubblicana.

 

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30 MILIARDI, NONOSTANTE LA CRISI
E’ quanto spende l’Italia per le armi e le Forze Armate nel 2012

Presentato il Dossier 2012 di Sbilanciamoci!

Oggi ( 4 giugno 2012) a Roma è stato presentato, in concomitanza con il lancio mondiale del SIPRI Yearbook Economia a mano armata, il dossier della Campagna Sbilanciamoci! sulle spese militari.

Interventi di Giulio Marcon, portavoce della campagna e Massimo Paolicelli, di Sbilanciamoci hanno presentato il libro bianco che analizza le spese militari sotto molteplici aspetti: dagli sprechi pubblici alla riconversione dell’industria militare, dall’esemplare caso Finmeccanica al commercio internazionale di armamenti, dalle missioni italiane all’estero ai rapporti tra crisi economica e spesa militare, senza tralasciare la dubbia utilità di alcuni sistemi d’arma come gli F35 e la relativa campagna di pressione “Taglia le ali alle armi” volta alla cancellazione della costruzione dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter. Nel corso dell’incontro sono intervenuti anche il Senatore F. Ferrante, R. Troisi, della Rete Disarmo, Alessandra Mecozzi della FIOM, A. Nicotra. Leggi il resto di questo articolo »

Questa è la lettera che Lelio Basso (1903- 1978) - uno dei padri della Costituzione italiana- scrisse all’allora ministro della Difesa Arnaldo Forlani che decise di sospendere la parata militare del 2 giugno 1976 dopo il terremoto che sconvolse il Friuli.

Lelio Basso

Sono personalmente grato al ministro Forlani per avere deciso la sospensione della parata militare del 2 giugno, e naturalmente mi auguro che la sospensione diventi una soppressione. Non avevo mai capito, infatti, perché si dovesse celebrare la festa nazionale del 2 giugno con una parata militare. Che lo si facesse per la festa nazionale del 4 novembre aveva ancora un senso: il 4 novembre era la data di una battaglia che aveva chiuso vittoriosamente la prima guerra mondiale. Ma il 2 giugno fu una vittoria politica, la vittoria della coscienza civile e democratica del popolo sulle forze monarchiche e sui loro alleati: il clericalismo, il fascismo, la classe privilegiata. Perché avrebbe dovuto il popolo riconoscersi in quella sfilata di uomini armati e di mezzi militari che non avevano nulla di popolare e costituivano anzi un corpo separato, in netta contrapposizione con lo spirito della democrazia? Leggi il resto di questo articolo »

Ci abituiamo talmente presto ai luoghi comuni che non ne vediamo più le perversità, e li ripetiamo macchinalmente quasi fossero verità inconfutabili: la loro funzione, del resto, è di metterti in riga. Il pericolo di divenire come la Grecia, per esempio: è una parola d´ordine ormai, e ci trasforma tutti in storditi spettatori di un rito penitenziale, dove s’uccide il capro per il bene collettivo. Il diverso, il difforme, non ha spazio nella nostra pòlis, e se le nuove elezioni che sono state convocate non produrranno la maggioranza voluta dai partner, il destino ellenico è segnato. Lo sguardo di chi pronuncia la terribile minaccia azzittisce ogni obiezione, divide il mondo fra Noi e Loro. Quante volte abbiamo sentito i governanti insinuare, tenebrosi: «Non vorrai, vero?, far la fine della Grecia»? La copertina del settimanale Spiegel condensa il rito castigatore in un’immagine, ed ecco il Partenone sgretolarsi, ecco Atene invitata a scomparire dalla nostra vista invece di divenire nostro comune problema, da risolvere insieme come accade nelle vere pòlis. Leggi il resto di questo articolo »

Succede che lo 0,5% della popolazione mondiale detiene 69 trilioni di dollari mentre il 68% dispone solo di 8 trilioni.

La voglia di dimostrare con la forza della ragione e il rigore dei numeri che ci si può sempre opporre a tutti i conformismi. Un saggio di Luciano Gallino illustra le conseguenze economiche di un sistema creato dai più ricchi e che ha elevato la diseguaglianza a ideale di sviluppo. L´unico antidoto è il cuore dell´Europa: lo stato sociale.

