Articoli marcati con tag ‘politica’

Il breve saggio che segue nella traduzione italiana sul fascismo americano di Donald Trump e le sue analogie con i fascismi europei dello scorso secolo, a firma di Chris Hedges è apparso il 1° marzo sul sito web “truthdig!” e “Counterpunch”, prima delle primarie in Florida e nello Ohio. Chris Hedges, corrispondente dall’estero per il New York Times dal 1990 al 2005, premio Pulitzer per il giornalismo, è autore di numerosi bestsellers, ultimo in ordine di tempo “Salari di ribellione: l’imperativo morale della rivolta”. Si definisce socialista e viene considerato uno dei più acuti, aspri e documentati critici del grande Impero d’Occidente. Lucio Manisco


LA VENDETTA DELLE “CLASSI INFERIORI” E L’ASCESA DEL FASCISMO AMERICANO

Le elites educate nelle università hanno scatenato per conto delle corporazioni una brutale offensiva neoliberale contro i poveri del mondo del lavoro. Ora è stato presentato loro il conto. La loro duplicità – impersonate da politici come Bill e Hillary Clinton e Barack Obama – per decenni ha avuto gran successo. Queste elites, molte formate negli istituti “Ivy League” della costa atlantica, hanno sempre parlato di valori – civiltà, inclusione, condanna del razzismo esplicito, fanatismo bigotto, tutela dei ceti medi – pugnalando poi alle spalle le classi inferiori, nell’interesse dei loro padroni corporativi. Il gioco è ora finito. Leggi il resto di questo articolo »

Al via la campagna per il voto sulla riforma che stravolgerà la Carta. Ecco come rispondere all’offensiva del fronte del “Sì”. Pubblichiamo ampi stralci di un documento preparato per l’associazione Libertà e Giustizia dal professor Gustavo Zagrebelsky in vista del referendum

 

Nella campagna per il referendum costituzionale i fautori del Sì useranno alcuni slogan. Noi, i fautori del NO, risponderemo con argomenti. Loro diranno, ma noi diciamo.

1. Diranno che “gli italiani” aspettano queste riforme da vent’anni (o trenta, o anche settanta, secondo l’estro).

Noi diciamo che da quando è stata approvata la Costituzione – democrazia e lavoro – c’è chi non l’ha mai accettata e, non avendola accettata, ha cercato in ogni modo, lecito e illecito, di cambiarla per imporre una qualche forma di regime autoritario. Chi ha un poco di memoria, ricorda i nomi Randolfo Pacciardi, Edgardo Sogno, Luigi Cavallo, Giovanni Di Lorenzo, Junio Valerio Borghese, Licio Gelli, per non parlare di quella corrente antidemocratica nascosta che di tanto in tanto fa sentire la sua presenza nella politica italiana. A costoro devono affiancarsi, senza confonderli, coloro che negli anni hanno cercato di modificare la Costituzione spostandone il baricentro a favore del governo o del leader: commissioni bicamerali varie, “saggi” di Lorenzago, “saggi” del presidente, eccetera. È vero: vi sono tanti che da tanti anni aspettano e pensano che questa sia finalmente “la volta buona”. Ma questi non sono certo “gli italiani”, i quali del resto, nella maggioranza che si è espressa nel referendum di dieci anni fa, hanno respinto col referendum un analogo tentativo, il tentativo che, più di tutti gli altri sembrava vicino al raggiungimento dello scopo. A coloro che vogliono parlare “per gli italiani”, diciamo: parlate per voi. Leggi il resto di questo articolo »

Non smette di suscitare ammirazione la figura complessa di Piero Gobetti (di cui in questi giorni si celebrano i novant’anni dalla scomparsa). La recente raccolta di alcuni suoi scritti, curata da Paolo Di Paolo e pubblicata da Feltrinelli (Piero Gobetti. Avanti nella lotta, amore mio! Scritture 1918–1926, pp. 220, euro 9,50), ripropone l’immagine di un intellettuale atipico, morto a soli 24 anni, con il fisico debilitato a causa delle percosse squadriste.

Allievo di Einaudi e di Salvemini, vicino a Gramsci e al suo «Ordine Nuovo», Gobetti s’ispira alle lezioni di estetica impartite da Croce. La poesia è il luogo privilegiato di un’interiorità che cerca chiarezza ed espressione. Per questo, il giovane torinese predilige l’«unità» dell’opera di Pirandello rispetto al bieco opportunismo del futurista Marinetti. Sostiene, inoltre, che i critici d’arte non possono occuparsi di questioni marginali, di schematismi e «sillogismi» vari, tralasciando colpevolmente l’autentica bellezza. Dai suoi brani trapela un insolito intreccio tra politica e amore. Il suo stile nervoso, da un lato, accompagna una forte ansia di riforme, dall’altro rende esplicito il suo incontro spirituale con Ada. Leggi il resto di questo articolo »

Piero Gobetti 1901-1926

Tra sdegno e amare profezie, “una lotta continua contro tutto ciò che ci può irrigidire in un passato”

