Articoli marcati con tag ‘populismo’

Un lungo articolo pubblicato lo scorso 16 settembre dal Corriere della Sera analizza come un muratore calabrese di mezza età, attualmente disoccupato, sia diventato uno degli “influencer politici” più potenti d’Italia. Il signore in questione – che sulle sue pagine condivide concetti atavici scritti in Impact, il classico font dei meme – spiega onestamente che da tutti quei click lui ci guadagna circa 600 euro al mese e che per racimolare questi due spicci ideologicamente “va dove tira il vento”. Leggi il resto di questo articolo »

Il decreto immigrazione. Discriminare, come fa il provvedimento che porta trionfalmente il nome del suo estensore, fra cittadini italiani per nascita e cittadini naturalizzati genera una diseguaglianza di tipo etnico come norma del nostro Stato

La cittadinanza moderna nasce sulle barricate parigine alla fine del Settecento come sviluppo del droit de cité, un diritto “per” e “degli” immigrati. Diritto di entrare e risiedere che consentiva di diventare cittadini a tutti gli effetti, con gli stessi diritti e doveri degli altri, uguali di fronte alla legge e al potere costituito. Leggi il resto di questo articolo »

Non tutti si sono accorti che in Italia è accaduta una sorta di Rivoluzione d’Ottobre nella quale comunità di utenti in rete hanno assaltato ed espugnato il Palazzo d’Inverno delle competenze. La rivoluzione è scoppiata grazie alla miscela esplosiva di quattro ingredienti: l’enorme “ricchezza” digitale di cui quasi tutti oggi dispongono con un cellulare che consente l’accesso alla miniera di informazioni in rete, l’attivismo digitale e la capacità di usare i social per creare dal basso movimenti politici e d’opinione, la rabbia sociale per le difficoltà economiche del nostro Paese, combinata con una capacità di assorbimento ed elaborazione dell’informazione molto bassa (come è ovvio) per chi non ha le conoscenze di base nelle materie in questione. Leggi il resto di questo articolo »

Un acuto editoriale di Leonardo Becchetti su ‘Avvenire’ («Non senza competenze», 19 agosto 2018) ha messo a fuoco il corto circuito tra il vasto consenso politico di comunità organizzate con bassa capacità di elaborazione delle conoscenze e le competenze degli esperti. L’articolo mi ha rimandato alla lettura di un recente prezioso libretto di Alberto Guasco in cui si ripercorre la folgorante meteora del ‘Fronte dell’Uomo qualunque‘, costola politica dell’omonimo giornale di Guglielmo Giannini (Le due Italie. Azionismo e qualunquismo‘, Franco Angeli editore). Leggi il resto di questo articolo »

Piero Calamandrei

Altra causa del discredito del Parlamento è la propaganda di tipo squisitamente fascista che certi giornali e certi partiti continuano a fare anche oggi contro le istituzioni democratiche e più in generale contro ogni forma di libera attività politica: il qualunquismo, prima di diventare un partito che mostra riprodotte in se stesso e ingrandite le pecche e i travagli che quando sorse rimproverava agli altri partiti, non ebbe da principio altro programma che quello, essenzialmente negativo, della insofferenza e della cieca ostilità alla politica, ed ebbe qualche fortuna in certi ceti proprio perché, invece di affaticare il pubblico col forzarlo a pensare a difficili problemi d’ordine generale, lo chiamava allo spassoso tirassegno (tre palle un soldo), consistente nel ricoprire di fango e di contumelie personali gli uomini politici di tutti i partiti al potere. Leggi il resto di questo articolo »

Se il potere è del popolo, ma i cittadini che partecipano alla vita politica sono pochi, poco interessati e poco informati, i risultati del processo decisionale saranno deludenti per tutti.

