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Lo spazio pubblico è cannibalizzato dagli “eventi”, la logica dell’immediatezza prevale sull’investimento di lungo periodo

Nel 2011, alle Ogr di Torino, si tenne la mostra celebrativa per il 150° anniversario dell’unità d’Italia: una cattedrale fordista, un luogo di culto dell’organizzazione del lavoro novecentesco, fu trasformata nel palcoscenico di una rappresentazione della nostra storia dal 1861 a oggi. Alla fine la mostra fu smantellata e non ne rimase più niente, tranne la scenografia utilizzata per raccontare la mafia, ereditata dai giovani di Libera e installata in una cascina sequestrata alla criminalità organizzata. Poche settimane fa, le stesse Ogr hanno visto l’inaugurazione di un nuovo polo culturale destinato a incidere sul futuro di Torino. L’evento è stato salutato con entusiasmo dai media. Nessun accenno, neanche minimo, è però emerso ai successi del 2011, archiviati nell’indifferenza, sprofondati nell’oblio.

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La crisi che da anni ormai ha invaso l’Occidente e minaccia addirittura di portare il nostro Paese al  tracollo impone una riflessione su tutto il sistema di vita. Perché non è solo crisi di produttività, ma  anche di valori e azzanna non solo il lavoro, ma anche la salute, l’ambiente, i rapporti sociali. L’esempio dell’Ilva di Taranto è emblematico. La fabbrica d’acciaio dà lavoro a decine di migliaia di  lavoratori, ma diffonde nell’aria sostanza cancerogene che minano la salute dei lavoratori stessi e  delle famiglie dell’intera zona. Richieste sacrosante quelle della salute, ma altrettanto lo sono quelle  del lavoro. Contraddizioni che spetta all’organizzazione del lavoro e alla politica di conciliare. Gli  esempi si moltiplicano e si accavallano anche le contraddizioni. Leggi il resto di questo articolo »

La società, una volta raggiunto lo stadio avanzato della produzione di massa, produce la propria distruzione. La natura viene snaturata. Sradicato, castrato nella sua creatività, l’uomo è rinserrato nella propria capsula indivi­duale. (…) L’affannosa ricerca di modelli e prodotti sempre nuovi, cancro del tessuto sociale, accelera a tal punto il mutamento da escludere ogni ricorso ai precedenti come guida per l’azione. Il monopolio del modo di produzione industriale riduce gli uomini a materia prima lavorata dagli strumenti. E tut­to questo in misura non più tollerabile. Poco importa che si tratti di un mo­nopolio privato o pubblico: la degradazione della natura, la distruzione dei legami sociali, la disintegrazione dell’uomo non potranno mai servire a uno scopo sociale.

Ivan Illich (1996- 2002) scrittore e pedagogista austriaco,   in “Convivialità”, 1973

 

vedi:  La natura è maligna ma la colpa è solo dell’uomo


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