Articoli marcati con tag ‘fascismo’

La gente ha paura. La gente ha paura degli autobus. Si incendiano. Oppure non arrivano. La gente ha paura delle scale mobili della metropolitana. I gradini sono pericolosi per le gambe. La gente ha paura delle banche: chi ha detto che i soldi lì siano al sicuro? La gente ha paura degli alberi. Durante le tempeste cadono. La gente ha paura delle case. Cadono i cornicioni. La gente ha paura delle scuole. La caduta dei controsoffitti è frequente, i gradini delle vecchie scale senza manutenzione si spezzano. Leggi il resto di questo articolo »

Il populismo ha realizzato, a sua insaputa, una delle profezie dell’autore del “Capitale”. Viviamo infatti in un mondo in cui i governanti sono schiavi degli umori e dell’applausometro dei follower: un insieme di monadi cariche di odio. Le persone possono finalmente esprimere le loro opinioni, hanno gli strumenti e il tempo per farlo, e queste opinioni sono per lo più manifestazioni di paura, odio, invidia. Leggi il resto di questo articolo »

Memoria. Lo studioso porta alla luce per Donzelli esempi eroici di educatori perseguitati e uccisi dal regime di Mussolini. Le storie di dodici insegnanti che si opposero alla dittatura nel libro di Massimo Castoldi. Quanto pesano la dignità, il coraggio di un maestro per far sì che i bambini a lui affidati crescano nel rispetto delle regole dei rapporti umani cancellati dal fascismo. Leggi il resto di questo articolo »

Bambini morti annegati o di fame nell’indifferenza. Cattivi maestri del “aiutiamoli a casa loro”. Il calcio che non si ferma davanti ai cori più violenti. Ma il problema sono i migranti o siamo noi? Il pamphlet del fondatore di Libera.

In qualunque bar d’Italia si può oggi ascoltare il seguente ragionamento: «Gli stranieri sono troppi, vivono alle nostre spalle, e per di più, spacciano, rubano e violentano. Basta guardare nei portoni o nei giardinetti vicino a casa. Meno male, dunque, che c’è finalmente qualcuno che gli stranieri non li fa entrare e, se sono entrati, li rimanda al Paese da dove sono partiti. E chi poi gli stranieri proprio li vuole, se li porti a casa sua». Leggi il resto di questo articolo »

L’Italia è un paese ammorbato da molteplici retoriche, da un tasso patologico di falsa coscienza e per converso da un livello bassissimo di onestà intellettuale e di senso della memoria. Per questo è estremamente impervio affrontare il tema delle foibe senza intossicazioni ideologiche strumentali. Personalmente non ho la pretesa di farlo in modo obiettivo, ma spero di mantenere un ragionevole equilibrio.

Io considero ogni violenza perpetrata deliberatamente contro un essere umano innocente un crimine ingiustificabile. Anche in tempo di guerra. Ritengo che un colpevole e persino un grande criminale non possano essere puniti senza un giusto processo, sono contrario alla pena di morte, che nessun tribunale dovrebbe avere il diritto di comminare neppure al più feroce dei carnefici. Leggi il resto di questo articolo »

Niente è cambiato: si fa credere di essere minacciati da un’altra “razza”

Valentina Pisanty, docente e semiologa, ha scelto in questo suo ultimo libro (Educare all’Odio, La difesa della razza 1938-1943, La Biblioteca di Repubblica – L’Espresso) di fare tesoro dell’insegnamento di Umberto Eco, suo maestro.

Nel suo Fascismo Eterno (Nave di Teseo), Eco aveva offerto la versione più chiara e più drammatica del come nasce il comportamento persecutorio detto “fascismo”. È un lavoro lungo e paziente in cui diligentemente si accumulano tutte le perversioni di persona contro persona, gruppo contro gruppo, forte contro debole, inventando, elaborando e accreditando l’idea che esista una razza pura e che la tua sia la tua, contro cui grava una minaccia. Leggi il resto di questo articolo »

La Costituzione e il fantasma del fascismo. A chi esalta la forza si opponga la mitezza, alla violenza la solidarietà, fino alla disobbedienza che può essere una virtù

Un dato culturale assai significativo è che si discute oggi sempre meno di Costituzione e sempre più di fascismo. È uno spostamento dell’attenzione da una forma giuridica (la Costituzione) a una sostanza politica (un regime). «Forza normativa del fatto», dicono i giuristi quando il «fatto compiuto», o che si sta compiendo, scalza il diritto o lo predispone alla resa. Questo spostamento spiega il silenzio di tanti giuristi, fino a qualche tempo fa alquanto loquaci (tra i quali io stesso). Leggi il resto di questo articolo »

Pochi giorni fa, nel corso della cerimonia che si è svolta a Parigi per ricordare la fine della Prima guerra mondiale, il presidente Emmanuel Macron ha affermato che “le patriotisme est l’exact contraire du nationalisme. Le nationalisme en est sa trahison”.