Alle democrazie manca sempre qualcosa. È giusto così. Forse è persino meglio così perché nelle democrazie è possibile continuare a cercare quello che manca, spesso trovandolo. Democratico è quello che deve essere soggetto al controllo del popolo: governanti, rappresentanti, assemblee elettive, leggi, non, però, la burocrazia, le Forze Armate, la magistratura, le istituzioni scolastiche che debbono rispondere a criteri di efficienza ed efficacia, di conseguimento degli obiettivi decisi dai rappresentanti e dai governanti. Leggi il resto di questo articolo »

I leader dell’attuale governo italiano sono orgogliosi di definirsi “populisti”. Non sono gli unici a rivendicare quel titolo. Il populismo è in ascesa ovunque. Nel 2017, il Cambridge Dictionary lo definì la parola dell’anno. Eppure non c’è un consenso sulle cause che lo hanno generato e diffuso.

Per alcuni, il populismo ha dato voce all’ansia economica prodotta dal processo di globalizzazione in settori della popolazione penalizzati da quest’ultima. Per altri, è stato la reazione alla messa in discussione delle identità culturali tradizionali da parte delle innovazioni indotte dal processo di globalizzazione. Per altri ancora, è nato dalla frustrazione di una globalizzazione che ha reso i governi nazionali responsabili verso i mercati internazionali piuttosto che verso i loro elettorati domestici. Leggi il resto di questo articolo »

Lettera dall’Europa

Si sono ritrovati, come ogni anno, anche in questo inizio d’estate del 2018. È la decima volta, quasi non credono ai loro occhi. Dieci anni che si riuniscono in un paesino italiano, legati dall’ammirazione per Leopold Unger, alias Pol Mathil, il grande giornalista polacco scomparso che amavano tanto e la cui penna ha lavorato da Bruxelles a Varsavia per The Herald Tribune, Le Soir, Gazeta Wyborcza o Radio Free Europe. Leggi il resto di questo articolo »

L’antipolitica trionfa, si diffonde allegramente in un Paese anarcoide come il nostro. L’antipolitica, che vorrebbe essere una specie di smacchiatore della coscienza pubblica, si sta trasformando in odio e disprezzo per le istituzioni. Un odio pericolosissimo, perché le istituzioni servono per garantire la democrazia.

Dove le istituzioni e le leggi non funzionano, dominano i più ricchi e i più potenti. Molti, in buona fede, e spinti da una sincera indignazione contro i guasti della politica, hanno pensato che, distruggendo le istituzioni si poteva ricominciare tutto da capo e con purezza. Leggi il resto di questo articolo »

M5S-Lega. Sono andati in pezzi i modi in cui si sono formate tutte le nostre categorie politiche, le identità, dalla destra alla sinistra

Da oggi, come si suol dire, «le chiacchiere stanno a zero». Nel senso che le nostre parole (da sole) non ci basteranno più. D’ora in poi dovremo metterci in gioco più direttamente, più “di persona”: imparare a fare le guide alpine al Monginevro, i passeur sui sentieri di Biamonti nell’entroterra di Ventimiglia, ad accogliere e rifocillare persone in fuga da paura e fame, a presidiare campi rom minacciati dalle ruspe. Perché saranno loro, soprattutto loro – non gli ultimi, quelli che stanno sotto gli ultimi – le prime e vere vittime di questo governo che (forse) nasce.

Dovremmo anche piantarla con le geremiadi su quanto siano sporchi brutti e cattivi i nuovi padroni che battono a palazzo. Quanto “di destra”. O “sovranisti”. Forse fascisti. O all’opposto “neo-liberisti”. Troppo anti-europeisti. O viceversa troppo poco, o solo fintamente. Leggi il resto di questo articolo »

“I social permettono alle persone di restare in contatto tra loro, ma danno anche diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto di parola dei premi Nobel”.

