Articoli marcati con tag ‘liberalismo’
Il 7 aprile del 1926 muore in un ospedale di Cannes (Francia) per le gravi conseguenze fisiche subite dopo le bastonature da parte dei fascisti GIOVANNI AMENDOLA (44 anni) politico, giornalista, accademico e Antifascista.
Il 15 febbraio 1926 muore a Neuilly-sur-Seine (Francia) per le conseguenze di feroci aggressioni fasciste PIERO GOBETTI (25 anni) politico, scrittore, giornalista ed uno dei più importanti Antifascisti.
Vedi: La Resistenza di un giovane liberale: PIERO GOBETTI
Ma ti ricordi Gaza? Almeno una volta al giorno, non dico mica tanto, ti ricordi di cosa sta succedendo a Gaza? Dovresti farlo, se non lo fai. Dovremmo. Leggi il resto di questo articolo »
Dovremmo essere preoccupati, si! Molto preoccupati e non continuare a vivere come se niente fosse ( leggi QUI). Ci dispiace non proporre articoli tranquillizanti, bonari, rasserenanti ma da tre anni non è il momento di essere sereni e resilienti. E non lo sarà neanche nel prossimo futuro perchè stiamo andando a passi veloci verso un mondo dominato da una biocrazia devastante Leggi il resto di questo articolo »
Questo articolo che segue continua le riflessioni proposte in questo articolo QUI, a cui vi rimandiamo assolutamente. Questo articolo che segue coglie le conseguenze umane del progetto criminale globale chiamato Grande Reset che è descritto nei tanti articoli Leggi il resto di questo articolo »
Quando, nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca, Trump affermava che non era lui a parlare, ma il popolo americano, esprimeva qualcosa che andava ben oltre una vittoria elettorale. Quello che nelle sue parole si compiva era il percorso aperto qualche decennio prima da Perón, allorché sosteneva di incarnare nella propria persona il popolo argentino. Non diversamente Chávez aveva dichiarato di non essere un individuo, ma l’intero popolo venezuelano. Leggi il resto di questo articolo »
Il neoliberismo sfrenato ha finito per minare le basi stesse della democrazia liberale. Che oggi può essere salvata solo ripartendo dalla difesa del lavoro e dal pensiero ambientalista
Perché la democrazia liberale è in crisi? E come si può salvare? Su queste domande si è aperta, nel mondo occidentale, una discussione che può cambiare radicalmente l’agenda politica, orientandola verso la lotta alle disuguaglianze e le politiche ambientali. Leggi il resto di questo articolo »
I gilet gialli, i taxisti, i separatisti, i maestri, le femministe, i licenziati, i consumatori, la gente, in generale, scende in piazza nelle città europee. A volte in modo ordinato e rispettoso, a volte in modo tumultuoso. Combattono con le forze dell’ordine, attaccano i negozi, bruciano i cassonetti, vandalizzano gli arredi urbani, o semplicemente sfilano sventolando bandiere e gridando slogan non sempre rispettabili. Leggi il resto di questo articolo »
A giudicare dalla valanga di pubblicazioni sulla sua “crisi” la democrazia non sembra godere di buona salute, anche se non è facile misurare con oggettiva certezza il senso del suo stato di crisi, esso stesso una questione di opinione o “feeling”; e poi perché le forme di aperta critica all’establishment sono esse stesse segno di una società libera e ospitale al dissenso, e in questo solidamente democratica (in fondo, perché l’opposizione aspiri a diventare maggioranza deve sviluppare argomenti contro l’establishment).
Dunque, perché “crisi”? Quando si parla di “crisi” si parla in effetti di una crisi di funzionalità della rappresentanza nella forma attuale che è partitica: questo sembra essere l’oggetto vero di insoddisfazione. Di crisi della democrazia dei partiti ha senso parlare dunque, nonostante il fatto che il nuovo secolo si sia aperto con la certezza che questa forma di governo e di pratica politica sia comunque la piú elastica ad assorbire le trasformazioni sociali e tecnologiche; e nonostante il fatto che la democrazia costituzionale abbia vinto la competizione con tutti i sistemi politici che si sono succeduti a partire dal secolo delle rivoluzioni settecentesche. Leggi il resto di questo articolo »
Cos’è un «classico»? Un classico – ha spiegato Norberto Bobbio – è un autore «sempre attuale, onde ogni età, addirittura ogni generazione, sente il bisogno di rileggerlo». Queste parole tornano alla mente ora che siamo profondati in un cafarnao di confusioni da cui, forse, la lezione di Gaetano Salvemini, pur a sessant’anni dalla morte, può ancora tirarci fuori. Non per caso, Bertrand Russell una volta disse di lui: «Quando parlano gli italiani colti mi capita spesso di non capire. Salvemini non deve essere colto, perché quello che dice lo capisco, e quello che pensa lo penserei anch’io».