Il 4 novembre, in occasione delle commemorazioni italiane, il presidente Sergio Mattarella, in un’intervista al Corriere della Sera, ha sostenuto che “oggi possiamo dirlo con ancora maggior forza: l’amor di Patria non coincide con l’estremismo nazionalista. L’amor di Patria viene da più lontano, dal Risorgimento. Un impegno di libertà, per affrancarsi dal dominio imposto con la forza: allora da Stati stranieri. Dopo la Grande Guerra fu una parte politica a comprimere la libertà di tutti. In questo risiede il profondo legame tra Risorgimento e Resistenza”. Leggi il resto di questo articolo »

Discesa in campo – La breccia sovranista in Europa, non solo in Italia, si aprì il 26 gennaio 1994 con un video di nove minuti

Il populismo non è mai una dottrina. Un metodo, piuttosto. Nonché una patologia o una “sindrome”, per usare il termine classico del dizionario di politica di Bobbio, Matteucci e Pasquino. Alla base, meglio al vertice c’è “la capacità carismatica del leader di mobilitare la speranza e la fiducia delle masse nella rapida realizzazione delle loro aspettative sociali nel caso che egli acquisti un potere sufficiente” (Guy Hermet).

Il resto viene da sé, a seconda delle crisi politiche e sociali. Se il “popolo” è la maggioranza silenziosa dei moderati oppure una fetta predominante di poveri, precari e disoccupati, accomunati da rabbia e odio contro la Casta. Leggi il resto di questo articolo »

La storia dell’immigrazione a Washington. Il festival delle letterature migranti.

Un tempo i migranti eravamo noi, orde di italiani in fuga. Scappavamo per le stesse ragioni che oggi spingono migliaia di disperati verso le nostre coste, e spesso ci comportavamo come loro, nel bene e nel male. Eravamo soggetti alle stesse discriminazioni, e agli stessi atti di compassione; commettevano gli stessi crimini, e offrivamo gli stessi contributi di eccellenza, quando l’integrazione alla fine ce lo consentiva.

È la lezione, esaltante e triste, che si impara visitando il Museum on Italian Immigration, inaugurato dalla National Italian American Foundation la settimana scorsa nella sua sede di Washington, dedicata all’ex ambasciatore degli Stati Uniti a Roma Peter Secchia. Leggi il resto di questo articolo »

Un acuto editoriale di Leonardo Becchetti su ‘Avvenire’ («Non senza competenze», 19 agosto 2018) ha messo a fuoco il corto circuito tra il vasto consenso politico di comunità organizzate con bassa capacità di elaborazione delle conoscenze e le competenze degli esperti. L’articolo mi ha rimandato alla lettura di un recente prezioso libretto di Alberto Guasco in cui si ripercorre la folgorante meteora del ‘Fronte dell’Uomo qualunque‘, costola politica dell’omonimo giornale di Guglielmo Giannini (Le due Italie. Azionismo e qualunquismo‘, Franco Angeli editore). Leggi il resto di questo articolo »

Piero Calamandrei

Altra causa del discredito del Parlamento è la propaganda di tipo squisitamente fascista che certi giornali e certi partiti continuano a fare anche oggi contro le istituzioni democratiche e più in generale contro ogni forma di libera attività politica: il qualunquismo, prima di diventare un partito che mostra riprodotte in se stesso e ingrandite le pecche e i travagli che quando sorse rimproverava agli altri partiti, non ebbe da principio altro programma che quello, essenzialmente negativo, della insofferenza e della cieca ostilità alla politica, ed ebbe qualche fortuna in certi ceti proprio perché, invece di affaticare il pubblico col forzarlo a pensare a difficili problemi d’ordine generale, lo chiamava allo spassoso tirassegno (tre palle un soldo), consistente nel ricoprire di fango e di contumelie personali gli uomini politici di tutti i partiti al potere. Leggi il resto di questo articolo »

