Articoli marcati con tag ‘unità d’italia’

12 gennaio 1849, 164 anni fa.  Un teatro, un popolo, quello romano, giovani organizzatori animati da idee mazziniane, liberali, democratiche. Strade intorno a piazza Nicosia, a Roma, piene di entusiasmo, attesa, domande.

Da uno dei giornali più letti a Roma in quegli anni:  ” Il Comitato dei Circoli Toscani trasmutato a norma degli avvisi già pubblicati in Comitato dei Circoli Italiani previene il Popolo Romano che in questa sera a ore 8 nel Teatro Metastasio terrà una seduta pubblica… Roma 12 del 1849 “  ( Da L’Epoca n. 244 del 12 gennaio 1849). Leggi il resto di questo articolo »

Dobbiamo ricominciare. Ancora ricominciare. Ricominciare da Mazzini, da Garibaldi e dalla loro visione d’Italia. Visione che venne rifiutata e ricacciata in un esilio perenne dall’Italia piemontesizzata e opportunistica di Cavour e Vittorio Emanuele II. Ricominciare da Pisacane, Mameli, Filopanti, Saffi, Costa e altri nomi preziosi poi fusi insieme con coloro che fecero un’Unità d’Italia ben lontana dai valori risorgimentali. Leggi il resto di questo articolo »

 

Il 29 agosto del 1862, in Aspromonte,  Giuseppe Garibaldi viene ferito ad un piede dalle truppe del neonato Regno d’Italia. Garibaldi sta risalendo l’Italia, dal 27 giugno del 1862, per liberare Roma dal dominio pontificio e dalla presenza delle truppe francesi. Mentre ripercorre le orme della Spedizione dei Mille di appena due anni prima i Bersaglieri, guidati dal generale Pallavicini, lo fermano e lo feriscono sull’Aspromonte, in Calabria, nonostante che Garibaldi avesse dato ordine di non sparare sulle truppe italiane. Il suo feritore, il tenente Luigi Ferrari, ferito anche lui, sarà onorato con una medaglia d’oro. Garibaldi, invece, benchè ferito verrà arrestato e tradotto nella fortezza di Varignano, vicino La Spezia.  Alcuni militi che avevano abbandonato l’esercito regolare per unirsi a Garibaldi saranno fucilati. 1909 garibaldini saranno arrestati.

Il 29 agosto 1862 finisce drammaticamente  il Risorgimento. Quello di Garibaldi, Mazzini, Pisacane, Mameli, dei Fratelli Bandiera e di tanti altri. Quello della Repubblica Romana e della Repubblica di Venezia del 1849. Quello delle Cinque Giornate di Milano del 1848. Finisce il Risorgimento degli ideali e delle speranze di un’Italia veramente civile, libera, repubblicana, democratica, emancipata. Inizia un’altra storia, quella che arriva fino all’Italia di oggi: l’Italia triste, opportunista ed impresentabile che vediamo… chi è capace di vederla.

 

vedi:  Il suicidio morale dell’Italia, 17 marzo 2011: quale Italia?

 

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La sera del 2 gennaio 1849  la popolazione di Roma venne convocata a piazza Santi Apostoli per formare un corteo che arrivò al Campidoglio con le bandiere dei rioni, bande musicali, la Guardia Civica e le truppe di stanza a Roma con l’artiglieria. La grande folla gremì la piazza del Campidoglio. Così ricorda,  nella sua Cronaca, l’artista olandese J. Philip Koelman, presente in quei giorni a Roma:

Fra l’avvicendarsi di luci rosse, verdi e bianche, i colori dell’Italia, si vide il veneziano abate Rambaldi salire sul piedistallo del monumento ( A Marco Aurelio) e arringare la folla…”

Quell’abate si chiamava Don Giovanni Battista Rambaldi, uno dei tanti dimenticati dei protagonisti della Repubblica Romana, e disse:

“… Popolo di Roma, tu sei chiamato, se vuoi, a infondere la potenza vitale  alla nostra infelicissima Italia e ricomporne le sparse membra che si vogliono disgregate e oppresse dalle nere congreghe e dai vescovi…  Io sacerdote di Cristo sento tutta la coscienza di chiamarti dal Campidoglio alla libertà e alla indipendenza, perché il principio di questo tuo diritto vive eterno nel Vangelo…  Con questo pensiero ritirati nelle tue case… col quel contegno tranquillo e dignitoso che è la più eloquente risposta che tu possa dare ai tuoi congiurati nemici. Frattanto sia uno e concorde il grido: Viva la Costituente Romana iniziatrice della Costituente italiana”. Leggi il resto di questo articolo »