Nel 1974, quando uscì la prima edizione del Saggio sulle classi sociali, avevo dodici anni. Un ragazzino, in effetti. Ma sei anni dopo, già sufficientemente affamato di politica, trasformai quel libro straordinario di Paolo Sylos Labini nella mia Bibbia. Me lo consigliò il professore di storia e filosofia che mi preparava all´esame di maturità: «Lo devi leggere assolutamente, se vuoi capire qualcosa della società italiana». Aveva ragione. Sono passati quasi trent´anni. Ho perso le tracce di quel professore. E quel grande economista di Sylos Labini purtroppo non c´è più. Ma appena ho finito di leggere l´ultimo libro-intervista di Luciano Gallino (La lotta di classe-Dopo la lotta di classe, scritto insieme a Paola Borgna per Laterza) mi è tornato subito in mente il vecchio Saggio sulle classi sociali, che tanto ha spiegato dell´Italia più profonda, tra fascismo e Prima Repubblica. Leggi il resto di questo articolo »

Il leggero, ma regolare, incremento della elevata secolarizzazione della nostra società fa apparire la realtà italiana del tutto analoga a quella dei Paesi dell’Europa occidentale. Vari studi sociologici recenti, mettendo in discussione il «classico» paradigma della secolarizzazione come esito inarrestabile dei processi di modernizzazione, vedono nella realtà europea un’eccezione rispetto al trend che sembra invece caratterizzare, con una varietà di fenomeni, le Americhe, l’Africa e l’Asia, dove sembra invece affermarsi una tendenza alla «desecolarizzazione». Al di fuori dell’Europa, le religioni sono in ripresa sui piani del believing, behaving e belonging, cioè della fede abbracciata e personalmente affermata, del comportamento convinto e del senso di appartenenza.  In queste brevi riflessioni ispirate al VII Rapporto sulla secolarizzazione pubblicato da Critica liberale, voglio però soffermarmi su un altro aspetto.

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Il 9 febbraio del 1849 venne inaugurata, al Campidoglio, la Repubblica Romana.

Un’esperienza straordinaria di democrazia, laicità e partecipazione popolare che sarà difesa, mesi dopo, con grande coraggio e immensi sacrifici. Un’evento fondamentale per il Risorgimento Italiano e per la storia dell’Europa da cui ancora, l’Italia di oggi e  tutti noi, dobbiamo trarre esempio e forza per la nostra resistenza democratica e civile.

W LA REPUBBLICA ROMANA !! Leggi il resto di questo articolo »

7 idee che non dobbiamo più accettare.

Giorgio Bocca è morto il 25 dicembre del 2011 a Milano, all’età di novantuno anni. Scrittore tra i più noti, intellettuale, giornalista lucido e originale, sempre attento e deciso a far sentire la sua opinione, mai condizionata dai tempi e dalle circostanze.  “Grazie, no! “, come una specie di testamento spirituale dell’Autore,  esprime la visione libera e incondizionata che Giorgio Bocca ha sempre avuto della società , un’analisi della nostra epoca caratterizzata da una crisi senza precedenti, per dire, appunto, “grazie, no” a tutto ciò che è sbagliato, a tutto ciò che non ci aiuta a migliorare, a tutto ciò che ha peggiorato la nostra vita. Partendo dalla premessa che oggi, in Italia, non viene messo quasi più nulla in discussione, ma spesso molte idee, molti accadimenti, che dovrebbero indignarci, vengono accettati come se fossero normali, Bocca vuole spronare il popolo italiano a superare i fenomeni negativi come la degenerazione dei costumi, la corruzione, la manipolazione delle idee. L’autore elenca sette punti da contestare, argomenti che riguardano tematiche diverse, ma accomunati dal fatto che rappresentano tutti un serio problema con gravi conseguenze per il nostro Paese. Ogni capitolo del saggio, dunque, parla di un tema a sé: il nuovo dio, la lingua impura, la produttività, il dominio della finanza, la corruzione generale, la fine del giornalismo, l’Italia senza speranza. “Grazie, no! ” è un vero è proprio invito alla riflessione sulla realtà dei nostri giorni e vuole essere un’esortazione, per ognuno di noi, a non rassegnarsi a tutto quello che accade, stando a guardare indifferenti, e uno stimolo a far sentire la propria voce per opporsi a ciò che non è, evidentemente, giusto.