Lettera dall’Europa

Si sono ritrovati, come ogni anno, anche in questo inizio d’estate del 2018. È la decima volta, quasi non credono ai loro occhi. Dieci anni che si riuniscono in un paesino italiano, legati dall’ammirazione per Leopold Unger, alias Pol Mathil, il grande giornalista polacco scomparso che amavano tanto e la cui penna ha lavorato da Bruxelles a Varsavia per The Herald Tribune, Le Soir, Gazeta Wyborcza o Radio Free Europe. Leggi il resto di questo articolo »

Il richiamo a Simone Weil fatto dal ministro Salvini durante il suo discorso di domenica a Pontida è frutto di un uso perverso e mistificatorio del linguaggio dei doveri e di un’evidente ed inaccettabile manipolazione del pensiero di una delle più grandi pensatrici del Novecento. Quando Simone Weil, nella sua opera L’enracinement, parlava della priorità dei doveri sui diritti si riferiva al fatto che solo i doveri hanno la capacità di garantire i diritti, i quali altrimenti hanno bisogno della forza per essere attuati. Leggi il resto di questo articolo »

Carlo Levi

La paura della libertà è il sentimento che ha generato il fascismo. Per chi ha l’animo di un servo, la sola pace, la sola felicità è nell’avere un padrone; e nulla è più faticoso, e veramente spaventoso, che l’esercizio della libertà. Questo spiega l’amore di tanti schiavi per Mussolini: questa mediocrità divinizzata, necessaria per riempire il vuoto dell’animo, e calmarne l’inquietudine con un senso di riposante certezza. Per chi è nato servo, abdicare a se stesso è una beatificante necessità.

Ma questi servi nati hanno anch’essi la loro piccola coscienza morale, che vuole qualche piccola giustificazione; e un loro piccolo, e tuttavia esasperato, senso italiano di teatrale dignità, che ha bisogno di velare di pretesti il vuoto e la paura. Questi servi nati hanno sempre trovato delle ottime ragioni per la loro viltà, che non era, no, viltà ma, volta a volta, amor di patria, desiderio di ordine, senso di responsabilità, dovere di «tradizione spirituale», e così via. Leggi il resto di questo articolo »

Carlo Levi indaga il sentimento che ha generato il fascismo

È veramente una sorpresa leggere oggi Paura della libertà(Neri Pozza, pp. 154, € 15) di Carlo Levi (1902-1975), “poema filosofico”, secondo il suo stesso autore, scritto fra il 1939 e il 1940 nel nord ovest della Francia, a La Baule – mentre l’Europa cominciava quell’esercizio di autoannientamento definito Seconda guerra mondiale – ma pubblicato solo nel 1946, all’indomani del grande successo di “Cristo si è fermato a Eboli”.

La riscoperta del testo (mai più ristampato come autonomo dal 1964) si deve a Giorgio Agamben che firma un’introduzione di poche e limpide pagine, in cui racconta fra l’altro come a suo tempo il libro sia stato malinteso o forse semplicemente non capito dall’intellighenzia comunista a cui pure Levi fu legato soprattutto negli anni Sessanta. In effetti, già nel suo tono direi sapienziale, nella scrittura misteriosa e avvolgente, Levi sembra provenire da un altro pianeta, rispetto al dibattito italiano delle idee nell’immediato dopoguerra. Leggi il resto di questo articolo »

C’è un solo valore incrollabile al mondo: l’intransigenza e noi ne saremmo per un certo senso i disperati sacerdoti… Noi vediamo diffondersi con preoccupazione una paura dell’imprevisto che seguiteremo a indicare come provinciale per prevenire gravi allarmi. Ma di certi difetti sostanziali anche in un popolo “nipote” di Machiavelli non sapremmo capacitarci, se venisse l’ora dei conti. Il fascismo in Italia è una catastrofe, è un’indicazione di infanzia decisiva, perché segna il trionfo della facilità, della fiducia, dell’ottimismo, dell’entusiasmo. Si può ragionare del Ministero Mussolini come di un fatto d’ordinaria amministrazione.