È una considerazione molto bella perché, veramente, pochissimi altri furono convinti che «chiarezza nell’espressione è probità nel pensiero e nell’azione». E però nella scrittura viva di Salvemini c’è qualcosa di più. C’è che la solida quadratura della parola gli veniva per la diritta via del suo credo democratico. «Io – confidò in uno scritto – mi mettevo dal punto di vista di un operaio, magari di un contadino analfabeta, convinto che essi avevano il diritto di capire, se volevamo essere democratici per davvero e non sacerdoti di riti arcani». Leggi il resto di questo articolo »
L’eredità – Molti della mia generazione si sono salvati dal marxismo banale e dogmatico degli anni Settanta grazie ai “Quaderni dal carcere” che ci hanno costretto a discutere in modo critico le prospettive del comunismo
Per molti della mia generazione la lettura degli scritti di Antonio Gramsci ha avuto l’effetto di una liberazione dal marxismo-leninismo banale e dogmatico che teneva banco, alla fine degli anni Sessanta, fra i movimenti della sinistra extraparlamentare. Non ho prove storiche da offrire, ma credo che molti giovani si siano avvicinati al Pci anche perché quel partito si proclamava erede di Gramsci e si impegnava attivamente a farne conoscere gli scritti. Leggi il resto di questo articolo »
Il 15 febbraio 1926 muore a Neuilly-sur-Seine (Francia) per le conseguenze di feroci aggressioni fasciste PIERO GOBETTI (25 anni) politico, scrittore, giornalista ed uno dei più importanti Antifascisti.
Gobetti, figlio unico, nacque a Torino da una famiglia di estrazione contadina e che svolgeva una piccola attività commerciale. Mostrò da subito una forte precocità intellettuale e fin dai tempi del liceo classico, che frequenta a Torino, matura un profondo senso della Patria grazie all’incontro con ottimi professori ( come AUGUSTO MONTI, 1881- 1966) e soprattutto con GAETANO SALVEMINI (1873- 1957).
Gobetti appariva serio ma non pedante, anzi esuberante e così si descrisse del 1922:
“Credo di poter riconoscere le mie qualità più innate in una fondamentale aridezza e in una inesorabile volontà. […] Ho l’anima e l’inquietudine di un barbaro, con la sensibilità di un cinico; la storia non mi ha dato eredità di sorta; l’ambiente in cui son vissuto non mi ha offerto comunicazioni, non ha alimentato i miei problemi; non devo nulla a nessuno. […] Cinico perché arido, forte perché solo e spregiudicato” Leggi il resto di questo articolo »
Da una forma di stato e di governo nata dall’antifascismo a una plasmata sulle richieste della finanza. Non importa se uscire dalla crisi significa uscire dalla democrazia
«La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione». È su queste fondamenta, sulle parole del secondo comma dell’articolo 1 della Costituzione, che poggia l’edificio della giovane democrazia italiana: tanto sulle prime (i sovrani siamo noi), quanto sulle seconde (fuori delle forme e dei limiti previsti dalla Costituzione stessa non c’è sovranità popolare, ma arbitrio del più forte). Oggi un Governo non legittimato da un voto – e che gode della fiducia di un Parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale – prova a cambiare, in un colpo solo, 47 articoli della Costituzione, e invoca un referendum-plebiscito su se stesso («Se perdo il referendum, lascio la politica», dichiara il Presidente del Consiglio). Leggi il resto di questo articolo »
1926-2016. Il 15 febbraio di novant’anni fa moriva in Francia a soli 24 anni, a causa dei postumi di un pestaggio squadrista, colui che prima e meglio di tutti capì la vera natura del fascismo.
Piero Gobetti (Torino, 1 giugno 1901 Neuilly-sur-Seine, Parigi, 15 febbraio 1926) è stato un intransigente, questo il suo vizio capitale in un paese come l’Italia dove i più non capiscono, o fingono di non capire, che vi sono tempi e circostanze in cui l’intransigente è il vero realista e il fautore dell’accomodamento è un povero illuso.