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6 settembre 2012
21:00a23:00

A CAUSA DELLE POSSIBILI PIOGGE L’INCONTRO PREVISTO PER MERCOLEDI 5 SETTEMBRE E’ SPOSTATO A GIOVEDI 6 SETTEMBRE.

 

vedi: La Resistenza da difendere

LETTERE DEI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA ITALIANA. 8 settembre 1943- 25 aprile 1945

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A livello politico, la corruzione è la deviazione del potere dalle finalità che gli vengono assegnate dalla civiltà moderna. Che consistono nell’amministrare impersonalmente e imparzialmente, e nel riconoscere e tutelare i diritti individuali e collettivi in un contesto di legalità, di certezza, di uguaglianza, di prevedibilità. C’è corruzione quando un apparato pubblico (una burocrazia) accetta o sollecita per sé benefici, in denaro o d’altra natura. Benefici solo in cambio dei quali soddisfa alcuni bisogni sociali – non tutti, ma solo quelli dei corruttori –; ma questa è appunto una deviazione sostanziale del potere dal proprio orizzonte pubblico. La corruzione rende il potere parziale e ingiusto perché favorisce qualcuno (chi è in grado di corrompere prima e meglio) a danno di tutti coloro che hanno diritto a una prestazione pubblica, o a vedere riconosciuto un diritto, un merito. Leggi il resto di questo articolo »

Un aspetto impressionante, nella crisi che traversiamo, è l’impreparazione dei popoli. Non è l’impreparazione di chi si sente riparato. La crisi, inasprendo ineguaglianze divenute smisurate lungo gli anni, pesa sui popoli da tempo. Ma questa volta gli animi sono impauriti, disorientati, come se mancasse loro una bussola che indichi dove sta, veramente, il Nord. Nei Paesi più colpiti, come la Grecia, la disperazione può sfociare in guerra civile: come può sdebitarsi una nazione così sprofondata nella recessione, senza sfasciarsi? Nei Paesi che stanno meglio, come la Germania, cresce un isolazionismo antieuropeo non meno intirizzito. In Italia il disorientamento è diverso: la democrazia è talmente guastata, il legame sociale talmente liso, l’opinione talmente disinformata, che ciascuno scorge nella crisi qualcosa che concerne gli altri, mai se stesso. Leggi il resto di questo articolo »

All’epoca dell’Illuminismo, di Bacone, Cartesio o Hegel, in nessun luogo della terra il livello di vita era più che doppio rispetto a quello delle aree più povere. Oggi il paese più ricco, il Qatar, vanta un reddito pro capite 428 volte maggiore di quello del paese più povero, lo Zimbabwe. E si tratta, non dimentichiamolo, di paragoni tra valori medi, che ricordano la proverbiale statistica dei due polli. Il tenace persistere della povertà su un pianeta travagliato dal fondamentalismo della crescita economica è più che sufficiente a costringere le persone ragionevoli a fare una pausa di riflessione sulle vittime collaterali dell’«andamento delle operazioni». L’abisso sempre più profondo che separa chi è povero e senza prospettive dal mondo opulento, ottimista e rumoroso – un abisso già oggi superabile solo dagli arrampicatori più energici e privi di scrupoli – è un’altra evidente ragione di grande preoccupazione. Come avvertono gli autori dell’articolo citato, se l’armamentario sempre più raro, scarso e inaccessibile che occorre per sopravvivere e condurre una vita accettabile diverrà oggetto di uno scontro all’ultimo sangue tra chi ne è abbondantemente provvisto e gli indigenti abbandonati a se stessi, la principale vittima della crescente disuguaglianza sarà la democrazia.