Quando è morto, Piero Gobetti aveva 25 anni. Era un giovane prodigioso, destinato a lasciare un segno nella cultura politica dell’Italia del ’900. Ad aiutarci oggi a penetrare nel segreto di questa giovinezza miracolosa ci sono anzitutto le lettere che si scrisse con Ada Prospero, sua moglie. Nel 1918 Piero e Ada avevano rispettivamente 17 e 16 anni. Abitavano entrambi in un vecchio stabile di via XX Settembre a Torino. Dal loro carteggio emerge il percorso di formazione di un adolescente che si costruisce una identità forte, pagando un prezzo molto alto in termini di solitudine e di energie consumate, bruciando la sua fiamma vitale in una febbrile giovinezza improvvisamente troncata dalla morte. «Credo di poter riconoscere», scriveva, «le mie qualità più innate in una fondamentale aridezza e una inesorabile volontà [...]. Ho l’anima e l’inquietudine di un barbaro, con la sensibilità di un cinico; la storia non mi ha dato eredità di sorta; l’ambiente in cui son vissuto non mi ha offerto comunicazioni, non ha alimentato i miei problemi; non devo nulla a nessuno. Se ho voluto la storia me la son dovuto creare io; se ho voluto capire ho dovuto vivere…». Leggi il resto di questo articolo »

Oggi le persone benpensanti, questa classe intelligente così sprovvista di intelligenza, cambiano discorso infastidite quando sentono parlar di antifascismo [...] Finita e dimenticata la resistenza, tornano di moda gli «scrittori della desistenza»: e tra poco reclameranno a buon diritto cattedre ed accademie. Sono questi i segni dell’antica malattia. E nei migliori, di fronte a questo rigurgito, rinasce il disgusto: la sfiducia nella libertà, il desiderio di appartarsi, di lasciare la politica ai politicanti.

Questo il pericoloso stato d’animo che ognuno di noi deve sorvegliare e combattere, prima che negli altri, in se stesso: se io mi sorprendo a dubitare che i morti siano morti invano, che gli ideali per cui son morti fossero stolte illusioni, io porto con questo dubbio il mio contributo alla rinascita del fascismo.  Leggi il resto di questo articolo »

Pubblichiamo un estratto di “Destra e sinistra addio” (ed. Lindau) di Maurizio Pallante, da ieri in libreria.

Anche le persone meno interessate alla politica si sono rese conto che nei Paesi democratici le differenze tra i partiti più rappresentativi della destra e della sinistra si sono progressivamente attenuate fino a scomparire quasi del tutto. E non perché ci sia stato un avvicinamento reciproco. I partiti di destra non si sono mossi dalle loro posizioni. Anzi, le hanno consolidate con una fermezza tanto più intransigente quanto più i partiti di sinistra si sono spostati, passo dopo passo, a destra, mentre lo spazio che hanno lasciato vuoto veniva immediatamente occupato da partitini che, rivendicando la loro fedeltà agli ideali della sinistra, erano convinti d’intercettare i voti di un elettorato rimasto orfano, senza peraltro riuscirci (…). Leggi il resto di questo articolo »

 

Il nuovo libro di Paolo Flores d’Arcais: il ruolo del pensiero democratico radicale come unico strumento di integrazione di fronte al fanatismo

Molte cose è il libro di Paolo Flores d’Arcais “La guerra del Sacro. Terrorismo, laicità e democrazia radicale” (Raffaello Cortina Editore): un allarme per il pericolo che l’Islam fondamentalista rappresenta per gli ideali politici dell’Occidente, una denuncia delle debolezze e delle ipocrisie dei nostri governi, una teoria delle condizioni irrinunciabili della democrazia. Il “precipitato” di tutti i discorsi anzidetti è nella parola laicità, intesa nel senso più rigoroso, senza gli aggettivi oggi di moda (sana, positiva, vera: aggettivi che non l’arricchiscono, ma l’avvelenano). Le considerazioni che seguono non sono, propriamente, una recensione. Sono piuttosto un tentativo d’inquadrare i problemi e di sollecitare riflessioni su questioni cruciali per il nostro avvenire. Leggi il resto di questo articolo »

REFERENDUM contro il progetto Boschi-Renzi

Dal 2006 al 2016: dieci anni di battaglie per difendere la nostra Costituzione, prima da Berlusconi e ora dal Pd

Carissime amiche e amici, carissimi compagni di strada. 2006-2016: dieci anni della nostra vita e dieci anni e più di impegno per la Costituzione. Per attuarla e aggiornarla. Per non perderla. Per questo vi chiedo di perdonare questa mia lettera a tutti voi, con i quali siamo cresciuti e invecchiati, imparando ad ascoltare, capire e apprezzare le parole di maestri a cui va la nostra gratitudine. PERDONATE se sento la necessità e il desiderio di rivolgermi ancora a voi, perché mentre riconosciamo tra noi una storia che abbiamo scritto insieme, io voglio trasmettervi preoccupazioni e speranze che mi inducono oggi, certo non più giovane di allora e forse nemmeno più saggia, o meno irruente e impulsiva, a riprendere il cammino. Leggi il resto di questo articolo »

Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento del professore Zagrebelsky, letto ieri davanti all’assemblea del comitato del No dal professore Francesco Pallante

Coloro che vedono le riforme costituzionali gravide di conseguenze negative non si aggrappano alla Costituzione perché è «la più bella del mondo». Sono gli zelatori della riforma che usano quell’espressione per farli sembrare degli stupidi conservatori e distogliere l’attenzione dalla posta in gioco. La posta in gioco è la concezione della vita politica e sociale che la Costituzione prefigura e promette, sintetizzandola nelle parole «democrazia» e «lavoro» che campeggiano nel primo comma dell’art. 1. Leggi il resto di questo articolo »