Ma il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l’autobiografia della nazione. Una nazione che crede alla collaborazione delle classi; che rinuncia per pigrizia alla lotta politica, è una nazione che vale poco. Confessiamo di aver sperato che la lotta tra fascisti e socialcomunisti dovesse continuare senza posa: e pensammo nel settembre del 1920 e pubblicammo nel febbraio scorso la “Rivoluzione Liberale”, con un senso di gioia, per salutare auguralmente una lotta politica che attraverso tante corruzioni, corrotta essa stessa, pur nasceva. In Italia, c’era della gente che si faceva ammazzare per un’idea, per un interesse, per una malattia di retorica! Ma già scorgevamo i segni della stanchezza, i sospiri alla pace. Leggi il resto di questo articolo »

“Bisogna ricominciare a distinguere che altro è il lavoro professionale redditizio e altro l’ufficio politico gratuito, e che chi mescola le proprie cariche politiche con i propri affari personali, inquinando nello stesso tempo la vita privata e la vita pubblica, le ragioni della politica e quelle della scienza e dell’arte, non è un grande politico, né un grande scienziato, ma è semplicemente un miserabile cialtrone”.

Chi pensate lo abbia scritto? Un antiberlusconiano invasato, da anni in attesa di veder finalmente approvata una vera legge sul conflitto d’interessi? Un antirenziano moralista che storce il naso davanti alle riunioni di corrente tenute da Matteo Renzi negli uffici dell’azienda farmaceutica di famiglia del capogruppo Pd al Senato, Andrea Marcucci? O peggio ancora un indefesso populista demagogicamente convinto che “la politica non è una professione e che gli onori si chiamano così perché non danno guadagno”. Leggi il resto di questo articolo »

Occorre sostituire la forza emotiva con la consapevolezza. Che cosa ha trasformato un popolo di oltre 40 milioni di cittadini liberali in un popolo di fascisti?

Antifascimo..? E che cos’è…? Può dispiacere a quanti sono cresciuti nei valori della Resistenza, ma è indubbio che nella cultura delle nuove generazioni antifascismo è una categoria marginale, scarsamente utilizzata nel dibattito politico e pressoché assente nel linguaggio comune. D’altra parte, la stessa eclisse riguarda la categoria opposta, fascismo: durante l’ultima campagna elettorale i termini sono stati talvolta rispolverati ma i risultati elettorali di Leu e di Casa Pound sono eloquenti. Non è sulla dicotomia fascismo-antifascismo che si costruisce oggi un’identità politica. Leggi il resto di questo articolo »

Queste parole fanno parte di un’intervista rilasciata da Pasolini nel 1975 sul set del suo film Salò o le 120 giornate di Sodoma e riportate da Giuseppe Bertolucci nel suo film documentario Pasolini prossimo nostro del 2006. Leggi il resto di questo articolo »

Ritorna dopo undici anni “Patrie smarrite – Racconto di un italiano” di Corrado Stajano, riproposto dal Saggiatore. Si legge d’un fiato, si legge sentendo che ogni parola è una trivella impegnata a cercare in profondità il carattere di un popolo che non sia solo quell’amalgama di opportunismo, servilismo, immobilismo, familismo con cui la maggioranza è traghettata dal fascismo alla Repubblica. Cambiando soltanto il colore della casacca. Leggi il resto di questo articolo »

L’essere umano porta con sé l’aspirazione alla libertà o la sua negazione? Esiste una spinta ad adorare il padrone?

Per Pasolini il “ nuovo fascismo” non aveva a che fare con le rinate organizzazioni fasciste dopo la fine della seconda guerra mondiale e la Liberazione, ma con il potere di plasmazione delle vite e delle coscienze che il nuovo “ sistema dei consumi” era riuscito a produrre dagli anni Sessanta in avanti.

Questa tesi generale — in sé forse discutibile — ha il merito di emancipare il fascismo dal problema della sua eventuale riorganizzazione politica — che secondo Pasolini era un fenomeno del tutto residuale — per ricondurlo a un grande tema antropologico: siamo così sicuri che gli esseri umani amino più la loro libertà delle loro catene? Leggi il resto di questo articolo »

Corrado Stajano torna nei luoghi delle radici (il padre siciliano, la madre lombarda) e i fantasmi dell’infanzia si mescolano al tempo presente.