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Giovedì, in una discussione su La7 che ha fatto seguito al film di Roberto Faenza e Filippo Macelloni, “Silvio Forever“, il direttore del Foglio ha detto una cosa importante. Ha detto che, grazie agli anni che portano l’impronta di Berlusconi, l’Italia avrebbe vissuto una «liberazione psicologica». Si è sbarazzata di vecchie incrostazioni moraliste, di una democrazia con troppe regole, di tendenze micragnose, formalistiche. L’ora dei consuntivi sta arrivando, e nella valutazione dei diciassette anni passati c’è anche questo giudizio sull’avventura berlusconiana, imperturbabilmente positivo: quali che siano i loro esiti, vi sono fenomeni grandiosamente anomali che fanno magnifica la storia, in Italia e altrove.È significativo che negli stessi giorni si celebri il decimo anniversario dell’11 settembre, perché anche qui fu un fenomeno prodigiosamente anomalo a trasfigurare la storia. Leggi il resto di questo articolo »

Il presidente Napolitano ha detto una cosa essenziale, domenica a Rimini, e niente affatto ovvia: che nella crisi che traversiamo il linguaggio di verità è un´arma fondamentale. E che se la politica sta fallendo è perché quest´arma l´ha volontariamente ignorata per anni. Per questo siamo «immersi in un angoscioso presente, nell´ansia del giorno dopo»: un popolo tenuto nel buio non vede che buio. A destra la crisi è stata minimizzata, sdrammatizzata, spezzando nell´animo degli italiani la capacità di guardarla in faccia con coraggio e intelligenza. Prioritario era difendere, a ogni costo, l´operato del governo: «anche attraverso semplificazioni propagandistiche e comparazioni consolatorie su scala europea». Ma la sinistra non è meno responsabile: nella battaglia contro Berlusconi non c´era spazio per l´analisi della crisi, delle mutazioni che impone, dei privilegi che mette in questione. Leggi il resto di questo articolo »

Il concetto di populismo non è a mio giudizio in grado di interpretare in modo adeguato la vicenda italiana degli ultimi venti anni e, in modo specifico, le posizioni di cui è stato massimo artefice e protagonista Silvio Berlusconi. Quello su cui i classici insistono quando si parla del popolo è la dimensione della totalità, del tutto sulle parti, della comunità sugli individui. (…) Berlusconi non si è mai mosso in una prospettiva comunitaria e organicistica, cioè populistica (come invece ha fatto, almeno in parte, Bossi); ma, anzi, ha accentuato – fino a stravolgerli in senso dispotico – il carattere e la dimensione strutturalmente individualistica della «democrazia dei moderni». Con il suo messaggio ha proposto, e fatto diventare modello di vita e senso comune, una sorta di bellum omnium contra omnes; per riprendere la distinzione di Hobbes, ha sostenuto, e anche realizzato, una regressione dalla «società politica» alla «società naturale». Da questo punto di vista, rispetto al movimento della società moderna, e al significato in esso assunto appunto dalla politica, Berlusconi si è mosso come il granchio: è retrocesso dalla storia alla natura; dalla legge al primato degli spiriti animali. Leggi il resto di questo articolo »

Seguendo il caso Murdoch è difficile non pensare all’Italia di Berlusconi ma anche agli Stati Uniti dove Murdoch è forte come in Inghilterra se non di più. Il Murdochgate è una prova ulteriore (se ce ne fosse bisogno) che il berlusconismo non è semplicemente un’anomalia italiana, bensì frutto di un fenomeno internazionale molto diffuso. I paralleli con il caso Berlusconi sono tanti: rapporti malsani tra politica e media, il potere del tutto sproporzionato in mano ad un solo uomo, in grado di fare e disfare leader politici, di creare scandali e farli scomparire. L’hacking delle segreterie telefoniche rassomiglia ad alcuni casi italiani: il caso Telecom, con l’uso illegale dei tabulati telefonici di migliaia di persone, il caso Boffo, in cui un giornalista che critica Berlusconi viene massacrato sulla stampa berlusconiana, perfino l’attuale caso della P4 e il caso Milanese, con l’ombra dell’uso improprio della Guardia di Finanza. Leggi il resto di questo articolo »