Se l’ex onorevole Carmine Nardone da Benevento, deputato del Pci-Pds per 12 anni, presidente della Provincia per 10 e dirigente del partito (Pd compreso) nei tempi morti, racconta ad Antonello Caporale di aver ricevuto in trent’anni 20 mila richieste di raccomandazione, il calcolo è presto fatto: moltiplicando il suo caso per mille (quanti sono i parlamentari) si arriva a 20 milioni di supplicanti: un italiano su tre. Ma è un’approssimazione per difetto, visto che deputati e senatori hanno una vita parlamentare media di 2-3 legislature e nell’ultimo trentennio le legislature sono 8. Quindi la cifra va perlomeno raddoppiata e arriva a 40 milioni. Poi bisogna detrarre la tara del fattore locale (la raccomandazione è più diffusa al Centro-Sud, dove lo Stato e l’economia latitano) e quella dei genuflessi seriali (chi si piega una volta poi lo fa sempre, specie se tiene famiglia numerosa). Leggi il resto di questo articolo »

LA DEMOCRAZIA della paura ha vinto in Francia con l’arma della retorica xenofoba del Fronte Nazionale. È temuta in tutti i paesi occidentali. Lo si intuisce dalle parole tranquilizzanti usate da Barack Obama nella conferenza stampa tenuta due giorni fa. Il Presidente ha sentito il bisogno di rassicurare gli americani che farà tutto quanto è in suo potere per proteggere la democrazia, aggiungendo che «la libertà è più potente della paura» e deve essere difesa a tutti i costi. Alla sua destra, i candidati repubblicani, Donald Trump in testa, lanciano allarmati proclami di chiusura delle frontiere e perfino di Internet. Il problema è che di fronte a nemici invisibili e spietati, come i terroristi dell’Is, la libertà cerca riparo nelle politiche di emergenza e queste possono a loro volta essere usate da cinici demagoghi per chiedere misure liberticide radicali, nel nome della difesa della nazione. Leggi il resto di questo articolo »

Le grandi manifestazioni per la pace del 2003, quando in tutto il mondo milioni di persone chiesero agli Stati Uniti di non attaccare l’Iraq, rimasero inascoltate. Ma se si parla di guerra non serve un referendum per sapere come la pensano i cittadini di tutto il pianeta. Anche Francois Hollande lo sa, e se decide di bombardare Raqqac pure per piccoli calcoli politici (le prossime elezioni regionali, il timore di un successo del Front national di Marine Le Pen). Vuole apparire sicuro di sé, forte e deciso ma, come ha scritto lo storico indiano Vijay Prashad sul sito di Internazionale, lui e gli altri leader politici occidentali sembrano solo “bambini alle prese con i loro giocattoli: non vedono la sofferenza umana e i terribili risultati delle loro terribili scelte politiche”. Leggi il resto di questo articolo »

TIZIANO TERZANI  (1938- 2004) AD ORIANA FALLACI (1929- 2006)

 

7 OTTOBRE 2001. LETTERA DA FIRENZE

Il Sultano e San Francesco

Non possiamo rinunciare alla speranza

 

Tiziano Terzani

Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi. Leggi il resto di questo articolo »

FinanzCapitalismo: il mostro che uccide la democrazia – in memoria di Luciano Gallino

Ieri ha lasciato il corpo il professor Luciano Gallino, sociologo, studioso dei problemi del lavoro, intellettuale lucido e indipendente. Negli anni giovanili aveva collaborato con Adriano Olivetti. Nei saggi della maturità troviamo analisi profonde e per nulla rassegnate del sistema finanziario globale. Un sistema che concentra il potere nelle mani di pochi e sacrifica tutto al profitto, dai beni comuni alla dignità delle persone. Un sistema che mortifica il principio di uguaglianza e lo spirito critico, svuotando di senso le istituzioni democratiche. Il prof. Gallino chiamava questo mostro Finanzcapitalismo. Ed è questo mostro che occorre abbattere per creare un mondo nuovo, davvero umano. Di seguito una sintesi dell’introduzione al suo saggio Finanzcapitalismo  (Einaudi). Piero Ricca Leggi il resto di questo articolo »

Il 5 novembre del 1977  muore a Firenze dopo una lunga malattia GIORGIO LA PIRA (73 anni) politico, docente universitario, Padre  costituente, Sindaco di Firenze, pacifista, Antifascista e frate laico francescano e domenicano.

La Pira nasce a Pozzallo (RG), in Sicilia, primogenito di una famiglia di umili condizioni e a prezzo di grandi sacrifici riesce a diplomarsi in ragioneria. Il giovane La Pira è affascinato da poeti come Gabriele D’Annunzio e Tommaso Marinetti e dal loro ideale di cambiamento dei costumi ma in seguito rimase fortemente colpito dall’ascolto di un coro di suore, con cui intuì una dimensione ulteriore, finchè nel 1924 approdò alla conversione cristiana con un desiderio di consacrazione per cui diverrà frate laico terziario domenicano già nel 1925, a Messina, assumendo il nome di fra Raimondo. Successivamente divenne frate laico terziario francescano. La Pira scelse di essere “libero apostolo del Signore“, come lui stesso si definì cercando la sua missione nella società. Leggi il resto di questo articolo »

In vista del quarantennale della sua morte violenta, lunedì prossimo, Pier Paolo Pasolini è stato tirato fuori dai cassetti con largo anticipo in una profluvie di iniziative: si sa come avviene ormai nei media, bisogna bruciare i concorrenti sullo scatto di memoria e così tutto avviene prima. Si è detto e scritto più dell’assassinio del poeta, che di lui e delle sue opere. Normale: il primo è ancora nebuloso, le seconde sono lì a disposizione in ogni momento, non è l’anniversario che le espone. Che omicidio è stato quello dell’Idroscalo? Una “semplice” faccenda da “marchettari”? Marchettari su commissione? Ed eventualmente “politica”? E da parte dei fascisti o del potere democristiano generico e specifico attaccato nei suoi scritti da Pier Paolo? Oppure (cfr. il suo amico pittore Zigaina) un “suicidio per delega” in un contesto paleocristiano della psiche di Pasolini? Leggi il resto di questo articolo »

Il 19 ottobre del 1969 muore a Perugia dopo una breve malattia ALDO CAPITINI (69 anni)  educatore, filosofo, politico e Antifascista.