(dal discorso di Umberto Eco all’Università di Torino, in occasione della laurea honoris causa in Comunicazione e Culture dei media – 11 giugno 2015)

Popolo e populismo. Pur avendo la stessa radice, i due termini al giorno d’oggi – in Italia e in tutto l’Occidente – stanno diventando antitetici. Dall’America di Donald Trump fino alla nostra povera Europa, insidiata dai nazionalismi e dai sovranismi, il populismo è ormai sinonimo di anti-sistema, anti-establishment, anti-élite. E rischia di degenerare perciò nel ribellismo, nell’autarchia o in quella che con un ambiguo neologismo si chiama “democratura”. Ovvero, nell’ossimoro della “democrazia autoritaria”. Leggi il resto di questo articolo »

Uno sconosciuto mi scrive che «la discrezionalità del presidente della Repubblica nella scelta dei ministri è nulla. Punto e basta» (mi ricorda un amico credente che chiudeva le discussioni attorno a Dio dicendo «è ontologico». Cioè: punto e basta). Ma non è soltanto il primo che passa, lo dicono in molti, lo dice anche Giorgia Meloni – focosa custode della Costituzione contro la riforma di Matteo Renzi – allibita dalle «ingerenze» di Sergio Mattarella. Una prerogativa costituzionale diventa ingerenza: punto e basta. E del resto – come scrive Giovanni Orsina nel suo imperdibile «La democrazia del narcisismo»la democrazia fu il trasferimento della promessa di felicità dall’aldilà all’aldiquà. Leggi il resto di questo articolo »

“Bisogna ricominciare a distinguere che altro è il lavoro professionale redditizio e altro l’ufficio politico gratuito, e che chi mescola le proprie cariche politiche con i propri affari personali, inquinando nello stesso tempo la vita privata e la vita pubblica, le ragioni della politica e quelle della scienza e dell’arte, non è un grande politico, né un grande scienziato, ma è semplicemente un miserabile cialtrone”.

Chi pensate lo abbia scritto? Un antiberlusconiano invasato, da anni in attesa di veder finalmente approvata una vera legge sul conflitto d’interessi? Un antirenziano moralista che storce il naso davanti alle riunioni di corrente tenute da Matteo Renzi negli uffici dell’azienda farmaceutica di famiglia del capogruppo Pd al Senato, Andrea Marcucci? O peggio ancora un indefesso populista demagogicamente convinto che “la politica non è una professione e che gli onori si chiamano così perché non danno guadagno”. Leggi il resto di questo articolo »

I movimenti populisti nati in questo decennio di crisi hanno rivendicato una rappresentanza popolare al di là di destra e sinistra. Lo ha fatto Podemos e lo fa il M5S. Anche il centrosinistra ha flirtato con questo paradigma generalista. Ricordiamo la recensione di Matteo Renzi alla nuova edizione di Destra e sinistra di Norberto Bobbio del 2014, dove l’appena insediato presidente del Consiglio scrisse che la distinzione più aderente alla realtà era conservazione/ innovazione, non più destra e sinistra. Leggi il resto di questo articolo »

La crisi della sinistra

Recentemente è apparso un libro bellissimo, Popolocrazia, di Ilvo Diamanti e Marc Lazar, che mi augurerei fosse letto dal numero più ampio di italiani, e in modo particolare di politici italiani, per la natura precisa e circostanziata delle analisi. La mia opinione è che il termine- concetto “ populismo” sia inappropriato alla materia che pretenderebbe di descrivere: e che perciò, usato a sproposito (non è certo il caso di Diamanti e Lazar), possa produrre qualche equivoco.