«Non voglio ricordare e sembra invece una condanna la memoria che si appiccica ovunque». confessa  Corrado Stajano nel suo diario di fine secolo. Un corpo a corpo con le proprie divaricate radici (il padre siciliano, la madre lombarda), «patrie smarrite» difficilmente ricomponibili anche in questo suggestivo nostos. Ritornato nei luoghi aviti per liquidarvi le residue proprietà di famiglia, lo scrittore si ritrova risucchiato in una spirale straniante, nella quale i fantasmi dell’infanzia e della prima giovinezza si sovrappongono all’Italia del tempo presente. Leggi il resto di questo articolo »

Si susseguono gli episodi di esaltazione del fascismo e, a volte, affiorano persino simpatie neonaziste. Evidentemente rimangono ancorate al fondo della politica italiana nostalgie inestricabili rispetto a quel passato. Non per nulla per più di quarant’anni la repubblica democratica e antifascista ha tollerato l’esistenza di un partito dichiaratamente nostalgico come il Movimento Sociale di Giorgio Almirante, nonostante una chiara prescrizione costituzionale (la XII disposizione transitoria, tuttora valida), e la legge Scelba, introdotta nel 1952 in attuazione di quella norma della costituzione. Provvedimenti che vennero in seguito rafforzati dalla legge Mancino- Modigliani ( 1993) contro l’ “apologia del fascismo” e le manifestazioni razziste — nei confronti della quale la Lega Nord, nel 2014, ha presentato le firme per un referendum abrogativo. Leggi il resto di questo articolo »

«I fascisti sono una trascurabile maggioranza». Quando Ennio Flaiano annotava il suo pensiero sul Diario Notturno era il 1956 e il fascismo era ufficialmente defunto e sepolto da 11 anni. Oggi è defunto e sepolto da 71 anni eppure ieri a Como si è tenuta una manifestazione nazionale antifascista. I fascisti dunque ci sono ancora? E quanti sarebbero? A giudicare dalle irruzioni di teste rasate di questi mesi e, con improvvisa frequenza, di qualche giorno fa ci sono. Le differenze con i bisnonni sono abissali, a tal punto da far dire che sono ‘fascisti immaginari’. Leggi il resto di questo articolo »

Non c’è scuola italiana che non lo insegni il fascismo. Il problema è farlo percepire come qualcosa di tremendo, reale e attuale. Attuale non perché siamo di fatto già circondati da un nuovo fascismo ma perché il fascismo è una reale possibilità delle società avanzate, una scorciatoia della politica e anche della mente e sta rialzando la testa e glielo lasciamo fare.

Fascismo è un’esperienza politica, sociale e umana illiberale e violenta. Un problema è che per i ragazzi la sostanza illiberale del fascismo è inimmaginabile. Non tanto perché crescono immersi nelle libertà fondamentali dell’individuo e del cittadino: parlano quando vogliono e di quel che vogliono, si spostano dove li porta il desiderio, si ritrovano, si aggregano e disaggregano. Protestano. Ma soprattutto perché si percepiscono illimitati. Leggi il resto di questo articolo »

Vivo in un Paese in cui un carabiniere espone nella propria stanza una bandiera neonazista. Il carabiniere in questione ha 24 anni, e si definisce «appassionato di simboli storici». Vivo in un Paese in cui i militanti di un gruppo di ispirazione neonazista – Veneto Fronte Skinhead — fanno irruzione nel corso dell’assemblea di una rete sociale, per leggere un proclama delirante contro i migranti. Il leader è un trentenne. Vivo in un Paese in cui la pagina Facebook “I giovani fascisti italiani” piace a oltre 27 mila persone. Leggi il resto di questo articolo »

 

Gramsci al tempo della sua detenzione

Lettera inviata da ANTONIO GRAMSCI (1891- 1937) il 10 maggio 1928 alla madre, poco prima della sua condanna a 20 anni di reclusione, comminata dal Tribunale Speciale Fascista il 4 giugno 1928.  Fu in questa occasione che il pubblico ministero pronunciò una frase rimasta famosa: «Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare». Gramsci morirà durante la detenzione.

 

Carissima mamma,

sto per partire per Roma. Oramai è certo. Questa lettera mi è stata data appunto per annunziarti il trasloco. Perciò scrivimi a Roma d’ora innanzi e finché io non ti abbia avvertito di un altro trasloco.

Ieri ho ricevuto un’assicurata di Carlo del 5 maggio. Mi scrive che mi manderà la tua fotografia: sarò molto contento. A quest’ora ti deve essere giunta la fotografia di Delio che ti ho spedito una decina di giorni fa, raccomandata. Leggi il resto di questo articolo »

Il 21 agosto del 1926 presso la foce del fiume Incastro ad Ardea (RM) viene trovato senza vita, forse suicida o ucciso, don GIUSEPPE FABRIZI (64 anni) presbitero, parroco di Ardea dal 1898 al 1906, contadino e Antifascista.