Capitini nacque a Perugia da una famiglia dalle scarse risorse economiche. Per tutta la prima giovinezza, dopo gli studi della scuola tecnica e dell’istituto per ragionieri, compì i suoi studi in campo filosofico e letterario da autodidatta, studiando anche dodici ore al giorno. Con il suo lavoro ininterrotto di approfondimento culturale inizia anche un percorso di approfondimento spirituale che continuerà a seguire per tutta la vita. In questo periodo incontra il pensiero di GANDHI e fa propria l’idea della nonviolenza. Leggi il resto di questo articolo »

Tra politica ed economia il capitalismo è una fisarmonica
Pubblicato per la prima volta in Italia il saggio di Jean Baechler sulle origini del libero mercato nello spazio unificato della cultura europea

Spiegare per quale ragione a un certo punto della storia l’Occidente sia «decollato», ossia perché in una vicenda umana fatta di «società stazionarie» sia nato un piccolo nucleo di «società progressive» – per riprendere le parole del grande giurista inglese Henry Maine –, resta per storici, sociologi ed economisti una delle sfide intellettuali più importanti e affascinanti. Oltre ad avere uno straordinario rilievo storico, poi, a seconda di come la si scioglie la questione può anche cambiare il modo in cui affrontiamo i molti nodi oscuri del nostro tempo. Se sia inevitabile, possibile, o desiderabile, che il modello occidentale sia esportato in tutto il mondo. E, se è inevitabile o possibile e desiderabile, in quale modo se ne possano ammortizzare i costi enormi. Se il passaggio dalle società stazionarie alle progressive sia irreversibile – o se non ci sia invece il rischio che il progresso divori infine se stesso, creando un’instabilità tale da richiedere che si torni alla stasi. Leggi il resto di questo articolo »

L’8 ottobre del 1998 muore a Caccamo (PA) ucciso dalla mafia con colpi di fucile DOMENICO GERACI (44 anni), politico e sindacalista.

Caccamo venne definita da Giovanni Falcone “la Svizzera della mafia”. Probabilmente il giudice si riferiva alla disponibilità finanziaria della mafia locale ma potrebbe esserci un altro significato: Caccamo come una sorta di zona franca di Cosa nostra, un territorio sicuro, neutrale come la Svizzera in cui non si commettevano delitti e dove i mafiosi potevano trovare riparo. Nel 1993 il consiglio comunale venne sciolto per infiltrazioni mafiose.

In questo mondo era nato Geraci, detto anche Mico. Fece l’impiegato della Regione Sicilia e aveva un passato di militanza nella CISL  che lo aveva portato anche nell’ufficio di gabinetto dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura. In seguito Geraci passò alla UIL e si affacciò in politica facendo il  consigliere nel comune di Caccamo. Nel 1994 divenne consigliere provinciale del Partito Popolare Italiano della provincia di Palermo. Leggi il resto di questo articolo »

La politica sembra spezzata tra un dentro che decide e un fuori che sente di avere un ruolo irrilevante

OSCAR Wilde diceva che «il problema del socialismo è che impegna troppe serate ». L’accusa di far perdere tempo ai cittadini occupandoli di politica troppi giorni all’anno era ancora più calzante per la democrazia, anche per questo tradizionalmente poco apprezzata. A giudicare da quel che registriamo nelle nostre società, il problema della panpolitica sembra definitivamente risolto. La situazione è anzi rovesciata: la democrazia non interessa più così intensamente, e la politica occupa pochissimo del tempo dei cittadini, lasciandoli anzi progressivamente più indifferenti.

La fine della democrazia dei partiti ha completato il ciclo dell’interesse per la politica e sancito l’età del disimpegno. L’indifferenza verso la politica è oggi l’emozione più popolarmente estesa, ha scritto Peter Mair nel suo ultimo libro, Ruling the Void (“Governare il vuoto”). Leggi il resto di questo articolo »

Il 27 settembre del 1956  muore a Firenze  PIERO CALAMANDREI (67 anni) Padre della Costituzione Italiana, “Cantore” della Resistenza, Padre Costituente e Combattente per la giustizia come giurista, come uomo politico, come uomo di cultura, Azionista e Antifascista.

Calamandrei è uno dei più grandi Maestri dimenticati: NORBERTO BOBBIO ( 1909- 2004 ) ci ha lasciato un ricordo che mostra il tratto fondamentale della sua vita e della sua opera:

“Il significato profondo della vita di Calamandrei, ciò che rese la sua figura umana così affascinante, si può riassumere brevemente in queste parole: passione e lotta per la giustizia. Combatté per la giustizia come giurista, come avvocato, come riformatore di leggi, come scrittore politico, come uomo politico, in genere come uomo di cultura”.