Perchè vogliamo onorare quei “ragazzi” del 1849, che donarono la loro vita per la libertà e il progresso dei popoli. Perchè vogliamo, con una celebrazione laica,  fare memoria senza retorica dei valori  più alti del nostro Risorgimento,  le cui radici ideali e costituzionali trovarono terreno fertile nella breve vita della Repubblica Romana e che, purtroppo, saranno in gran parte traditi successivamente. Perchè vogliamo capire la ragione che spinse uomini e donne dai 10/11 anni ai 60 a combattere contro l’Esercito Francese, il più potente del tempo e contro altri tre eserciti, una battaglia senza speranza. Perchè volevano, anche attraverso “una gloriosa sconfitta”, lasciare un’eredità alle generazioni future. Si, capire per crescere in una consapevolezza che ci permetta di uscire tutti noi da indifferenza, pigrizia o rassegnazione e scegliere di essere e fare qualcosa per la triste Italia di oggi. Farlo con continuità e sacrificio personale come quei “ragazzi” del 1849 insegnano. Leggi il resto di questo articolo »

Quando si parla del Risorgimento le donne dove sono? La memoria di quelle, non poche, che lo animarono è pressoché cancellata. Eppure si trattò spesso di figure di grande notorietà, poi celebrate da statue e lapidi. Questo volume presenta al lettore alcune di queste protagoniste dimenticate: in quattordici capitoli di taglio narrativo, le autrici ricostruiscono il profilo biografico e l’azione di altrettante donne, da Georgina Saffi a Giara Maffei, da Sara Nathan ad Anita Garibaldi, dalla nobile Cristina di Belgioioso alla capraia palermitana Teresa “Testa di lana”. Rileggendo insieme la vita di lavandaie e giornaliste, aristocratiche e massaie, italiane e inglesi, il libro riconosce in queste “donne del Risorgimento” anche una comune disposizione in certo senso protofemminista che le portò volta a volta a impegnarsi in battaglie sociali, a lottare contro la prostituzione, a prendere le armi vestite da uomini, accanto agli uomini. Questo prezioso volume racconta, quindi,  il periodo risorgimentale visto “dalla parte delle donne”. Una galleria di personaggi femminili che, in modi diversi, hanno contribuito a scrivere pagine di quel lungo, faticoso, controverso periodo che portò all’unità d’Italia. Emergono figure straordinarie che hanno saputo trasformare il loro tranquillo quotidiano in lotta, mettendo in pericolo le loro esistenze e i loro affetti per un futuro che non poteva offrire certezze. La nostra associazione ha dedicato e dedicherà incontri su queste straordinarie storie ingiustamente dimenticate.

 

di   AA.VV.,  ed. Il Mulino 2011,  €  24,00

 

vedi: LE DONNE DEL RISORGIMENTO

Senza magistrati e senza forze dell’ordine con il senso del dovere, la sicurezza della persona e delle proprietà può solo degenerare nell’arbitrio dei violenti e della criminalità. Senza medici e personale sanitario con il senso del dovere, il diritto alla salute diventa una crudele finzione. Senza insegnanti con il senso del dovere, il diritto all’educazione e alla cultura rimane privilegio di pochi. Senza doveri, insomma, niente libertà.  Leggi il resto di questo articolo »

Beatissimo Padre, adoro Dio e un’idea che mi pare di Dio: l’Italia una, angelo di unità morale e di civiltà progressiva per le nazioni d’Europa.  Non v’è uomo, non dirò in Italia, ma in Europa, che sia più potente di voi. Voi dunque avete immensi doveri. Per opera del tempo e affrettate dai vostri predecessori e dall’alta gerarchia della Chiesa, le credenze sono morte. Il cattolicesimo si è perduto nel dispotismo, il protestantesimo si perde nell’anarchia. Guardatevi intorno, troverete superstiziosi e ipocriti; non credenti.  Vi chiamo, dopo tanti secoli di dubbio e di corruttela, ad essere apostolo dell’eterno Vero. Siate credente. Aborrite dall’essere re, politico, uomo di Stato. Unificate l’Italia, la patria vostra.