Don Giuseppe, nato a Genzano di Roma, tentò, nella dura situazione sociale e umana della Ardea di fine ‘800, di dare coscienza e dignità agli “ultimi” affermando con forza che la loro situazione di sfruttamento non era “volontà di Dio”, come una religiosità tradizionale aveva sempre detto.

Tentò di far ritornare il Vangelo ad essere come è: un annuncio di liberazione integrale dell’uomo. Tentò, finchè fu prete, di riinventare la figura di parroco al di là di essere un funzionario di devozioni.

Per questo venne espulso dalla chiesa cattolica, che lo definì “sovversivo”, ma continuò la sua appassionata lotta sociale per la terra di Ardea, tanto amata da lui ma che non lo capì mai totalmente.

Subì persecuzioni religiose e civili che lo portarono in carcere e perfino in manicomio. Don Giuseppe spese la sua vita con amore e

Lapide sulla tomba di don Giuseppe

dedizione, fu sempre dalla parte degli ultimi e dei rifiutati e lottò per una Chiesa dal volto diverso e più evangelico.

Nell’ultima parte della sua vita fu un acceso avversario del regime fascista appena iniziato e per questo venne minacciato molte volte.

Morì solo, come spesso muoiono i profeti, come Gesù di Nazareth che don Giuseppe amava nei tanti “poveracci” che aveva incontrato.

I resti di don Giuseppe riposano nel piccolo cimitero di Santa Marina ad Ardea.


Un video molto interessante di Patrizio Vichi, ricercatore e documentarista che risiede ad Aosta, ripercorre la coraggiosa e difficile vita di uomo e di prete di don Giuseppe, proponendo un’importante lettura sulle circostanze della sua morte.

Giuseppe Fabrizi, maestro e testimone di libertà

Ascolta e vedi QUI

 

 

Raccomandiamo di leggere:

Don Giuseppe Fabrizi: persecuzione di un prete

 

Vedete il nostro video  ” Il dovere della Memoria“: QUI

 

 

 

Il 20 febbraio 1993 muore a Roma dopo una lunga malattia LUCIANO BOLIS, letterato, politico, membro del Movimento Federalista Europeo, Antifascista, Azionista e Partigiano.

Bolis nacque a Milano nel 1918 in una famiglia della piccola borghesia e simpatizzante per il fascismo: infatti il padre lo portava spesso con sé alle conferenze dell’Istituto fascista di cultura e Luciano crebbe senza nessuna idea antifascista

Quando Bolis s’iscrisse all’Università di Pavia (dove si laureò in lettere e filosofia) cominciò a maturare politicamente e a partecipare ad alcune cospirazioni antifasciste distribuendo volantini e diffondendo opere letterarie vietate. I gruppi studenteschi milanesi e pavesi avevano inoltre preso contatti con UGO LA MALFA (1903- 1979) e FERRUCCIO PARRI (1890- 1981) che Bolis considererà un punto di riferimento etico-politico fondamentale della sua vita. Leggi il resto di questo articolo »

Ci troviamo d’accordo nel dire che il nostro è un Paese fermo, al quale vengono troppo spesso promesse e rinnegate quasi sull’istante “grandi riforme”. Proprio in questi giorni, grandi cervelloni della politica stanno discutendo la prossima legge elettorale che per l’ennesima volta risuona di inciuci e incostituzionalità. Ci ritroveremo alleanze e coalizioni in Parlamento e soprattutto partitini che, come sempre, continueranno a importare “personaggi” che alla fine vedremo andare a ricoprire ruoli tra le più alte cariche di governo. Ci sarebbe da esclamare: che schifezza! Ecco, è proprio sul piano di questa schifezza che le domando come dei “politici” possano ancora continuare, in periodi così delicati, ad abusare della nostra morale. Leggi il resto di questo articolo »

IL POTERE dei monumenti appare oggi inversamente proporzionale al potere della politica. Lo suggeriscono le dichiarazioni con cui vari esponenti del Partito democratico propongono di cancellare le iscrizioni dei monumenti fascisti. Ieri il deputato Emanuele Fiano ha espresso il suo consenso (poi derubricato a una meno impegnativa neutralità) rispetto alla proposta di Luciano Violante di abradere la scritta «Mussolini Dux» dall’obelisco del Foro Italico.