Di antica famiglia di giuristi (suo padre, professore e avvocato, deputato repubblicano d’ispirazione mazziniana), si era laureato a Pisa nel 1912 e nel 1915 diventa professore di diritto processuale civile all’Università di Messina e, tolta la parentesi della prima guerra mondiale, insegnerà a Modena (1918), a Siena (1920) e, dal 1924 sino ai suoi ultimi giorni, all’università di Firenze di cui fu rettore. Leggi il resto di questo articolo »

«Inside Out», il nuovo cartone animato della Pixar ambientato dentro il cervello di una ragazzina di undici anni, è un’opera geniale e coraggiosa. Ci vuole genio per trasformare le emozioni umane nei personaggi di una storia. E ci vuole coraggio per rivendicare, tra queste emozioni, il ruolo fondamentale della tristezza, raffigurata come una bambina occhialuta, goffa e blu: il colore dello spirito. Per buona parte del film la tristezza si accompagna alla gioia come un intralcio, una ganascia conficcata nelle ruote dell’ottimismo e della felicità. Ma alla fine la sua importanza verrà riconosciuta.

Non così nella vita vera, dove la tristezza è stata espulsa da qualsiasi discorso pubblico e privato. Trattata come un segnale di debolezza, una forma di sabotaggio. Lo sforzo quotidiano di un genitore consiste nell’allontanare dal figlio il fantasma della tristezza, quasi fosse una condanna a morte anziché un’occasione di vita. Ma un po’ tutti ne hanno paura e fastidio, a cominciare dagli imbonitori della politica che ci vorrebbero pervasi da un entusiasmo ilare e beota. Leggi il resto di questo articolo »

” cosa rimane della democrazia se all’opera ci sono oligarchie molto potenti, molto remote, sempre più decisive? “

L’oligarchia è il governo dei pochi, è un sistema che concentra il potere a danno dei molti, in contrasto con l’idea democratica del potere diffuso tra tutti. Oggi viviamo in un tempo in cui la democrazia, come principio, come idea, come forza legittimante, è fuori discussione. Nei nostri regimi democratici perciò, quando l’oligarchia si instaura, lo fa mascherandosi, senza mai presentarsi apertamente, come un’entità usurpatrice. Non si manifesta ma esiste, e si fonda sul denaro, sul potere e sul loro collegamento reciproco: nel sistema finanziario globale il danaro alimenta il potere e il potere alimenta il danaro. Quella finanziaria è una forma oligarchica diversa da quella tradizionale. Sa trasformarsi in pressione politica svuotando di senso la democrazia. La domanda che oggi si pone drammaticamente è perché il sistema debba ruotare intorno al benessere di un potere essenzialmente fondato sulla speculazione e la contemplazione della ricchezza e come fare per tornare a essere, da sudditi, cittadini.

Il libro:  La maschera democratica dell’oligarchia di Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky,  ed. Laterza 2015,  € 9,50 Leggi il resto di questo articolo »

La lezione di Socrate
Per lo più si pensa alla resistenza nei confronti del potere come all’azione di un soggetto collettivo il cui comportamento va orientato o addirittura organizzato. Sempre meno ci si interroga su quella dinamica per così dire “an-archica” che nasce dal disagio etico del singolo, si esprime in un rifiuto delle regole del gioco e in certi casi, rendendosi visibile, contagia e si espande sino ad esprimersi in un vero e proprio dissenso politico.

Esiste una tradizione di pensiero minoritaria che fa di Socrate l’irregolare maestro non tanto di una dottrina filosofica quanto di uno specifico modo di vivere che forza i confini tra etica e politica, tra privato e pubblico, tra interiore ed esteriore. È un’eredità paradossale, questa, poiché recupera l’esempio socratico contro gli effetti di quella tradizione che nasce con Platone, i cui dialoghi hanno appunto Socrate come protagonista. Leggi il resto di questo articolo »

Il funzionamento della democrazia è cosa difficile, stretto tra l’inconcludenza e la forza. Chi crede che si tratti di una battaglia che si combatte una volta ogni cinque anni in occasione delle elezioni politiche e che, nell’intervallo, tutto ti è concesso perché sei il “Vincitore”, si sbaglia di grosso ed è destinato a essere travolto, prima o poi, dal suo orgoglio, o dalla sua ingenuità, mal posti. La prima vittima dell’illusione trionfalistica è il Parlamento. Se pensiamo che si tratti soltanto di garantire l’azione di chi “ha vinto le elezioni”, il Parlamento deve essere il supporto ubbidiente di costui o di costoro: deve essere un organo esecutore della volontà del governo. Altrimenti, è non solo inutile, ma anche controproducente. Le riforme in campo, infatti, sono tutte orientate all’umiliazione del Parlamento, nella sua prima funzione, la funzione rappresentativa. Leggi il resto di questo articolo »

Che fare. Tra nuove schiavitù e sfruttamento intellettuale

Per scegliere come agire conviene partire dalla conoscenza dei dati di fatto. Eccone alcuni, a mio avviso rilevanti:
a) Sta tornando, anche nel cuore di società ricche, la schiavitù; secondo una stima della Cgil in tale condizione si trovano (ma le stime sono riferite a ciò che è visibile, non al sommerso) già 400.000 esseri umani, in larga parte extracomunitari; il “profitto” se ne giova enormemente.
b) Strettamente connesso è il potere incontrastato dei grandi e meno grandi centri mafiosi equamente diffusi nel pianeta. (Con la vittoria della “libertà” a Mosca, anche Mosca è diventato un epicentro mafioso). Le banche riciclano indisturbate il “denaro sporco”, di cui droga, prostituzione, caporalato, ecc. sono l’alimento. Così l’intreccio tra capitale finanziario e malavita si è compiuto. Nella totale passività e complicità dei poteri politici. Leggi il resto di questo articolo »

L’intervento a La Milanesiana torinese dello scrittore greco Petros Markaris “Viviamo in un mondo ossessionato dal denaro e dalla quantità”.