Giuseppe Mazzini,  dalla   Lettera a Pio IX,   8 settembre 1847

«Ribadire la primogenitura democratica e repubblicana del Risorgimento, ricordare che esso ebbe nella Costituente romana e nella Repubblica di Venezia del 1848-49 alcuni dei suoi episodi più capaci di parlare al futuro, significa tornare ai fatti». Un incontro con lo storico Mario Isnenghi alla vigilia dell’anniversario dell’unità d’Italia.

Il 150° arriva quattro anni dopo il bicentenario garibaldino, suscitando polemiche e contrapposizioni ancora più accese nel dibattito pubblico. Quali sensazioni ha avuto girando per l’Italia per lezioni e conferenze?
Mi pare che si possa registrare una vistosa divaricazione tra la dimensione ufficiale e il pullulare di iniziative in grandi e piccoli centri della penisola. È come se la Lega avesse regalato all’Unità un nemico: e a reagire è proprio l’Italia delle cento città, che mostra interesse e partecipazione. L’opinione pubblica e una sorta di storiografia «decentrata» rilanciano dunque l’attenzione verso il processo unitario. In questa ricorrenza anche la storiografia intesa come produzione scientifica dimostra di essere in ottima salute, mentre soffre la Storia del Risorgimento come disciplina accademica. Decisamente diversa è la situazione per quanto riguarda il discorso mediatico che passa attraverso i giornali e le televisioni. Leggi il resto di questo articolo »

Il 17 marzo 1961, per i festeggiamenti del centenario dell’unità, non ci fu festa né vacanza. Per tutto l’anno ci furono celebrazioni a Italia ’61 – un intero quartiere costruito ex novo a Torino – che, come possiamo ancora constatare, esaltava soprattutto il lavoro (art. 1 della Costituzione) e il progresso tecnico e sociale. Ci furono però le dichiarazioni di Kennedy sull’«antica Torino» e la visita della regina Elisabetta che si svolse il 9 maggio in conclusione di un viaggio in varie città d’Italia. Festeggeremo anche noi il 17 marzo, senza speciale solennità né entusiasmo. Vediamo perché. Festeggiamo quel giorno perché dall’Italia e dalla sua storia abbiamo ricevuto molto, in bene e in male, di ciò che siamo, e perché per il bene di questo nostro paese siamo da sempre impegnati. Senza troppa solennità, perché non è la più bella o la più importante delle date storiche nazionali. Del 17 marzo 1861 rimane la bandiera tricolore, che è anche nella Costituzione. Non c’è più il regno, né i Savoia, né terre «irredente», né leggi discriminanti tra italiani, né suffragio elettorale ristretto, né religione di stato. Grazie a Dio. Leggi il resto di questo articolo »

 Non è vero che siamo fratelli. Forse lo siamo stati in qualche momento della nostra storia. Lo siamo stati nella  Resistenza cominciata a Napoli e conclusasi con la liberazione di Milano. Città redente dai tedeschi prima dell’intervento militare degli alleati che le hanno trovate libere ed in mano al CLN. Sono stati fratelli tra loro i nostri ottocentomila soldati che rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò e finirono nei lagers di Hitler. Sono stati fratelli i cinquemila eroici soldati di Cefalonia massacrati fino all’ultimo dai tedeschi. Abbiamo avuto un momento di grandissima fratellanza nutrita del meglio della cultura italiana da Dante a Leopoldo di Toscana da Beccaria ad Alessandro Manzoni a Gramsci a Mazzini  a Turati quando i padri costituenti pensarono elaborarono e scrissero la Costituzione  impregnata di principi universali di libertà, giustizia sociale ed eguaglianza che ricordano molto la costituzione della repubblica romana e sintetizzano in una felice fusione la cultura liberale e quella socialista. Leggi il resto di questo articolo »

La nostra Associazione, Gruppo Laico di Ricerca, non aderisce alle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Non certo per le ragioni nauseanti della Lega o per la micidiale indifferenza a tutto dell’uomo medio italiano, ma per sofferta riflessione.  Riteniamo che oggi, invece di retorici festeggiamenti, era il momento per un profondo ripensamento della nostra storia e della delusione che portò il post-risorgimento a partire dalla triste data del 29 agosto 1862, quando Garibaldi fu ferito all’Aspromonte da truppe italiane. Da quei giorni comincia a svilupparsi un’Italia che dimenticò ben presto i valori e le idealità del Risorgimento e dei suoi uomini migliori, che verranno abbandonati nell’oblio o “monumentalizzati” senza più alcun riferimento a ciò che avevano pensato e a ciò per cui  avevano sacrificato la vita. Leggi il resto di questo articolo »