Il parallelo con quanto accade negli Stati Uniti non regge. Lì a chiedere, o ad attuare, l’abbattimento delle statue dei generali sudisti e dei politici schiavisti è una agguerrita opposizione civica che contesta un presidente che, in modo inaudito, simpatizza con quella terribile storia. È Trump, insomma, ad aver ridato forza e vita a quelle statue: e chi le abbatte cerca di abbattere Trump, almeno in effigie. Un fenomeno comprensibile, anche se pieno di contraddizioni e di pericoli, come ha ben spiegato Ian Buruma. Leggi il resto di questo articolo »

Come Cristo cacciò i mercanti, anche don Massimo avrebbe dovuto cacciare i militanti di Forza Nuova dalla sua parrocchia: è necessario un gesto ancora più eloquente che faccia intendere a tutti che la Chiesa è antifascista.

Intervistato dalla collaboratrice de ilfattoquotidiano.it Emilia Trevisani, fuori dalla chiesa di don Massimo Biancalani a Pistoia, un giovanotto di Forza Nuova ha affermato che “un fascista è un buon cattolico”. Cosa intenda per cattolico non so e non mi interessa sapere.

Quel che è certo, è che un fascista non può essere cristiano, se essere cristiano vuol dire vivere l’insegnamento di Cristo. Il cristianesimo afferma che esiste un solo Dio, ama la libertà politica e morale, predica la carità, la pace, la fratellanza degli esseri umani, l’uguale dignità di tutti; il fascismo eleva lo stato totalitario a divinità da adorare, detesta la libertà politica e morale e la vuole piegata all’esigenza superiore della disciplina imposta con la forza, disprezza la carità (leggete cosa scriveva Giovanni Gentile), ama la guerra come esperienza mistica nella quale eccelle la forza degli individui e dei popoli, disprezza i deboli, farnetica di razze superiori (destinate a comandare) e razze inferiori (destinate a obbedire). Leggi il resto di questo articolo »

Cos’è un «classico»? Un classico – ha spiegato Norberto Bobbio – è un autore «sempre attuale, onde ogni età, addirittura ogni generazione, sente il bisogno di rileggerlo». Queste parole tornano alla mente ora che siamo profondati in un cafarnao di confusioni da cui, forse, la lezione di Gaetano Salvemini, pur a sessant’anni dalla morte, può ancora tirarci fuori. Non per caso, Bertrand Russell una volta disse di lui: «Quando parlano gli italiani colti mi capita spesso di non capire. Salvemini non deve essere colto, perché quello che dice lo capisco, e quello che pensa lo penserei anch’io».

È una considerazione molto bella perché, veramente, pochissimi altri furono convinti che «chiarezza nell’espressione è probità nel pensiero e nell’azione». E però nella scrittura viva di Salvemini c’è qualcosa di più. C’è che la solida quadratura della parola gli veniva per la diritta via del suo credo democratico. «Io – confidò in uno scritto – mi mettevo dal punto di vista di un operaio, magari di un contadino analfabeta, convinto che essi avevano il diritto di capire, se volevamo essere democratici per davvero e non sacerdoti di riti arcani». Leggi il resto di questo articolo »

La voglia di fascismo? È indole italica, ci conosciamo: tanti, piccoli capetti. Sta dilagando e non ci cambierà una legge.

Allarme (non più All’armi) siam fascisti! Come può essere capitato? A noi (pardon), noi italiani democratici che abbiamo scritto la Costituzione vietando al partito che fu di Mussolini di rinascere. “L’Espresso” ci fece una copertina qualche settimana fa . C’erano Grillo, Salvini e Berlusconi con fez e manganello. Tempesta di critiche. E avevano ragione (a propria insaputa) i lettori (di destra) che ci hanno ricoperti di insulti. Non dovevamo disegnare solo loro, ma gli italiani: il popolo nato con la camicia (nera) convinto di avere fatto i conti con la propria indole, prima ancora che con la storia, a suon di leggi e divieti. Leggi il resto di questo articolo »

Diario. 1939-1945, gli anni che hanno segnato l’Italia repubblicana. «L’eredità» di Corrado Stajano