Qual è la maggiore mania del nostro tempo? Il denaro. La nostra vita ruota intorno al denaro. In Paesi come la Grecia, il denaro si identifica con il consumo. Nel Paesi dell’Europa centrale e settentrionale con l’investimento. In entrambi i casi la leva principale della società è il denaro. Il sistema che governa il mondo possiamo chiamarlo globalizzazione, neoliberismo, sudditanza dell’economia ai mercati: in ogni tutti e tre i casi il nucleo sta nella mania del denaro. Leggi il resto di questo articolo »

Dacci la nostra precarietà quotidiana. Le origini del vangelo neocapitalista
Tradotto in Italia il saggio del 1999 di Boltanski e Chiapello. La contestazione del ’68 come apripista della società neoliberale

Mancava ancora, nel nostro Paese (dove, peraltro, si traduce di tutto), un volume pubblicato in Francia nel 1999 con un certo successo di vendite. Un piccolo best-seller decisamente particolare, perché rappresenta una monumentale genealogia culturale dei mutamenti di quell’araba fenice che risponde al nome di capitalismo. Stiamo parlando de Il nuovo spirito del capitalismo dei sociologi Luc Boltanski ed Eve Chiapello, arrivato soltanto adesso nelle librerie italiane (per i tipi di Mimesis, pp. 728, euro 38). Albert Hirschman, Karl Polanyi ed Emile Durkheim quali numi tutelari, una tutt’altro che sottaciuta vis polemica nei confronti di Pierre Bourdieu (di cui Boltanski, direttore di ricerca onorario della parigina École des Hautes Études en Sciences Sociales, fu allievo), questa ponderosa decostruzione intellettuale del neoliberismo proponeva un esame lungimirante dell’evoluzione tardo-novecentesca dei paradigmi della cultura del business (presa molto sul serio, come andrebbe appunto fatto, e come ai francesi, quando ci si mettono di esprit de géometrie, riesce alla perfezione…). Leggi il resto di questo articolo »

IL REFERENDUM greco ha accesso i riflettori sulla scena più contraddittoria e convulsa che si trova a vivere l’Europa da quando ha intrapreso la strada dell’integrazione. Il destino di questo progetto di pace per mezzo della cooperazione è più che mai sospeso tra volontà e intenzioni contrapposte. Alla lucidità dei suoi visionari e fondatori fa seguito oggi una grande opacità, e soprattutto la rinascita prepotente degli interessi nazionali, pronti a usare l’Europa come arma per offendere e umiliare oppure come alibi dietro il quale nascondere la mancanza di volontà decisionale. La visione di un’Unione europea è nata tra le due guerre per sconfiggere i nazionalismi e i nazionalisti. Le direttrici originarie di questa utopia pragmatica furono in sostanza due: quella che faceva perno sulla volontà politica costituente e quella che faceva perno sulla formazione dell’abitudine alla cooperazione mediante regole e accordi economici.

La prima era impersonata da Altiero Spinelli e faceva diretto ed esplicito appello alla volontà degli Stati di darsi un ordine politico federale, un progetto da prepararsi con il lavoro politico e delle idee (come fece il movimento federalista europeo). La seconda era rappresentata da Jean Monnet. Quest’ultima divenne il paradigma ispiratore dell’Unione europea, il cui primo nucleo fu nel 1950 la creazione di un’alta autorità sulla produzione franco-tedesca dell’acciaio e del carbone. Quel trattato sarebbe stato il primo di una serie numerosa di trattati sottoscritti dai governi in tutti i settori di interesse comune. La federazione europea sarebbe cresciuta quindi per accumulazione, senza un fiat fondatore, ma come politica di auto-imbrigliamento degli Stati che avrebbe col tempo costituzionalizzato le pratiche sovrannazionali. Leggi il resto di questo articolo »

Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fìsica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore.

Karl Marx,  Miseria della filosofia, 1847

 

VEDI:  Pensiero Urgente n.194)

Vivere in un mondo non di cittadini, ma di consumatori

I numeri non contano la felicità

La globalità della corruzione

Da quando la crisi ha colpito l’Europa, siamo abituati a dire che l’Unione ha usato la Grecia come cavia. L’animale da esperimento andava sottoposto a una terapia intensiva di austerità, e la cura doveva essere somministrata da un potere oligarchico – la troika – che in parte si spacciava per europeo e addirittura federale, in parte includeva il Fondo monetario ed era quindi internazionale. L’esistenza di un laboratorio greco è pienamente confermata dal negoziato che Svriza ha avviato con l’Unione e il Fmi da quando ha vinto le elezioni del 25 gennaio. È venuto tuttavia il momento di andare più a fondo nell’analisi. Dobbiamo capire la genesi dell’esperimento in corso da cinque anni, e quel che ci dice sull’Europa e sulle finalità del test. Lo scopo comincia infatti a essere chiaro: un’oligarchia tecnico-politica sta usando la Grecia per accrescere il proprio potere disciplinatore nell’Unione, e ciò avviene collaudando un preciso modello di democrazia, de-costituzionalizzata e de-parlamentarizzata. Di questa de-costituzionalizzazione dobbiamo parlare, altrimenti non capiremo come mai gli sperimentatori continuino ad affermare che l’esperimento è stato non solo necessario ma addirittura efficace, pur sapendo che l’efficacia è più che dubbia e che l’Unione è in frantumi. Il Fondo monetario per primo ha confessato nel 2013 di aver mal calcolato gli effetti dell’austerity su crescita e occupazione. Leggi il resto di questo articolo »

Gustavo Zagrebelski e Marco Revelli

GENOVA «È UN mondo fuori misura, e non possiamo continuare a starci dentro». Non in questo modo. «Perché la finanza ha fagocitato la politica, trasformandola in un semplice strumento esecutivo». Gustavo Zagrebelsky e Marco Revelli hanno dialogato per un’ora e mezza, molto più del previsto, ma il pubblico che affollava la sala del Maggior Consiglio avrebbe voluto ascoltarli ancora.