Erano giorni pieni di vita, impegno e speranze, quei giorni. I giorni in cui nasceva una Repubblica in mezzo ad un’Europa di re e imperatori. In una città dominata dal più re dei re, il papa. Giorni euforici, pieni di sogni e attese a Roma nel 1849. Tra il dicembre del 1848 e il febbraio del 1849. E ci furono dei luoghi simbolo in cui, in modo particolare, la Repubblica Romana prese forma attraverso assemblee, dibattiti, votazioni, elaborazioni di proclami. Teatri, piazze e palazzi e alberghi: soprattutto uno di questi, l’albergo Cesàri a piazza di Pietra, uno dei più prestigiosi di Roma, fondato nel 1787, che aveva visto e vedrà ospiti importanti.

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Erano 1089. L’esercito più strano che si sia mai visto, ci ha detto Claudio Fracassi, giornalista e scrittore di storia che abbiamo incontrato questa sera. Un esercito di “ragazzi” volontari, provenienti da ogni parte dell’Italia che ancora non c’era ( come entità politica), un esercito che ha fatto l’unità d’Italia con anni d’anticipo su quelle due navi sequestrate a Genova e partite dallo scoglio di Quarto il 5 maggio del 1860. C’era con loro anche una donna, Rosalia Motmasson travestita da uomo (era la moglie di Francesco Crispi, uno dei capi della sinistra democratica  e che fu la principale mente politica della spedizione per poi tradire, negli anni a venire, completamente i suoi ideali giovanili). Come racconta Fracassi, dei Mille 163 venivano dalla provincia di Bergamo; un centinaio da Sicilia, Calabria e circondario di Napoli; 72 i milanesi; 59 i bresciani; 58 da Pavia e zone limitrofe; 112 i toscani. Ma c’erano anche ungheresi, polacchi, inglesi, tedeschi e un turco. La metà dei volontari lavoravano come “operai di città” o artigiani, solo uno disse di essere “contadino”. Molti erano studenti, cento i medici, più di 200 gli avvocati, insegnanti e professionisti; tre preti, una decina di artisti, pittori e scultori. Uno storico del tempo disse:  “quel piccolo esercito fu uno dei più colti che la storia ricordi”. Leggi il resto di questo articolo »

Roma, 20 settembre 1870. Il generale Cadorna ordina il bombardamento delle mura pontificie in un punto vicino a Porta Pia: pochi minuti e si forma una breccia, attraverso la quale l’esercito italiano può entrare nella città che da più di un millennio è sotto il potere assoluto della Chiesa cattolica. Un evento che corona la lotta per l’unificazione e l’indipendenza d’Italia, ma apre anche una serie di problemi e questioni che rimarranno a lungo a condizionare la vita, non solo politica, del popolo italiano. Poco rilevante dal punto di vista militare, data la decisione papale di non opporre che una resistenza simbolica all’invasione, la breccia di Porta Pia rimane uno dei momenti fondamentali della storia d’Italia e di Roma. Antonio Di Pierro, dopo il successo della sua cronaca del sacco di Roma del 1527, torna a raccontare una giornata di monumentale valore storico, in cui la città eterna si trovò ancora una volta a essere il teatro in cui andava in scena la Storia.

 di  Antonio Di Pierro,  ed.  Mondadori  2007,  €  18,50

 

vedi:

14 gennaio 2011. Una Breccia ad Ostia.