Perché “ inappropriato”? Perché il termine- concetto, da cui esso prende ovviamente origine, è a sua volta desueto e inappropriato alla materia da descrivere. In che senso? Nel senso che il “popolo” — non più in questo caso termine- concetto, ma realtà politico- sociale attivamente presente sul piano storico — sta uscendo di scena da diversi decenni. Dove accade questo? In tutte — io penso — le forme di democrazia rappresentativa esistenti e funzionanti nel mondo occidentale, ma soprattutto qui in Italia. Leggi il resto di questo articolo »

Nel 1994, quando Berlusconi arrivò in politica e vinse, con lui era sceso in campo il ceto medio, il mondo delle partite Iva, la piccola imprenditoria, vogliosi di mettersi in proprio e di costruirsi una loro proiezione pubblica, diventando protagonisti. Era una specie di istinto di classe (difensivo e aggressivo nello stesso tempo) che si faceva partito, prendendo forma politica e cambiando il paesaggio dell’intero sistema. Ventiquattro anni dopo non c’è un blocco sociale che porta i suoi interessi dentro il gioco istituzionale, non c’è un ceto che aspira alla guida della cosa pubblica. Quella che è in atto è una cosa diversa: una grande sostituzione. Leggi il resto di questo articolo »

Il cognitivista Albert Bandura analizza il disimpegno morale, il meccanismo che si adotta per commettere il male invocando attenuanti

C’è una ragione se il kantiano “legno storto” non si raddrizza. Siamo circondati dal risentimento verso politici corrotti e ce n’è ben qualche ragione. Ecco che i tribuni che invocano purezza ideale e morale guadagnano punti, ma trovano presto un limite alla loro espansione elettorale, perché l’idea di un “popolo” puro contrapposto a un manipolo di cattivi non sta in piedi, dal momento che la politica inquinata affonda le radici (e svolge la sua attività) in quel medesimo popolo, con scambio di favori, dati e ricevuti.

Al raddrizzamento totale tocca rinunciare a causa della “natura della natura umana”; quella è cosa da lasciare a orrende dittature, sempre fallimentari, ma la conoscenza sottile della “stortura” mostra che migliorare è possibile. Leggi il resto di questo articolo »

A giudicare dalla valanga di pubblicazioni sulla sua “crisi” la democrazia non sembra godere di buona salute, anche se non è facile misurare con oggettiva certezza il senso del suo stato di crisi, esso stesso una questione di opinione o “feeling”; e poi perché le forme di aperta critica all’establishment sono esse stesse segno di una società libera e ospitale al dissenso, e in questo solidamente democratica (in fondo, perché l’opposizione aspiri a diventare maggioranza deve sviluppare argomenti contro l’establishment).

Dunque, perché “crisi”? Quando si parla di “crisi” si parla in effetti di una crisi di funzionalità della rappresentanza nella forma attuale che è partitica: questo sembra essere l’oggetto vero di insoddisfazione. Di crisi della democrazia dei partiti ha senso parlare dunque, nonostante il fatto che il nuovo secolo si sia aperto con la certezza che questa forma di governo e di pratica politica sia comunque la piú elastica ad assorbire le trasformazioni sociali e tecnologiche; e nonostante il fatto che la democrazia costituzionale abbia vinto la competizione con tutti i sistemi politici che si sono succeduti a partire dal secolo delle rivoluzioni settecentesche. Leggi il resto di questo articolo »

La voglia di fascismo? È indole italica, ci conosciamo: tanti, piccoli capetti. Sta dilagando e non ci cambierà una legge.

Allarme (non più All’armi) siam fascisti! Come può essere capitato? A noi (pardon), noi italiani democratici che abbiamo scritto la Costituzione vietando al partito che fu di Mussolini di rinascere. “L’Espresso” ci fece una copertina qualche settimana fa . C’erano Grillo, Salvini e Berlusconi con fez e manganello. Tempesta di critiche. E avevano ragione (a propria insaputa) i lettori (di destra) che ci hanno ricoperti di insulti. Non dovevamo disegnare solo loro, ma gli italiani: il popolo nato con la camicia (nera) convinto di avere fatto i conti con la propria indole, prima ancora che con la storia, a suon di leggi e divieti. Leggi il resto di questo articolo »

IL FASCISMO non è mai morto. Rappresenta il bisogno di certezza comunitaria e gerarchica in una società individualistica. E nonostante i simboli sbandierati, non è un ritorno al passato. L’ombra del fascismo si stende sulla democrazia, anche quando, come la nostra, è nata nella lotta antifascista.