Tra il giurista e lo storico, incalzati da Marco Damilano, è stato un emozionante inseguirsi di riflessioni. Secondo Zagrebelsky, «il dominio della tecnica associata all’economia ha cancellato l’epoca dei limiti, dei confini, e consacrato il potere». Il Dio finanziario.

E la rassegnazione: «Il venir meno dei confini diventa corruzione, dà insignificanza al valore delle cose: la Terra non è più Madre ma un campo di battaglia, continuamente stuprato; gli interessi di pochi prevalgono sul bene comune; la sensibilità che ci portava a scandalizzarci di situazioni subumane e sovrumane, si è persa: viviamo tranquillamente consapevoli che milioni di persone muoiono di fame per colpa di interessi particolari, siamo assuefatti a che un centinaio di “famiglie” monopolizzi tre miliardi di persone».

Revelli ha denunciato lo «spaventoso capitalismo finanziario odierno » figlio della terza rivoluzione industriale: quella informatica. «Si è persa l’orizzontalità di destra-sinistra a scapito della verticalità tra chi sta nell’empireo dei cieli finanziari e chi nell’inferno della terra. Il potere gestionale e decisionale della politica è scomparso».

Così si assiste al paradosso di Atene, dove «l’oligarchia europea (non elettiva) decide della Grecia a prescindere da quello che la Grecia ha deciso: e ordina al governo greco di fare male al proprio popolo». E in Italia? “Siamo un caso da studio degli effetti della globalizzazione sulla politica. Il nostro capo del governo è campione di riduzione dei tempi del potere legislativo e di esasperazione dei poteri dell’esecutivo», risponde lo storico.

Per Gustavo Zagrebelsky, «le vere dimensioni politiche dell’ordine globale sono nell’empireo: i governi le eseguono e fanno polizia interna, dove per buon governo si intende quello fedele». È un mondo destinato ad implodere, come tutti i grandi imperi: «Perché ha la pretese di imporre l’uniformità», spiega il giurista. «Quando si comincia a dire che degli Stati possono fallire, si è molto lontani dall’idea originale: si pensa agli Stati come a della spa. Viviamo in un tempo in cui le alternative non esistono più, o sono bollate come impossibili».

M. Cal.    Repubblica 8.6.15

 

vedi:  La violenza è vicina

La tormenta e il pensiero critico

vedi: Rubare il futuro, la dura legge che incatena le generazioni

Tentazioni, consumo, mercato e religione

I padroni del mondo

L'esperimento su Atene: svuotare la democrazia

Debito e colpa

La democrazia dell’indifferenza

I diritti negati alla Terra e a chi verrà dopo di noi

La peste della memoria inutile


Non viene dai politici, che ne sono solo uno tra gli esecutori. Non è un prodotto degli stati, nemmeno di quelli più potenti. La tormenta segnalata dalle sentinelle del Chiapas (Messico) è già qui. È l’espressione della disperazione, della fragilità e della debolezza di una forma di organizzazione sociale che ha già superato la sua data di scadenza. La tormenta è l’espressione della crisi del capitale che non riesce a farci lavorare sempre più in fretta e con meno dignità, così come impone la dinamica della sua logica di sopravvivenza. Il capitale non riesce a subordinarci completamente e noi siamo la crisi del capitale. Siamo orgogliosi di esserlo, di essere la crisi del sistema che ci sta uccidendo. Un nuovo pezzo essenziale della discussione aperta nel seminario-semenzaio zapatista.

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Pensiero critico: pensiero che cerca la speranza in un mondo dove sembra che non esista più, che apre quel che è chiuso, che scuote quel che è fermo. Il pensiero critico è il tentativo di comprendere la tormenta e qualcosa in più. È capire che nel centro della tormenta c’è qualcosa che ci dà speranza. La tormenta arriva, o meglio è già qui. È già arrivata ed è molto probabile che si vada intensificando. Abbiamo un nome: Ayotzinapa. Ayotzinapa come orrore, e anche come simbolo di tanti altri orrori. Ayotzinapa come espressione concentrata della quarta guerra mondiale.

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Prevedo la spoliticizzazione completa dell’Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi. Lo so: i comitati di quartiere, la partecipazione dei genitori nelle scuole, la politica dal basso… Ma sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche, in definitiva non politiche. La strada maestra, fatta di qualunquismo e di alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e come.

Pier Paolo Pasolini,   Stampa Sera del 9 gennaio 1975

 

vedi:  Vincenti o perdenti la nuova apartheid

L'ombra incompetente dell'Uomo qualunque

Il fascismo... è stato l'autobiografia della nazione.