MANIFESTO PER UNA VITA CONVIVIALE. CAILLE’: UNA NUOVA ETICA FONDATA SUI BENI COMUNI

Intervista di Marino Niola

Siamo in piena decivilizzazione. E Si fa sempre più forte per molti uomini e donne del pianeta la tentazione di un ritorno allo stato di natura, cioè a una condi­zione barbarica dove tutti sono in guerra contro tutti. A dirlo e il cele­bre sociologo francese Alain Caillé, autore del Manifesto del conviviali­smo e fondatore, insieme a Serge Latouche e Jacques Godebout del MAUSS, il Movimento Anti-Utili­tarista nelle Scienze Sociali, ispira­to all’antropologo Marcel Mauss, l’autore del Saggio sul dono, un te­sto che ha cambiato la storia delle scienze dell’uomo. E che ha guada­gnato ai tre paladini dell’economia gentile e della decrescita felice l’ ap­pellativo di tre mauss-chettieri. Leggi il resto di questo articolo »

La questione dei beni comuni è la cartina di tornasole dello stato di salute di una demo­crazia. Dove non c’è altra legge al di fuori di quella del mercato non c’è posto per i beni comuni, quei beni condivisi che appartengono all’u­manità. (…) L’idea neoliberista che il mo­vente essenziale dell’essere umano sia solo quello di massimizzare pia­ceri, comfort e proprietà, in una pa­rola utilità, è ideologia pura, con­traddetta dai fatti. L’ homo non è solo oeconomicus e le relazioni tra in­dividui non sono solo mercantili. (…) Oggi una delle reazioni alle di­seguaglianze economiche è pro­prio quella di scambi gratuiti e di servizi pubblici. Ma solo la costru­zione di una nuova etica può ren­dere possibile la società del Convi­vialismo. Una passione quasi reli­giosa, uno slancio delle coscienze come quelli che stavano dietro la nascita del liberalismo o del socialismo. Senza sogni collettivi e grandi ideali il nuovo non avanza.

Alain Caillé, fondatore, assieme a Serge Latouche, del MAUSS, il movimento antiutilitarista

È meglio servire o essere liberi? La domanda sembrerebbe oziosa: un’intera tradizione delle culture occidentali ha risposto con le parole di Amleto: meglio morire che sopportare l’oppressione dei tiranni e l’insolenza del potere. Ma la realtà storica e politica parla una lingua diversa: quella della corsa a precipizio dei popoli verso la servitù – la “servitù volontaria”: avere posto al centro del suo Discorso sulla servitù volontaria (Chiarelettere) proprio questa espressione è il principale, quasi unico titolo di gloria di Étienne de La Boétie, quello che fa tornare di tempo in tempo in libreria il suo scritto dopo la prima edizione postuma e anonima che vide la luce nella Francia delle guerre di religione. Allora il potere monarchico era in crisi, la furia dell’intolleranza religiosa scuoteva i troni e il pugnale dei tirannicidi minacciava la vita dei re. Ma anche se il libretto di Étienne de La Boétie fu edito in un contesto tanto agitato e violento con un titolo di battaglia – Contr’un –, si sbaglierebbe a definirlo un testo rivoluzionario. Leggi il resto di questo articolo »

Oggi, 2 giugno, potrà essere ricordato come la data che segna l’inizio di una rinascita morale e civile della nostra Repubblica. Repubblica, lo ricordo a chi l’ha dimenticato o a chi non lo ha mai capito, non vuol dire soltanto che la sovranità appartiene al popolo e non ad un re, ma anche governo della legge, virtù civile, disprezzo per le corti, intransigenza nella difesa della libertà comune, amore per la propria città. Il voto dei cittadini italiani ha testimoniato, in realtà fra loro assai diverse come Milano e Napoli o Trieste e Cagliari, adesione a questi principi. Sia Pisapia che De Magistris sono stati fin dall’inizio fermi sostenitori dell’idea che le leggi devono valere per tutti e che la Costituzione, legge fondamentale dello Stato, deve essere rispettata soprattutto da chi governa e da chi ha il potere legislativo. A dare esempio di virtù civile ci hanno pensato i cittadini in forme e modi tali da sorprendere tutti coloro che pensavano (e probabilmente continueranno a pensare) che gli Italiani sono, per varie ragioni, incapaci di forti passioni civili. Leggi il resto di questo articolo »

Pubblichiamo parte dell’introduzione al libro di Diritti e libertà nella storia d’Italia in uscita in
questi giorni per l’editore Donzelli.