La ragione della sua persistenza non può essere spiegata, semplicisticamente, con il fatto che non ci sia sufficiente radicamento della cultura dei diritti. Si potrebbe anzi sostenere il contrario. Ovvero, che sia proprio la vittoria della cultura dei diritti liberali (e senza una base sociale che renda la solitudine dell’individuo sopportabile) ad alimentare il bisogno di identità comunitaria. Leggi il resto di questo articolo »

L’ETÀ dell’indifferenza: questo il titolo che possiamo dare alle ricerche demoscopiche più recenti sullo stato della coscienza politica dei cittadini italiani. Indifferenza, soprattutto nel caso dei giovani tra i 18 e i 34 anni, per le tradizionali divisioni tra destra e sinistra. Lo conferma il Rapporto Giovani 2017 dell’Istituto Toniolo, realizzato in collaborazione con Fim Cisl.

I giovani non sono indifferenti alle questioni di giustizia (e di ingiustizia) sociale — alla crescita della diseguaglianza, al declino delle eguali opportunità, al valore tradito del merito personale: insomma agli ideali che dal Settecento in poi sono stati rubricati sotto le bandiere delle varie sinistre. E dunque, in questo senso, non vi è indifferenza per quella divisione antica. Leggi il resto di questo articolo »

«La globalizzazione è la condizione economica in cui un esercito di schiavi produce per un esercito di disoccupati». La formula di Marine Le Pen in poche parole coglie una delle contraddizioni del tempo che viviamo. Il giudizio è ovviamente impietoso. La globalizzazione non ha fatto solo disastri: ha ridotto la distanza tra le diverse parti del mondo, migliorando le condizioni di vita di milioni di persone. E tuttavia, questo slogan, al di là delle intenzioni, tocca questioni vere.

In realtà, per molti anni le magagne della crescita sono state nascoste da una finanziarizzazione in grado di sostenere consumi a debito. Ma dopo il 2008 il gioco non ha più funzionato. Quello che le élite non hanno capito è che, nelle nuove condizioni in cui ci troviamo a vivere, la «globalizzazione» viene letta come un modello che avvantaggia solo pochi a danno di molti (a cui si chiede di portare pazienza). É questo il disagio che i sistemi politici registrano. I temi su cui i populisti prosperano sono, infatti, tutti reali. Leggi il resto di questo articolo »

Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita”. Quando Gaber e Luporini scrivevano queste parole pensavano a persone come Alfredo Reichlin. Leggi il resto di questo articolo »

Signor direttore,

le accuse di populismo vanno nella giusta direzione, qualcuno non ama il popolo, ed ecco svelata la verità del perché siamo orgogliosi di essere populisti. Perché siamo il popolo sovrano e la sovranità appartiene al popolo, siamo populisti perché amiamo la nostra Costituzione e la vogliamo cambiare togliendo immunità e privilegi incompatibili con la giustizia sociale, siamo populisti perché in Italia devono nascere aziende italiane non multinazionali anonime (…) in mano a banche straniere, siamo populisti perché vogliamo tornare a votare e non vogliamo essere governati dalla JP Morgan o dalla Philippe Morris o da Amazon, siamo populisti perché le tasse le devono pagare tutti compresa la Fiat che fattasi grande con il Made in Italy se ne va nei paradisi fiscali e lascia agli italiani il solo onere di pagare le tasse al suo posto (…), Leggi il resto di questo articolo »

Egregio direttore, le scrivo in merito all’articolo comparso sulla prima pagina del suo giornale del 17 Febbraio con il titolo: Gli zaini pieni contano più delle parole, a firma del signor Paolo Rossi. Mi spiace dirlo, ma a me è sembrato come il festival dell’ovvietà, del qualunquismo e di quell’antico approccio ideologico che il signor Rossi vorrebbe che la sua parte politica accantonasse, recuperando un suo ruolo identitario, innovandolo, senza rifugiarsi in un passato che non c’é più (parole sue). Leggi il resto di questo articolo »