Si può camminare sull’orlo di un precipizio senza neppure accorgersene. Ci si può avviare verso una catastrofe a occhi chiusi, senza neppur coglierne i segni. Ci sono voluti gli occhi di un bambino e i ricordi di un anziano, compresi in un’unica voce narrante, per darci la misura di questa nostra maledizione (personale e nazionale). È questa la sensazione attualissima – sconvolgente – che ho provato leggendo il più recente libro di Corrado Stajano, appena pubblicato dal Saggiatore. L’Eredità (pp. 165, euro 18) di cui parla – e che dà il titolo al libro – è appunto questa storia depositata dentro di noi, costellata di tragedie reali e di normalità virtuali. D’illusioni attese e di rovine concrete. La demagogia della politica (meglio: del Potere) e le dure repliche della Storia. Leggi il resto di questo articolo »

Di certo non era sua intenzione, ma l’articolo di Antonio Padellaro, (Il Fatto Quotidiano, 14 luglio 2017) pare un invito alla rassegnazione di fronte all’avanzata del fascismo del terzo millennio. “Il fascismo del presente, osserva Padellaro, vive e lotta a pieno titolo nelle istituzioni democratiche”, e dunque, “vorremmo chiedere pacatamente a Fiano come sia possibile oggi impedire ai corpi militarizzati di Casa Pound di esibire labari e braccia tese nelle sfilate per le strade di Roma o di Milano”.

Ha un senso, si chiede Padellaro, chiudere la stalla quando i buoi sono scappati da quel dì, e ci riferiamo ai tanti giovanotti e giovanotte che in quei lugubri raduni inneggiano al duce senza averne la minima cognizione storica?”. Non solo ha un senso, ma è dovere preciso di chi governa e di chi ci rappresenta rispettare il dettato esplicitamente antifascista della nostra Costituzione, e dotare la Repubblica delle leggi necessarie per cacciare in carcere chiunque esibisca un simbolo fascista o saluti romanamente. Non farlo vorrebbe dire ripetere un errore simile a quello di quell’inetto di re Vittorio Emanuele III che rifiutò di firmare la dichiarazione dello stato di guerra per fermare la marcia su Roma. Leggi il resto di questo articolo »

IL FASCISMO non è mai morto. Rappresenta il bisogno di certezza comunitaria e gerarchica in una società individualistica. E nonostante i simboli sbandierati, non è un ritorno al passato. L’ombra del fascismo si stende sulla democrazia, anche quando, come la nostra, è nata nella lotta antifascista.

La ragione della sua persistenza non può essere spiegata, semplicisticamente, con il fatto che non ci sia sufficiente radicamento della cultura dei diritti. Si potrebbe anzi sostenere il contrario. Ovvero, che sia proprio la vittoria della cultura dei diritti liberali (e senza una base sociale che renda la solitudine dell’individuo sopportabile) ad alimentare il bisogno di identità comunitaria. Leggi il resto di questo articolo »

NOSTALGIA del fascismo? Gli episodi degli ultimi tempi, dal raduno con braccia tese nel saluto romano al cimitero monumentale di Milano alla lista ispirata palesemente al fascismo nel comune mantovano di Sermide fanno pensare ad un ritorno di fiamma del passato. La realtà è più sfumata. Per prima cosa non si può dimenticare che, fino a vent’anni fa, c’era un partito al governo — Alleanza Nazionale — che affondava le proprie radici, non del tutto recise, nel (neo)fascismo. Infatti, quando Gianni Alemanno diventò sindaco di Roma nel 2008 fu salutato al Campidoglio da un manipolo di camerati con il saluto romano. E un beniamino dei tifosi della Lazio andò alla curva dello stadio per festeggiare il goal con la stessa modalità nostalgica (ovviamente senza nessuna sanzione). Leggi il resto di questo articolo »

Il 10 giugno 1924 muore a Roma ucciso a pugnalate in un agguato fascista GIACOMO MATTEOTTI (39 anni)  politico, giornalista, segretario del Partito Socialista Unitario e attivista Antifascista.

Quel giorno Matteotti uscì di casa, nel quartiere Flaminio a Roma, per recarsi alla Camera dei Deputati. Sotto casa in lungotevere Arnaldo da Brescia una squadra di cinque fascisti guidata da Amerigo Dumini prelevò con forza Matteotti  per condurlo in una macchina dove fu picchiato e accoltellato a morte per poi essere seppellito in un bosco a 25 chilometri da Roma. Soltanto il 16 agosto il corpo di Matteotti verrà rinvenuto presso il bosco della Quartarella a Riano sulla via Flaminia. Leggi il resto di questo articolo »

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