Libertà e diritti sono iscritti in testa alle costituzioni. La storia di ieri e di oggi, tuttavia, ci parla di sospensioni delle garanzie costituzionali, di ragion di Stato e di emergenze che giustificano la limitazione o la cancellazione di diritti fondamentali, di pieni poteri concessi ai governi, di tentativi continui di considerare le libertà riconosciute «eccessive» rispetto a esigenze di controllo sociale o di sviluppo economico. La lotta per i diritti non può mai concedersi appagamenti, pause o distrazioni. L’esperienza del Novecento ci ha poi mostrato come la sola proclamazione costituzionale di libertà e diritti possa risolversi in un inganno, in un’inesistente barriera contro l’oppressione. Seguendo la traccia delle costituzioni dei paesi a “democrazia socialista”, a cominciare da quella sovietica del 1925, ci si avvede agevolmente dello scarto enorme – e crescente, via via che si consolidavano le logiche autoritarie – tra altisonanti promesse di diritti e pratiche oppressive d’ogni libertà individuale e collettiva. Leggi il resto di questo articolo »

Sono andate nella stessa direzione. Nella Seconda Repubblica mafia e politica hanno realizzato una convergenza che oggi presenta al Paese il suo conto salatissimo. Una narrazione inedita degli ultimi vent’anni di storia italiana, che non fa sconti a nessuno. La storia della svolta e della duplice trattativa con Cosa nostra. Del papello di Totò Riina che arriva in parlamento. Della abdicazione della sinistra che fa le leggi che servono alla mafia e dell’assalto della destra, che alla mafia offre invece il regalo più grande, la dissoluzione del senso dello Stato. Leggi il resto di questo articolo »

Quando Obama vinse le elezioni, nel 2008, furono molti a esser convinti che una grande trasformazione fosse possibile, che con lui avremmo cominciato a capire meglio, e ad affrontare, un malessere delle democrazie che non è solo economico. La convinzione era forte in America e in Europa, nelle sinistre e in numerosi liberali. La crisi finanziaria iniziata nel 2007 sembrava aver aperto gli occhi, preparandoli a riconoscere la verità: il capitalismo non falliva. Ma uno scandaloso squilibrio si era creato lungo i decenni fra Stato e mercato. Il primo si era ristretto, il secondo si era dilatato nel più caotico e iniquo dei modi. Lo Stato ne usciva spezzato, screditato: da ricostruire, come dopo una guerra mondiale. Le parole di Obama sulla convivenza tra culture e sulla riforma sanitaria annunciavano proprio questo: il ritorno dello Stato, nella qualità di riordinatore di un mercato impazzito, di garante di un bene pubblico minacciato da interessi privati lungamente dediti alla cultura dell’illegalità. Leggi il resto di questo articolo »

Due mesi prima della marcia su Roma, l´8 agosto 1922, Luigi Einaudi prese la penna e disse quel che andava detto nelle ultime ore della democrazia. Disse alcune cose semplici, profetiche: che «è più facile sperare di risolvere con mezzi rapidi ed energici un problema complesso, che risolverlo in effetto». Che l´idea di sostituire il politico con uomini provenienti dalle industrie, dalla «vita vissuta», è favola perniciosa. Leggi il resto di questo articolo »

Neppure l’oppositore più prevenuto avrebbe potuto attribuire a Berlusconi le parole che ha realmente pronunciato presentando il suo progetto sulla giustizia: con questa legge – ha detto – non vi sarebbero mai state le indagini di Mani pulite. In altri termini, non sarebbe mai stato rivelato ai cittadini il degrado etico-politico che ha portato all’agonia e al tracollo della “Prima Repubblica”. Il premier ha aggiunto: desidero questa legge dal 1994. Cioè dal momento in cui il suo populismo antipolitico ha potuto affermarsi sulle macerie di un sistema partitico minato dalla corruzione e incapace di rinnovarsi. Perché Berlusconi ha voluto e potuto proclamare ad altissima voce opinioni e propositi che anni fa sarebbero stati vissuti dal sentire comune del Paese come un vero e indecente vulnus? Perché, anche, ha fatto una dichiarazione di guerra così aperta alla magistratura e alla Costituzione proprio alla vigilia di processi che ha tentato di evitare in tutti i modi e con tutti i lodi possibili, entrando in ripetuto conflitto con la Corte Costituzionale e con la Presidenza della Repubblica (con Ciampi prima, e con Napolitano poi)? Leggi il resto di questo articolo »

Intervista a Gustavo Zagrebelsky     a cura di Jean-Jacques Peyronel e Luca Maria Negro

È d’accordo nel considerare il 17 febbraio 1848 come una tappa fondamentale della lunga battaglia per la libertà di coscienza in Europa?