Riflettori puntati sull’affermazione di leader forti. Sostenuta senza mezzi termini da Grillo, è incarnata nell’attualità dal decisionista Trump e da Marine Le Pen, candidata-presidente a donna forte francese che sfida Europa e Nato. Secondo “La Politica” di Aristotele, che si può considerare un testo evangelico per le democrazie moderne, la debolezza delle classi medie è la causa dell’ascesa di capi demagoghi- tiranni al tempo, “uomini forti” oggi. Accade quando in un Paese i ricchi diventano sempre più ricchi e potenti e, al contempo, aumenta il disagio sociale tra la maggioranza della popolazione. Leggi il resto di questo articolo »

Diceva Tino Faussone, il montatore di gru de “La Chiave a stella”, che «amare il proprio lavoro è la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra». Il personaggio di Primo Levi, si sa, non lavorava solo per lo stipendio a fine mese, ma soprattutto perché attraverso l’agire si realizzava come persona. Ciò gli era permesso da un insieme di concause favorevoli: le competenze (il “know how”); l’accuratezza e lo scrupolo (chissà se doti naturali o maturate nei decenni); l’esperienza (quindi gli errori del passato come bagaglio culturale). Leggi il resto di questo articolo »

Dovremmo essere i soli a pagarne le conseguenze ma non sarà così. Ci aspettano anni di barbarie

Caro mondo, ti chiedo scusa. Mi dispiace per quello che è accaduto e per quello che sta per accadere. Non ti meriti la sfrenata barbarie degli anni a venire. Se qualcuno se la è meritata, siamo noi. Siamo stati noi a combinare questo pasticcio e dovremmo essere i soli a pagarne le conseguenze. Ma nella notte elettorale, insieme a tante altre cose, anche la parola «dovremmo» ha perso senso. Leggi il resto di questo articolo »

C’è un luogo comune sull’America che è rimbalzato nei media tradizionali e sui social media in queste settimane: a fronte dei colpi bassi tra i candidati e degli scandali, svelati o annunciati addirittura da agenzie pubbliche come l’Fbi, cadono i miti sull’America delle regole e della democrazia. Un luogo comune che non coglie nel segno perché non è una novità che la politica americana superi l’immaginazione quanto a spietata durezza. Leggi il resto di questo articolo »

LA CRISI che i partiti socialisti attraversano in tutta Europa, raccontata venerdì su Repubblica, è passeggera o segnala la fine di un ciclo storico? Non dovremmo stupirci se questa seconda ipotesi si avverasse. In fondo anche i partiti cristiano-democratici, un tempo dominanti nel cuore dell’Europa, si sono ora ridotti a poca cosa. Solo in Germania, grazie ad una virata in senso conservatore operata già alla fine degli anni Settanta, resiste ancora un partito di antiche radici confessionali, la Cdu di Angela Merkel. Questo partito ha mantenuto, e persino accresciuto in alcune fasi, il suo peso perché ha diluito il connotato religioso ormai incapace di convogliare consensi di massa ma, allo stesso tempo, non ha abbandonato i suoi referenti sociali privilegiati, agricoltori, lavoratori autonomi e piccola borghesia. Se un fattore identitario, come quello religioso, scoloriva, in compenso rimanevano saldi i riferimenti sociali, e i loro interessi venivano difesi senza esitazioni. Leggi il resto di questo articolo »

A proposito dell’editoriale di Scalfari di domenica scorsa: “In democrazia sono pochi al volante e molti i passeggeri.” L’oligarchia scalfariana.