Chi ha avuto ragione, alla luce della storia, quelli che hanno cercato fino all’ultimo l’accordo con Mussolini nella speranza di attenuarne le ambizioni eversive, o Piero Gobetti che fin dalla marcia su Roma chiamava alla lotta senza quartiere? Roma scriveva nel 1924 nacquero immediatamente almeno due antifascismi. Il primo era la resistenza dei battuti dal colpo di stato: l’antifascismo, per intenderci, dei vecchi democratici e liberali che erano stati ministri o ministeriali nel dopoguerra e dei filofascisti delusi. [...] Leggi il resto di questo articolo »
Tra sdegno e amare profezie, “una lotta continua contro tutto ciò che ci può irrigidire in un passato”
Quando è morto, Piero Gobetti aveva 25 anni. Era un giovane prodigioso, destinato a lasciare un segno nella cultura politica dell’Italia del ’900. Ad aiutarci oggi a penetrare nel segreto di questa giovinezza miracolosa ci sono anzitutto le lettere che si scrisse con Ada Prospero, sua moglie. Nel 1918 Piero e Ada avevano rispettivamente 17 e 16 anni. Abitavano entrambi in un vecchio stabile di via XX Settembre a Torino. Dal loro carteggio emerge il percorso di formazione di un adolescente che si costruisce una identità forte, pagando un prezzo molto alto in termini di solitudine e di energie consumate, bruciando la sua fiamma vitale in una febbrile giovinezza improvvisamente troncata dalla morte. «Credo di poter riconoscere», scriveva, «le mie qualità più innate in una fondamentale aridezza e una inesorabile volontà [...]. Ho l’anima e l’inquietudine di un barbaro, con la sensibilità di un cinico; la storia non mi ha dato eredità di sorta; l’ambiente in cui son vissuto non mi ha offerto comunicazioni, non ha alimentato i miei problemi; non devo nulla a nessuno. Se ho voluto la storia me la son dovuto creare io; se ho voluto capire ho dovuto vivere…». Leggi il resto di questo articolo »
Presentazione del ”Vizio oscuro dell’Occidente” e di “Sudditi” a una Casa Editrice americana interessata alla pubblicazione negli Stati Uniti
Il ‘vizio oscuro’ dell’Occidente è, nell’interpretazione di Massimo Fini (scrittore attivo in Italia dal 1985 con ‘La Ragione aveva Torto?’ in cui mette in dubbio gli esiti e le conquiste dell’Illuminismo) la pretesa totalitaria delle Democrazie di omologare a sé, alle proprie istituzioni, ai propri valori, ai propri costumi, ai propri consumi, al proprio modello di sviluppo, l’intero esistente e quindi società e comunità che hanno storie, culture, tradizioni completamente diverse. L’Occidente non è più in grado di tollerare e nemmeno concepire, concettualmente prima ancora che praticamente, ‘l’altro da sé’. Questo totalitarismo ‘democratico’ globale non può avere come risposta che un altrettante totalitarismo, nelle forme del terrorismo globale. Leggi il resto di questo articolo »
Oggi viviamo più che mai in un’era di sacralizzazione della democrazia. Ma, mentre celebra i suoi trionfi, la democrazia è soggetta a così forti motivi di deterioramento da indurre a domandarsi se, sotto l’apparenza, non si celi una realtà che ne contraddice i principi e i presupposti istituzionali e sociali. Fatto è che le istituzioni degli Stati nazionali e la tradizionale divisione dei poteri non sono più in grado, come mostrato dagli eventi che hanno provocato la grande crisi economica del 2008, di regolare e controllare le decisioni dei centri di potere “irresponsabili” che presiedono alla produzione e all’allocazione delle risorse materiali, influiscono in maniera determinante sulla politica degli Stati, plasmano l’opinione pubblica, condizionano pesantemente i processi elettorali. L’autore si sofferma in particolare su tre tipi di regimi: il regime liberale non democratico, il regime liberaldemocratico fondato sui partiti di massa e radicato negli Stati dotati di piena sovranità sul loro territorio e a “economia nazionale”, il regime liberaldemocratico nell’era dell’economia globalizzata, dell’indebolimento dei partiti, dell’avvento del cittadino “video-dipendente”, dello svuotamento progressivo della sovranità degli Stati.
di Massimo Salvadori, ed. Laterza 2009, € 14,00
vedi: La Costituzione repubblicana nata nelle bande partigiane