«Se c’è un elemento caratteristico dell’Europa, che fa parte della sua cultura, che dovrebbe renderci orgogliosi della nostra storia, è questo punto: l’Occidente con tutti i suoi vizi e limiti ha affermato la libertà di coscienza. Si può prendere il 17 febbraio per parlare di libertà di coscienza, ma forse sarebbe bene partire non solo dalla Riforma luterana ma da molto prima: dai valdesi medioevali. La libertà di coscienza viene normalmente riconosciuta da tutti gli studiosi di cose costituzionali come la base, la premessa di tutte le altre libertà. Può stupire che nella nostra Costituzione non si parli di libertà di coscienza. Questo perché la libertà di coscienza avrebbe equiparato in dignità tutte le coscienze. C’è un’uguale libertà ma la coscienza di qualcuno è un po’ più uguale delle altre. Credo che sia difficile per la Chiesa cattolica riconoscere che fuori della Chiesa ci può essere una coscienza che va rispettata come quella di coloro che stanno nella Chiesa». Leggi il resto di questo articolo »

Il 17 marzo 1961, per i festeggiamenti del centenario dell’unità, non ci fu festa né vacanza. Per tutto l’anno ci furono celebrazioni a Italia ’61 – un intero quartiere costruito ex novo a Torino – che, come possiamo ancora constatare, esaltava soprattutto il lavoro (art. 1 della Costituzione) e il progresso tecnico e sociale. Ci furono però le dichiarazioni di Kennedy sull’«antica Torino» e la visita della regina Elisabetta che si svolse il 9 maggio in conclusione di un viaggio in varie città d’Italia. Festeggeremo anche noi il 17 marzo, senza speciale solennità né entusiasmo. Vediamo perché. Festeggiamo quel giorno perché dall’Italia e dalla sua storia abbiamo ricevuto molto, in bene e in male, di ciò che siamo, e perché per il bene di questo nostro paese siamo da sempre impegnati. Senza troppa solennità, perché non è la più bella o la più importante delle date storiche nazionali. Del 17 marzo 1861 rimane la bandiera tricolore, che è anche nella Costituzione. Non c’è più il regno, né i Savoia, né terre «irredente», né leggi discriminanti tra italiani, né suffragio elettorale ristretto, né religione di stato. Grazie a Dio. Leggi il resto di questo articolo »

Questo è un estratto dell’appello che sarà letto oggi in Piazza del Popolo a Roma nella manifestazione “A difesa della Costituzione”

Da anni, lo sappiamo, la Costituzione è sotto attacco. Un attacco che, negli ultimi tempi, è divenuto sempre più diretto, violento, sfacciato. Le proposte di modifiche costituzionali riguardanti la giustizia ne sono l’ultima conferma. Per questo siamo qui, per contrastare una volta di più una voglia eversiva dei fondamenti della Repubblica. Sedici milioni di cittadini, ricordiamolo, hanno saputo difendere la Costituzione e i suoi principi il 25 e il 26 giugno 2008, votando contro la riforma costituzionale voluta dal centrodestra. Ma quella straordinaria giornata è stata troppo rapidamente archiviata. Da chi ha tratto un frettoloso sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. E da chi si era preoccupato di dire che la bocciatura di quella riforma non doveva pregiudicare la necessaria riforma costituzionale. Leggi il resto di questo articolo »

Diteci se guardando cos’è l’Italia e gli italiani in genere, diteci se è esagerato dedicare una settimana alla Repubblica Romana, la settimana intorno al 9 febbraio, 162° anniversario della sua nascita. Diteci se è troppo vivere degli incontri ( ed altri fuori di questa settimana) per respirare aria fresca e pulita ricordando quegli eventi che videro per pochi mesi nascere una speranza di vita democratica e laica che mai più avremmo conosciuto. Diteci se è troppo guardare a quei giorni lontani per sentirli vicini e trovarne forza per resistere alla barbarie e alla volgarità che avanza ogni giorno. Diteci se è troppo far risuonare tra noi queste parole di Mazzini:

La Repubblica è anzitutto principio d’amore, di maggior incivilimento, di progresso fraterno con tutti e per tutti, di miglioramento morale, intellettuale, economico per l’universalità dei cittadini… è il principio del bene su quello del male, del diritto comune sull’arbitrio di pochi, della Santa Eguaglianza sul Privilegio e il Dispotismo…Leggi il resto di questo articolo »

 Nel saggio di Ciliberto il mondo che i terzisti ignorano

Non dite al liberalissimo Piero Ostellino che quasi due secoli fa il liberale Alexis de Tocqueville aveva capito cose che lui mostra di non avere ancora capito adesso. Per esempio che nelle nazioni sviluppate, la democrazia fondata sul sacro e indiscutibile “verdetto popolare” scivola facilmente in una sorta di dispotismo “dolce”, in una “servitù regolata, mite e pacifica”, che si combina “meglio di quanto si immagini con alcune forme esteriori della libertà”. Questo perché, scriveva il pellegrino francese nel 1835 di ritorno dal nuovo mondo, “i nostri contemporanei sono continuamente tormentati da due passioni contrastanti: provano il bisogno di essere guidati e la voglia di restare liberi. Non potendo liberarsi né dell’uno né dell’altro di questi istinti contrari , cercano di soddisfarli entrambi contemporaneamente. Immaginano un potere unico, tutelare, onnipotente, ma eletto dai cittadini”. Leggi il resto di questo articolo »

Questo libro nasce da una doppia interrogazione: sulla democrazia e sulla situazione attuale del nostro Paese. Si sofferma su alcuni classici della democrazia fra Otto e Novecento e su questo sfondo interpreta il fenomeno del berlusconismo. È stato infatti Tocqueville a segnalare i rischi dispotici della democrazia con due esiti possibili: diventare tutti eguali e tutti schiavi oppure tutti eguali e tutti liberi. Ma la storia europea moderna ha dimostrato che la prima possibilità è più concreta della seconda: quello che, infatti, sta crescendo è un potere sociale che assume il controllo di tutti, togliendo autonomia e responsabilità ai singoli, i quali a loro volta delegano a questo potere la gestione della loro vita. Non si tratta di un problema solo italiano; né di un morbo che affligge solo la destra. È una tendenza dell’epoca nella quale si intrecciano dispotismo, plebiscitarismo, populismo, dinamiche di tipo carismatico. Per questo “il berlusconismo è una forma patologica della democrazia dei ‘moderni’; appartiene alla storia e alle metamorfosi della democrazia occidentale; e in questo senso, come oggi riguarda l’Italia, così può riguardare anche altre democrazie europee”.

 

di   Michele Ciliberto,  ed. Laterza  2011,  € 18,00

vedi: Pensiero Urgente n.211)

Viviamo, da ormai quasi un ventennio, nella non-politica. Della politica abbiamo dimenticato la lingua, il prestigio, la vocazione. Dicono che a essa si sono sostituiti altri modi d´esercitare l ´autorità: il carisma personale, i sondaggi, il kit di frasi e gesti usati in tv. Ma la spiegazione è insufficiente, perché tutti questi modi non producono autorità e ancor meno autorevolezza. Berlusconi ha potere, non autorevolezza. Non sono le piazze a affievolirla ma alcune istituzioni della Repubblica. evidentemente non persuase dalle sue ingiunzioni. Le vedono come ingiunzioni non di un rappresentante dello Stato, ma di un boss terribilmente somigliante al dr Mabuse, che nel film di Fritz Lang crea un suo stato nello Stato. Alle varie istituzioni viene intimato di ubbidire tacendo, e già questo è oltraggio alla politica e alla Costituzione. Specialmente sotto tiro è la magistratura, che incarna il diritto. Leggi il resto di questo articolo »

Crediamo nella eguaglianza di tutti gli esseri umani a prescindere dalle opinioni, dal sesso, dalla razza, dalla appartenenza etnica, politica, religiosa, dalla loro condizione sociale ed economica.

Ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per risolvere le contese tra gli uomini, i popoli e gli stati. Leggi il resto di questo articolo »

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