Eugenio Scalfari è persona tenace e combattiva e non molla nella sua battaglia per l’oligarchia, ai suoi occhi realistica espressione della democrazia. Ma in tutti i dizionari, enciclopedie e saggi di scienze politiche e costituzionali l’oligarchia viene duramente condannata: l’oligarchia, cioè il governo dei pochi è il contrario della democrazia che è il governo del popolo, cioè di tutti i cittadini, come si legge anche nella Costituzione italiana. Questa tesi Scalfari l’aveva già espressa nel suo editoriale di domenica 2 ottobre e l’ha ribadita domenica scorsa 9 ottobre con un editoriale dal titolo “In democrazia sono pochi al volante e molti i passeggeri.” Leggi il resto di questo articolo »

“Ora che il governo della Repubblica è caduto nel pieno arbitrio di pochi prepotenti, re e tetrarchi sono divenuti vassalli loro, a loro popoli e nazioni pagano tributi: noi altri tutti, valorosi, valenti, nobili e plebei, non fummo che volgo, senza considerazione, senza autorità, schiavi di coloro cui faremmo paura sol che la Repubblica esistesse davvero. Ma chi, chi se è un uomo, può ammettere che essi sprofondino nelle ricchezze e che sperperino nel costruire sul mare e nel livellare i monti, e che a noi manchi il necessario per vivere? Che essi si vadan costruendo case e case l’una appresso all’altra e che noi non si abbia in nessun angolo un tetto per la nostra famiglia? Leggi il resto di questo articolo »

La ricetta dello studioso francese Pierre Rosanvallon: “La democraticità delle elezioni va unita alla democraticità dell’azione di governo”.
Intervista di Fabio Gambaro

PARIGI «Inostri regimi possono essere considerati democratici, noi però non siamo governati democraticamente». Parte da questa amara constatazione il nuovo utilissimo saggio di Pierre Rosanvallon, “Le bon gouvernement” (Seuil), ultimo capitolo della sua ormai più che decennale riflessione sulle forme e i caratteri della democrazia. In queste pagine lo studioso francese che insegna al Collège de France parte dall’insoddisfazione dei cittadini di fronte a governi che non rispettano le regole della trasparenza e della responsabilità, proponendo oltretutto politiche confuse e illeggibili. Motivo per cui considera urgente tracciare una mappa delle regole del buongoverno e delle modalità che consentano ai cittadini di esercitare un controllo più stringente sulle azioni della politica. Solo il buon governo, infatti, può battere il disincanto democratico. Leggi il resto di questo articolo »

LA DEMOCRAZIA della paura ha vinto in Francia con l’arma della retorica xenofoba del Fronte Nazionale. È temuta in tutti i paesi occidentali. Lo si intuisce dalle parole tranquilizzanti usate da Barack Obama nella conferenza stampa tenuta due giorni fa. Il Presidente ha sentito il bisogno di rassicurare gli americani che farà tutto quanto è in suo potere per proteggere la democrazia, aggiungendo che «la libertà è più potente della paura» e deve essere difesa a tutti i costi. Alla sua destra, i candidati repubblicani, Donald Trump in testa, lanciano allarmati proclami di chiusura delle frontiere e perfino di Internet. Il problema è che di fronte a nemici invisibili e spietati, come i terroristi dell’Is, la libertà cerca riparo nelle politiche di emergenza e queste possono a loro volta essere usate da cinici demagoghi per chiedere misure liberticide radicali, nel nome della difesa della nazione. Leggi il resto di questo articolo »

Il Partito Democratico ha deciso di riformare la Costituzione della Repubblica Italiana da solo. Il compito è stato facilitato dall’Aventino delle opposizioni e si giustifica con la certezza del suggello plebiscitario che verrà (detto impropriamente “referendum” dalla Costituzione del 1948). La strategia e il processo di riforma suggeriscono il carattere del nuovo sistema istituzionale che questi cambiamenti disegnano: una democrazia cesaristica (che sarebbe piaciuta a Sieyès e Schmitt e per nulla a Condorcet e Kelsen). Leggi il resto di questo articolo »