Il paradosso della Costituzione

L’età dell’indifferenza


Velocità: è una parola dalla storia infinita. Che conosciamo però approssimativamente, evocando il “piè veloce Achille” di Omero o chiedendo Internet rapido (per taluni “un diritto”). Ci sfugge, tuttavia, la molteplice gamma dei suoi significati. La velocità, per fare un esempio stranoto, è una grandezza fisica che gli scienziati, almeno con gli attuali sistemi di riferimento, rapportano al tempo e allo spazio; nel calcolarla ossequiano in ogni loro formula quella della luce. Il Codice della Strada, invece, si preoccupa dei nostri movimenti, fulminando con multe chi non rispetta i controlli diventati più numerosi dei girini in uno stagno Leggi il resto di questo articolo »

Le Florentin», soprannome attribuitogli dalla stampa francese per sottolineare una certa spregiudicatezza nell’uso delle leve del potere. Del resto, lo stesso presidente francese si dichiarò ammiratore e lettore di Niccolò Machiavelli, oltre che del Rinascimento italiano. Agli inizi del Novecento era stato, invece, Benedetto Croce a ragionare sul complesso rapporto fra potere, etica e politica, affermando che nel governo della cosa pubblica l’etica è data dall’efficienza nel conseguire l’interesse collettivo e non dall’adesione ad astratte formule moralistiche. Si tratta di una linea di pensiero di cui Machiavelli (insieme a Dante, l’autore italiano più universale) è certamente il capostipite, seguito da Hobbes, Locke, Weber. Tutto ciò, naturalmente, non significa venir meno, e Croce lo chiarisce bene, ai principi di un’etica collettiva e soprattutto dell’onestà personale. Leggi il resto di questo articolo »

Ci fu l’intelligenza di un rapporto nuovo tra il cittadino e lo Stato. Ci fu un fattore di saldatura che superò ogni altro valore: il recupero della unità nazionale.

IL 26 ottobre 1945 erano passati appena cinque mesi dal 25 aprile. Ferruccio Parri, il presidente del Consiglio dell’Italia liberata — e anche il capo partigiano che aveva portato a Roma il “vento del Nord” — parlava alla Consulta, la prima provvisoria assemblea di uno Stato rinascente. E, ad un certo punto, avvenne il putiferio. Fu quando Parri disse: «La democrazia è praticamente agli inizi: io non so, non credo che si possano definire regimi democratici quelli che avevamo prima del fascismo». È subito dopo che nei resoconti si legge: “interruzioni, rumori, grida di viva Vittorio Veneto!”. Non c’è nulla di meglio di questa scena “parlamentare” che fissi, come in un flash, i due aspetti della Resistenza. Che fu, allo stesso tempo, rottura e ricongiungimento rispetto alla vicenda nazionale e alla sua storia costituzionale. Leggi il resto di questo articolo »

L’intervento del presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky per la commemorazione del 25 Aprile al Cimitero Monumentale di Torino

Dopo settant’anni, le celebrazioni della Liberazione si rivolgono ormai a chi non ha vissuto i fatti o, almeno, i tempi della Resistenza. Quella generazione è quasi scomparsa. Per le nuove generazioni e, soprattutto, per quella di chi oggi è ragazzo, non si tratta di rivivere e rievocare vicende partecipate personalmente. Chi può dire, allora davvero, se non le ha vissute, quali furono le alternative di fronte alle quali si trovarono gli uomini e le donne di allora, i terrori, gli incubi, i pericoli, i dubbi che gravavano sulle coscienze, ma anche i progetti, gli ideali, le speranze che mossero i ribelli al fascismo e al nazismo? TEMPO di scelte tragiche alle quali, per nostra fortuna, da allora non siamo più stati chiamati. Dobbiamo anche oggi prendere posizione, non con le armi ma con la consapevolezza di ciò che allora divise il nostro Paese in una guerra che fu anche una guerra tra Italiani, una guerra civile, tra tutte le guerre la più crudele. E dobbiamo farlo con umiltà, perché noi non siamo stati messi alla prova e non possiamo dire con certezza da quale parte ci saremmo trovati. Leggi il resto di questo articolo »

di Giuseppe Oddo     Il Sole Domenica   12.4.15

Il malgoverno, l’illegalità, il saccheggio delle risorse pubbliche sono divenuti in Italia una condizione permanente realizzatasi a partire dagli anni ’70 con un “golpe invisibile” che ha segnato la storia della prima repubblica, condizionato lo svolgersi della seconda e che lascia appese a un filo di speranza le sorti della terza. Gli artefici di questo degrado materiale, morale e civile del Paese, che hanno reso la democrazia un “simulacro”, sono, a giudizio di Giorgio Galli, la borghesia finanzario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari che già quarantinque anni fa si erano impadroniti della Dc. Il politologo ottantasettenne autore di una produzione saggistica tra le più vaste ed originali osserva come a metà degli anni ’70 si fossero create le condizioni per una svolta che sbarrasse la strada alla finanza d’assalto dei Sindona e dei Calvi e all’avanzata della borghesia di Stato allora rappresentata da Eugenio Cefis. Alle politiche del 20 giugno 1976 il Pci aveva raggiunto il massimo storico del 34,4 per cento. La Dc, al 38,7%, non disponeva più di una maggioranza. Il responso delle urne rendeva attuale una svolta riformista. Leggi il resto di questo articolo »

Il 9 aprile del 1921 muore a Roma ERNESTO NATHAN (76 anni) politico e sindaco di Roma.

Nathan nasce a Londra da una famiglia ebraica. Il padre era un agente di cambio inglese che morì molto presto e la madre era SARA LEVI NATHAN ( 1819- 1882) fervente mazziniana e amica e confidente di MAZZINI con cui ebbe una relazione.

Sara Levi si spese per anni in azioni di sostegno finanziario per la causa risorgimentale oltre che in missioni diplomatiche e di raccordo tra le varie organizzazioni del movimento patriottico italiano. Dopo la morte del padre nel 1859 Ernesto venne in Italia dove visse in varie città. L’influenza di Mazzini e di AURELIO SAFFI ( anche lui amico di famiglia dai tempi di Londra) incise fortemente nella sua formazione e sul suo orientamento culturale e politico insieme all’opera educativa come precettore di MAURIZIO QUADRIO negli anni londinesi. Leggi il resto di questo articolo »

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