Dagli anni della Rivoluzione francese alla morte di Cavour, Denis Mack Smith brillante storico inglese e fra le voci più autorevoli sulla storia d’Italia demistifica molti luoghi comuni sul Risorgimento, attraverso la voce stessa dei protagonisti. Con l’avvertenza che “i documenti, bisogna ricordare, non sono la storia, ma gli elementi che contribuiscono a fare la storia“, in queste pagine vengono riportati gli scritti e le testimonianze di Filippo Buonarroti e Eleonora de Fonseca Pimentel, Metternich e Manzoni, Mazzini e Garibaldi, Gioberti e Pio IX, Carlo Alberto e Carlo Pisacane, Vittorio Emanuele II e Cavour, Giuseppe Massari e Carlo Cattaneo. Ogni documento è introdotto da acute riflessioni di Mack Smith e il risultato è una immagine viva e palpitante di un periodo che ha profondamente trasformato la penisola italiana. In questo volume il lettore è messo a diretto contatto con testi di quegli anni: pagine intense il cui filo conduttore dello svolgersi degli eventi nasce da passioni politiche, ambizioni personali, ideali di popoli e interessi di singoli, aspirazioni rivoluzionarie, vittorie e sconfitte da cui è nata l’Unità d’Italia.

di   Denis Mack Smith,  ed. Laterza  2010,  €  22,00

Il 150° anniversario della nazione non dovrebbe essere solo l’occasione per sventolare bandiere tricolori o indulgere nella retorica: richiede invece un ripensamento profondo sulla storia d’Italia e sul contributo del Paese al futuro del mondo moderno. A tal fine si rivisitano le grandi figure del Risorgimento (da Cattaneo a Cavour, da Manin a Pisacane, da Mazzini a Garibaldi) così che le loro riflessioni si mescolano in presa diretta alle nostre. Per “salvare” l’Italia, Paul Ginsborg fa affidamento su alcuni elementi fragili ma costanti presenti nel nostro passato: l’esperienza dell’autogoverno urbano, l’europeismo, le aspirazioni egualitarie e l’ideale della mitezza. Fondamenti dotati della carica utopica necessaria per creare una patria diversa.

di Paul Ginsborg,  ed. Einaudi 2010,   € 10,00

 

 

vedi :  

L'Italia da salvare.  Se nel paese vincono le virtù democratiche

Il partito della salvezza

Leggiamo  "SALVIAMO L'ITALIA"

 


Nei primi decenni dell’Ottocento, la domanda era: «Si può fare l’Italia»; oggi, alle soglie dei 150 anni dell’Unità, è diventata: «La si può salvare»? L’una domanda era dettata da speranza, l’altra da disperanza. Nella spazio aperto tra queste due parole c’è il dramma del nostro Paese. Nel suo nuovo libro, Salviamo l’Italia(Einaudi, Vele, pagg.134, euro 10), Paul Ginsborg ragiona sulla condizione della nostra vita nazionale mettendo costantemente a confronto, come in contrappunto, gli italiani del tempo che è il nostro con i patrioti del Risorgimento, il loro pensiero, la loro azione. Nel dispiegarsi delle sue argomentazioni, gli accadimenti di oggi, che possono sembrarci difficoltà nuove e insormontabili, visti nel lungo periodo risultano lievi increspature nella continuità d’una storia dalle radici profonde. Dunque: nervi saldi e senso di responsabilità; niente catastrofismi, sterili piagnistei o inutili invettive.

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BELLA E PERDUTA. L'ITALIA DEL RISORGIMENTODal 1796 al 1870 vi è stato un tempo della nostra storia nel quale molti italiani non hanno avuto pania della libertà, l’hanno cercata e hanno dato la vita per realizzare il sogno della nazione divenuta patria. È stato il tempo del Risorgimento quando la libertà significava verità. Anzitutto sentirsi partecipi di una Italia comune, non dell’Italia dei sette Stati, ostili tra loro e strettamente sorvegliati da potenze straniere. La conquista della libertà “italiana” è stata la rivendicazione dell’unità culturale, storica, ideale di un popolo per secoli interdetto e separato, l’affermazione della sua indipendenza politica, la linea delle molte subalternità alla Chiesa del potere temporale, l’ingresso nell’Europa moderna delle Costituzioni, dei diritti dell’uomo e del cittadino, del senso della giustizia e del valore dell’eguaglianza ereditati dalla rivoluzione francese.

di Lucio Villari,  ed. Laterza  2009,  € 18,00

LIBERA CHIESA.L’unità d’Italia fu ottenuta contro la volontà della Chiesa di Roma, ma l’Italia non fu mai veramente laica. Il libro racconta l’evoluzione delle relazioni fra lo Stato e la Chiesa durante gli anni dell’Italia massonica e liberale, dell’Italia fascista e concordataria, dell’Italia democristiana e dell’Italia bipolare.  Libro importante.

di  Sergio Romano,  ed. TEA 2007,  € 8,60

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