DEL Senato della nuova era, tutto il dicibile è stato detto e ridetto. Ora non si tratta più d’idee, ma di numeri, di patti misteriosi che “tengono” o “non tengono”, di “aperture” o “chiusure”, cioè di strategie politiche. Interessa, invece, lo sfondo: ciò che crediamo di comprendere della nostra crisi e delle sue forme. Che valore hanno il tanto pervicace impegno per “le riforme” costituzionali e l’altrettanto pervicace impegno contro? Pro e contra, innovatori e conservatori. I pro accusano i contra di non voler assumersi le responsabilità del cambiamento che il momento richiede e di difendere rendite di posizione dissimulandole come difesa della Costituzione. I contra, a loro volta, accusano i pro di coltivare la vacua ideologia del nuovo e del fare a ogni costo, in realtà servendo interessi ai quali ostica è la democrazia. Le ragioni della divisione sono profonde, spiegano l’asprezza del contrasto e giustificano le preoccupazioni. Leggi il resto di questo articolo »

HO SCOPERTO in questi giorni di detenere da anni un potere immenso. Faccio parte di un “manipolo di professoroni” (così veniamo graziosamente apostrofati) che è riuscito nell’impresa di sconfiggere le velleità riformatrici di Craxi e Cossiga, di D’Alema e Berlusconi, e oggi intralcia di nuovo ogni innovazione. Usiamo un’arma impropria — “la Costituzione più bella del mondo” — per terrorizzare politici pavidi e cittadini timorati.
So bene che al grottesco, alla mancanza di senso delle proporzioni, all’assenza di informazioni accurate è difficile porre ragionevoli limiti. Ma qualche chiarimento può essere utile, per evitare che venga inquinata una discussione che si vorrebbe seria. Leggi il resto di questo articolo »

Un aspetto impressionante, nella crisi che traversiamo, è l’impreparazione dei popoli. Non è l’impreparazione di chi si sente riparato. La crisi, inasprendo ineguaglianze divenute smisurate lungo gli anni, pesa sui popoli da tempo. Ma questa volta gli animi sono impauriti, disorientati, come se mancasse loro una bussola che indichi dove sta, veramente, il Nord. Nei Paesi più colpiti, come la Grecia, la disperazione può sfociare in guerra civile: come può sdebitarsi una nazione così sprofondata nella recessione, senza sfasciarsi? Nei Paesi che stanno meglio, come la Germania, cresce un isolazionismo antieuropeo non meno intirizzito. In Italia il disorientamento è diverso: la democrazia è talmente guastata, il legame sociale talmente liso, l’opinione talmente disinformata, che ciascuno scorge nella crisi qualcosa che concerne gli altri, mai se stesso. Leggi il resto di questo articolo »

Il concetto di populismo non è a mio giudizio in grado di interpretare in modo adeguato la vicenda italiana degli ultimi venti anni e, in modo specifico, le posizioni di cui è stato massimo artefice e protagonista Silvio Berlusconi. Quello su cui i classici insistono quando si parla del popolo è la dimensione della totalità, del tutto sulle parti, della comunità sugli individui. (…) Berlusconi non si è mai mosso in una prospettiva comunitaria e organicistica, cioè populistica (come invece ha fatto, almeno in parte, Bossi); ma, anzi, ha accentuato – fino a stravolgerli in senso dispotico – il carattere e la dimensione strutturalmente individualistica della «democrazia dei moderni». Con il suo messaggio ha proposto, e fatto diventare modello di vita e senso comune, una sorta di bellum omnium contra omnes; per riprendere la distinzione di Hobbes, ha sostenuto, e anche realizzato, una regressione dalla «società politica» alla «società naturale». Da questo punto di vista, rispetto al movimento della società moderna, e al significato in esso assunto appunto dalla politica, Berlusconi si è mosso come il granchio: è retrocesso dalla storia alla natura; dalla legge al primato degli spiriti animali. Leggi il resto di questo articolo »

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